il cortometraggio “La poesia è un’arma impropria” fu ispirato da una silloge (Alessandria 2001)

Raccontare i poeti è una scelta iperrealista, quanto il cortometraggio umoristico “La poesia è un’arma impropria” girato un cortometraggio girato nel 2001 in Alessandria su sceneggiatura di Claudio Braggio, in cui appare Bruno Gambarotta nei panni di un improbabile venditore ambulante di poesie, nel finale assieme alla affascinante quanto esaltata (nella finzione filmica) poetessa. Fonte di ispirazione su la silloge “Il lato buffo del poeta” (allora inedita, per quanto le poesie erano già state declamate in varie occasioni e per questo motivo vengono usate come una sorta di “tappeto musicale” verso il finale; nel cortometraggio non v’è traccia alcuna di musica). Le location scelte furono piazzetta della Lega, piazza Ceriana ed il cinema Kristalli, i portici di piazza Garibaldi.

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La prima azione si svolge nell’esatto centro nell’immaginario collettivo di una città ricca soprattutto di questi luoghi comuni, che conosco sebbene non li frequenti preferendo di gran lunga quelli privati, con la particolarità d’aver dato i natali ad una sola poetessa (Rina Faccio alias Sibilla Aleramo – Alessandria, 1876 – Roma, 1960) e anche ad solo poeta (Iginio Ugo Tarchetti – San Salvatore Monferrato, 1841 – Milano, 1869) se consideriamo un vicino borgo, ma dei quali non è rimasta pressoché traccia.

No, non c’è un premio di poesia col loro nome e vi sfido a trovare un viale o una piazza a loro dedicati, anche se sono stati realizzati lungometraggi cinematografici ispirati dalla loro vita oppure dalle loro opere.

Tuttavia questa è una terra che conta degli Eccellenti (uno per tutti, Umberto Eco, Alessandria 1932 – Milano 2016), nella stesura di pagine scritte, moltissime pagine scritte su libri e giornali, un gran lavoro per cui sono ben considerati, ma soprattutto altrove; anzi in tutti i possibili innumerevoli altrove, perciò finiscono con lo stabilirsi salvo tornare di tanto in tanto per farsi una scorpacciata di farinata (farina di ceci, acqua, olio d’oliva e via nel forno; mi raccomando, che sia a legna!), finché è stato possibile (da Savino, in via Bergamo).

Scena prima.

Il luogo deputato è la già nota piazzetta con edicola ed obelisco, quella con i tavolini della rinomata gelateria artigianale, o forse erano del bar a fianco, e l’edicola.

Un luogo divenuto centro ed emblema della vitalità cittadina da considerare quando si cerca la rissa culturale, che sceneggiatore e regista vogliono scatenare servendosi di belle ragazze, una bruna e l’altra bionda, dall’atteggiamento duro, deciso, due Walkirie in stivali, spolverino marrone scuro, berretto giallo con visiera, occhiali scuri, camicetta bianca col collo sbottonato e aperto, farfallino rosso a cingere il collo, cortissima gonna nera; insomma un’attrezzatura da battaglia per generare inquietudine soprattutto al quieto edicolante assorto nella quotidiana apprensione di una vendita che non consente di rilevare differenze sostanziali fra le riviste che disposte negli espositori o sui banchetti tutt’intorno all’edicola.

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A lui sta bene vendere, di tutto; l’importante è che non lecchino le pagine, deprecabile abitudine da degustatori di carta, foss’anche patinata, che non per viaggiatori nelle parole; senza avanzare assurde pretese riguardo a pubblicazioni non ancora in vendita, quindi inesistenti, come invece fanno le due ragazze domandando maliziosamente se è arrivata la “Vita e opere di Sergio Leone” a dispense.

Il suo muto diniego scatena nelle due gentili rappresenti del bel sesso un gesto violento e spavaldo che viene consumato con un’azione concepita con l’esplicita volontà di far emergere una citazione cinematografica in omaggio al celebre regista Sergio Leone, del quale è possibile riconoscere uno dei suoi “C’era una volta…” dal clistere da cui viene spruzzato liquido infiammabile reso pericoloso dall’alta fiamma dell’accendino che subito s’avvicina.

Tutto questo in sostegno di una miglior collocazione sui banchi di vendita della rivista “Poeti vivi”, i cui sostenitori desiderano ardentemente renderle la dignità della vendita a prezzo intero.

Questi fanatici non esitano ad imbarcare nelle loro imprese disadattati le cui principali caratteristiche sono soprattutto di ordine pratico, come quella di possedere un furgone, saperlo guidare, usarlo per irrompere sulla scena e, dopo aver gridato al pericolo, utilizzarlo come mezzo di una fuga e quindi in strumento per un’azione di sabotaggio ai danni di un evento culturale.

