Il fuoco della controversia e l’amore per la Storia: a Marengo Gianni Cellè e Efrem Bovo discutono del Napoleone demolitore…dell’antico Duomo di Alessandria!

Caspita, un dibattito così merita davvero, dallo stimolante titolo “C’era una volta il Duomo…“, mi son detto giovedì scorso, mentre mi avvicinavo a quel luogo affascinante e pieno di contraddizioni che è Marengo…conosco bene la passione di storico, rigorosamente supportata da documenti probanti, di Gianni Cellè, per cui mi aspetto da lui una tanto dotta quanto strenua difesa della bellezza e dell’importanza dell’antico Duomo di Alessandria…ma so anche che Efrem Bovo, convinto “napoleonico” è dotato sia di una granitica conoscenza della Marengo napoleonica, sia di una notevole facondia espositiva…e allora come non aspettarsi un dibattito vissuto nel calore del fuoco della controversia?

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Tanto più che appena arrivato Gianni Cellè mi stringe la mano e subito mi dice che Oggi sarò molto polemico, a difesa delle ragioni del Duomo! Magnifico, penso. Saranno scintille. Ché forse non tutti sanno che spesso la Storia è materia di aspre polemiche, a difesa ciascuno di idee granitiche…che poi magari si sfaldano grazie a nuove conoscenze e nuove acquisizioni… Che poi io non è che faccia il tifo per l’uno o per l’altro dei contendenti…solo che sono un amante dell’architettura romanica e paleocristiana (pensate alle tante meravigliose cattedrali dell’Italia Centrale…), quindi sono partito con l’idea di essere un pochino indignato che il Primo Console abbia distrutto proprio questo – anzi, quello, ormai… – di Alessandria (sotto in una ricostruzione digitale).

A moderare il dibattito, che poi in realtà si svolgerà in modo molto…moderato…c’è Massimo Taggiasco, che con un po’ di amarezza inizia dicendo che sembra quasi che gli alessandrini abbiano la vocazione della demolizione del loro passato, e cita il Ponte della Cittadella, ora sostituito dal Ponte Meier…ma poi cita il ben noto motto socratico, So di non sapere, e passa ai dotti la parola…che viene raccolta da Efrem Bovo, che è di fatto il padrone di casa. Ha davanti un librone dalla copertina rossa che mi ricorda i messali dei Vescovi, altri libri e libricini…e il sorriso sornione di un gatto che ha appena catturato un canarino. Si dichiara assolutamente contrario al mantenimento del vecchio ponte (beh i fatti gli hanno dato ampia ragione, direi). E propone, come spesso mi capita di sentire da lui, una considerazione molto ben congegnata. Che è sostanzialmente questa: chi difende il vecchio ponte per i suoi valori estetici, sbaglia di grosso, perché non era affatto un gioiello architettonico, ed era del tutto ignorato da qualsivoglia visita turistica ad Alessandria…esattamente il contrario di quel che ora accade con il Ponte Meier! Faccio nella mia mente i complimenti ad Efrem: ha contemporaneamente preso le redini del dibattito, affermando poi le idee del “buon abbattimento”, che sono evidente parallelismo con quelle della sorte del Duomo…solo a questo punto interviene Gianni Cellè, quasi costretto a riportare il dibattito verso il Duomo distrutto!

Con la sua solita passione storica, ci legge le vicende di un Duomo che è stato eretto in Piazza della Libertà, perfettamente in asse con Via dei Martiri, fra il 1170 e il 1178. Dunque subito a ridosso da quella data, 1168, che sancisce ufficialmente la fondazione di Alessandria. Fondazione che però di fatto altro non è stata che un aggregamento di realtà urbane già preesistenti. Fu poi lo stesso Alessandro III, che ha dato il nome alla città, che elesse questa chiesa a Cattedrale. Dopo varie vicende, modifiche e quanto il passare dei secoli faceva accadere in genere alle chiese, fra cui l’incendio del campanile del 1392, il Duomo non era ridotto molto bene. Gianni Cellè infatti, a danno della sua stessa tesi, che sta esponendo, ma con una correttezza che dimostra con evidenza tutta la sua onestà intellettuale, cita un documento che, datato 1751, segnala un forte ammaloramento della struttura, esortando ad intraprendere un importante restauro. Che non venne mai effettuato, forse anche perché nel 1803 Napoleone Bonaparte fece demolire il Duomo con esplosivi e picconi, riciclandone peraltro il materiale, e nonostante questa demolizione fosse osteggiata dal Prefetto dell’epoca. Viene citata anche una testimonianza della demolizione, redatta al momento stesso dei fatti, molto puntigliosa e descrittiva, ad opera di un certo Giulio Giulini. Gianni Cellè termina il suo intervento citando l’opinione di Fausto Bima, che nella sua “Storia degli alessandrini” definisce la distruzione del Duomo Un vero stupido ed inutile delitto.