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L’autista irrompe sulla scena urlando che la Siae ha scatenato l’offensiva, lodevole crociata contro le poesie impunemente scopiazzate, proprio come certi capi d’abbigliamento che somigliano a quelli di note marche: ambedue i tipi di falsi danneggiano gli autori, ma nel caso della poesia sono spesso anche causa di disorientamento tra i frequentatori abituali di luoghi poetici, già quelli dove i poeti solitamente si radunano per leggersi tutti ripiegati su se stessi, estrapolando a viva forza una sorta di interiorità negata.

Il meccanismo è semplice quindi regolarmente s’inceppa per colpa dell’inganno insito in tutte le cose facili affidate agli autentici incapaci, i quali puntano sempre ad un’ulteriore quanto inutile semplificazione: per ben copiare poesie potrebbe esser sufficiente impadronirsi delle tecniche analizzando con dovizia il tema affrontato in ogni componimento, mentre è indubbiamente più rapido cambiare qua e là delle parole, aggiungendovi un tocco personale, così essi hanno preferito optare per il cambio dei nomi dei poeti… (Gennaro Montale, Arcibaldo Pascoli, Umberto Eco…), pur se sull’ultimo vengono esplicitati dubbi… (“Perché scrive un sacco di pagine senza andare a capo…”).

Gente del genere non demorde e raccoglie consenso tra gli sciocchi ed in special modo fra gli annoiati, che abbondano, oh se abbondano.

Il furgone porta il terzetto dinanzi ad un cinematografo ove dovrebbe tenersi convegno poetico e che loro amerebbero disturbare irrompendo nella sala manifestando dissenso in modo plateale, rafforzati dalla presenza di un gruppo dagli stessi segni distintivi (camicia bianca, farfallino rosso, cappellino con visiera giallo) che esprime la propria identità agitando bandierine e cartelli recanti esortazioni programmatiche…

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(Poeti all’assalto! – La poesia come godimento – La poesia come vita – La poesia come più meglio – La poesia come speranza – La poesia come colore.)

…oltre che lanciando dei motti…

(Lotta dura, che pagnotta l’è mai sicura.)

…in armonia coll’arringa della loro affascinante guida dalla chioma bruna…

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(Assaltiamo un sacro luogo della parola… Scagliamo pensieri impertinenti. Sconvolgiamo le nostre menti.)

…alla quale fa eco la bionda spalla…

(Senza sporcare, che non siamo a scuola)

in un clima di folle esaltazione collettiva…

(Po-e-si-a, po-e-si-a, po-e-si-a. T’aaaaaamo pio boveee… che un mite sentimento c’infondi… Po-e-si-a, po-e-si-a, po-e-si-a).

La folla dei poeti dilaga minacciosa nel cinematografo…

(Entriamo nella storia! Pubblicazione è già mezza vittoria! Abbasso i critici di mestiere!)

…dove appaiono le prime incrinature nella compagine giacché il poeta-autista prova a sfruttare come mezzo di seduzione le sue raffazzonate conoscenze poetiche. Copiare vuol dire comunque aver letto.

Anche se la memoria spesso induce a far confusione nel presente.

Generando un caos creativo che difficilmente può essere indirizzato verso un unico obiettivo; naturalmente s’intende quello caro alla Poetessa-guida. Così appare giustificata la scelta d’organizzazione para-militaresca che ha il pregio d’offrire certezza nei ruoli…

(Settenari ed Haiku alla prima uscita! Endecasillabi! Belli sciolti alla seconda! Odi Barbare con me! Dietro alle quinte!).

La folla dei poeti…

(Po-e-si-a, po-e-si-a, po-e-si-a)

…irrompe nella sala cinematografica e sciama festosa fra le poltrone nella certezza di sconvolgere un convegno sulla poesia, mentre si sono imbattono in un workshop organizzati da un circolo fotografico, i cui associati sono attratti soprattutto da tre meravigliose modelle in costume da bagno a due pezzi avvolte in una “nuvola” di tulle rosa.

Lo sconforto si sparpaglia immediatamente fra i Poeti d’Assalto non tanto per l’esiguità o addirittura l’assenza del pubblico, condizione a cui i frequentatori di luoghi poetici sono da sempre abituati, quanto piuttosto per l’inspiegabile abbandono da parte dei relatori del convegno sulla poesia, i quali solitamente sono tutt’altro che inclini ad ammettere:

  1. il fallimento del progetto di comunicazione dell’iniziativa;
  2. il disinteresse per la marea montante delle relazioni;
  3. il torpore causato dalla lettura dei loro componimenti.

L’oblio è d’aiuto nel considerare il successo di qualunque azione condotta in campo artistico ed in poesia è utile forse più di quanto potrebbe esserlo Erato, una delle dodici Muse, quella che la migliore delle collaboratrici della protagonista di questa storia vorrebbe immediatamente incarnare spogliandosi per un calendario (senza indugiare).