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Posso dirlo? Sono un po’ stupito. Perché Gianni Cellè, che è un architetto, non ci ha narrato, con il suo solito entusiasmo, né della bellezza del Duomo stesso, né di eventuali forti resistenze dei cittadini di Alessandria di fronte alla distruzione della loro cattedrale…mah? Ed ecco che, infatti, Efrem Bovo, si aggancia proprio da questa considerazione per esporre le sue idee in merito. Fa subito un’affermazione icastica ed essenziale: Napoleone fece saltare il Duomo, ma certo non con i fedeli dentro! Eh sì, affermazione metaforica che porta però ad una serie di considerazioni, assai ben articolate. Ad incominciare da quella che vede la distruzione del Duomo per motivazioni soprattutto di sicurezza, visto che la struttura avrebbe avuto bisogno di urgente restauro. Ma che non voleva condannare nel modo più assoluto il culto che faceva di quella chiesa un luogo cristiano. La sua idea di una nuova Piazza d’armi, di una serie di modifiche urbanistiche ed architettoniche per fare di Marengo un’importante realtà urbana, sono parte di una visione strutturale del tutto consona con la grandezza del personaggio. Insomma, ha fatto quello che un capace Generale deve fare per un serio progetto di difesa e di sviluppo di una città.

Ci ricorda, inoltre, Efrem, che Napoleone considerava l’Italia che stava liberando non comprendeva il Piemonte: il Piemonte era di fatto, secondo la sua visione, una Provincia Francese! E ci rammenta la grande festa che gli Alessandrini fecero a Napoleone nel 1805, quando passò in città. Un atteggiamento per nulla astioso o rancoroso. Ma c’è un’altra opinione che Efrem Bovo esprime con acutezza…si chiede Quanto, di fatto, la distruzione del Duomo disturbò gli alessandrini? Secondo lui, sic et simpliciter, non vi fu nessuno shock, a fronte di tale distruzione, da parte della città. Non ve ne è traccia nelle testimonianze storiche. E termina il suo notevole intervento citando un fatto un po’ a latere del dibattito, ma da lui assai sentito. Ciò che mi com-muove, ciò fa muovere il mio sentimento, nei confronti della figura di Napoleone – ci spiega – è anche la sua religiosità, espressa in molte occasioni, ma molto evidentemente nel tempo dell’esilio, sia all’Elba che, infine, a Sant’Elena…

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In merito a questo tema, ovvero il rapporto fra Napoleone e la Chiesa Cattolica, interviene Piercarlo Fabbio, che ha introdotto, brevemente, ma assai fascinosamente, il tema di quel particolare “concordato” che Napoleone stipulò con i vertici del Cattolicesimo, lasciando alla Chiesa le parrocchie, ma eliminando (ed introitandone i beni), conventi, confraternite e simili istituzioni. Non dico nulla, mica sono uno storico io, ma a me pare uno strano concordato dove uno dei due comanda e l’altro dei due ubbidisce…

Ma vorrei ora sottolineare, infine, la straordinaria onestà intellettuale di Gianni Cellè. Che, stimolato da Massimo ad una replica ad Efrem Bovo, ha semplicemente affermato: Le tue tesi mi hanno convinto, non ho più nulla da replicare! Sono davvero favorevolmente colpito: non è certo moneta corrente, nei dibattiti contemporanei, accettare il fatto che le idee del tuo interlocutore siano, semplicemente, più corrette delle tue e quindi del tutto accettabili ed assimilabili. Insomma, nel fuoco della controversia è prevalso l’amore per la Storia, con la massima comprensione ed il massimo rispetto per le tesi altrui. Davvero un bell’esempio per tutti noi, non trovate?

 

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