L’alto livello di follia collettiva inizialmente permane…

(Po-e-si-a, po-e-si-a, po-e-si-a)

…sebbene si debbano registrare le prime due defezioni, perciò l’esortazione…

“Andiamo a sparpagliare la poesia!”

…ha buona presa sugli astanti (ma che sono in realtà degli attori, che qualcuno ha suggerito poter definire degli “attanti”, ma non ho trovato la parola sul vocabolario, quindi posso accettare “attenenti” o “attinenti” considerando che fanno parte del giro).

In prossimità dell’uscita dal cinematografico la compagine comincia a sbandarsi: uno dei componenti si siede sui gradini e rinuncia alla nuova impresa e via via gli altri, mentre la colonna muove verso il viale alberato perché attratti dal pop-corn, da un’agente donna della polizia municipale che vorrebbe elevare contravvenzione al furgone dei poeti, quindi da un turista smarrito con tanto di cartina, un organizzatore di concorsi di bellezza in tenuta da sera, due avventori al bar (fra cui un lettore di giornale col titolo a caratteri cubitali: Cittadini accorrete. Mezza provincia sta facendo baldoria) che per la loro immobilità sono pubblico ideale, un passante che una poetessa riconosce per amico e immediatamente abbracciato in modo affettuoso, da una cabina telefonica e da un solitario giocatore di carte su una panchina.

L’arte è fonte di continua distrazione, alimentata dalla curiosità dell’artista per il mondo che lo circonda spingendolo a divagare anche con la mente.

Una breve per quanto significativa nota pratica è costituita dall’intervento della barista che affronta con prontezza una nuova situazione commercialmente stimolante, intravedendo una possibilità di sfruttamento economico dell’arte applicata al servizio ai tavoli…

(Caffè con poesia… Allora chiama il supplemento. E tu li vuoi tre croissant con la poesia dentro?).

La Poetessa bruna, vera anima-guida del movimento rimane completamente sola, ma procede imperterrita senza voltarsi né rallentare e girovaga probabilmente a lungo per le strade cittadine sino a quando sotto i portici di un’altra grande piazza s’imbatte in un venditore ambulante, che sta con al collo una cassetta che un tempo aveva custodito vini e che si produce in un richiamo di cultura…

(Po-e-siie, po-e-siie, poesie nuove a metà prezzo, che vanno bene per tutto l’anno).

I due si sbarrano il passo a vicenda, si riconoscono…

(Buon uomo, ma tu sei un editore, che rifiutommi di pubblicare i miei versi)

…con la meritata risposta

(Rifiutotti allora e rifiuterebbi oggi.)

e fingono d’intendersi poco, così mentre l’uno rivela che gli scopiazzatori di poesia l’hanno ridotto sul lastrico, l’altra persiste nel suo convincimento e nega recisamente d’aver a che fare con tali malfattori e tosto s’allontana riprendendo l’andamento marziale.

La vicenda non è affatto conclusa, anzi la riflessione, che è al tempo stesso enunciazione di una preoccupazione di carattere sociale, avanzata dall’editore-venditore ambulante…

(Ma non sarà pericolosa tutta ‘sta poesia?)

…si fonda su una premessa…

(Per le pistole ci vuole il porto d’armi)

…ed apre un dibattito…

(Visto che ci sono poeti che sono dei veri pistola)

su cui varrebbe la pena di spendere una serata di convegno al fine di regolamentare la buona proposta finale…

(allora sarebbe meglio inventare il porto di poesia).

Da considerare come vera nota di speranza la scritta sul cartello che l’uomo porta sulle spalle, volutamente in senso affermativo…

(La poesia è un’arma impropria)

…ma che per amor di discussione nel titolo del cortometraggio è arricchito da un punto interrogativo.

I titoli di coda sono accompagnati da un sonoro composto da moltissime voci recitanti che leggono alcune scelte poesie tratte soprattutto dalla silloge “Il lato buffo del poeta”.

NOTA FINALE – Le Muse per definizione comune sono le nove figlie di Zeus e Mnemosine (ma c’è chi sostiene che potrebbero esser anche figlie di Urano e Gea) ed hanno quale guida il dio Apollo (per questo detto Musagete) con il quale amavano danzare e cantare tutta notte; rispondono al nome di Calliope (elegia), Clio (epica e storia), Euterpe (lirica monodica e musica), Melpomene (tragedia), Polinnia (poesia lirica e del canto sacro), Talia (commedia), Tersicore (danza), Urania (poesia didascalica ed astronomia) ed appunto Erato (poesia amorosa e geometria); inoltre vi sono “tre sorelle maggiori” che si chiamano Aoide o Aede (il canto), Melete (il pensiero) e Mneme (la memoria). Così il conto torna.

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