In cammino verso Le rive di Persefone con la Poesia di Anna Maria Massobrio

Conosco Anna Maria letteralmente da una vita. La sua famiglia, suppergiù coetanea della mia, di famiglia, è di origini ovigliesi, come la mia, come me. Ma era una conoscenza, temo, un po’ superficiale. Sapevo anche che è un medico, che vive e lavora a Torino. Amen. Non avevo la minima idea che fosse anche una poetessa. L’ho scoperto per puro caso, pochi mesi fa. Abbiamo così iniziato una conversazione online sulla letteratura, la poesia, l’arte. Mi ha fatto leggere, passandomele su WhatsApp, alcune sue poesie, che mi hanno decisamente colpito per levità e profondità contemporaneamente. Poi finalmente ho ricevuto da lei, con tanto di dedica, proprio all’inizio di quest’anno, il suo piccolo ma denso libro di poesie (che peraltro si trova agevolmente su Amazon) dal titolo assai suggestivo: Le rive di Persefone.  Ho potuto così leggerlo nella sua interezza, rimanendone colpito assai favorevolmente…è un testo davvero affascinante, che ha il coraggio di esplorare la femminilità complessa e variegata della sua autrice, che tuttavia si mette a confronto con un ventaglio policromo e complesso di altre personalità femminili.

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Senso e significato di questa silloge di testi poetici è espressa con molta raffinatezza – molto bene – dalla stessa Anna Maria nella quarta di copertina del suo libro: Una sera in primavera, al primo piano di una bella casa torinese, iniziava ad incontrarsi un gruppo psicologico-letterario formato da alcune donne che tuttora frequento. L’idea di Elena Tesio, che dirigeva il gruppo, era di leggere e commentare, ognuna secondo la propria sensibilità, il libro “Le dee dentro la donna”, di Jean Shinoda Bolen, una psicoanalista junghiana che in questo testo analizza gli archetipi femminili rappresentati delle dee dell’Olimpo. Non ricordo in quale esatto momento, in una di quelle serate mi è venuto in mente di ritornare a scrivere poesie, come facevo da ragazzina, e poiché il “mio” archetipo prevalente è Persefone, ho immaginato di farmi accompagnare dalla Dea nel mio personale viaggio verso gli inferi dei miei ricordi non del tutto rimossi.

Detto così si pone come un qualcosa di notevolmente intellettuale, no? Poesia e psicoanalisi, attraverso lo specchio della mitologia. Ma ciò che ne viene fuori, concretamente, in poesia, è notevole. Intanto lasciatemi ricordare che quello di Persefone è uno dei miti che più hanno affascinato il mondo antico, e non solo. La fanciulla d’immensa bellezza che venne rapita da Ade, Dio del mondo infero, che volle farla sua sposa e sua regina in quel mondo oscuro. Ma Persefone era figlia di Demetra, dea della fertilità e dell’agricoltura, che minacciò di portare il mondo nell’incubo della sterilità dei campi e quindi della carestia e della morte per tutti gli esseri viventi, se non le fosse restituita la figlia perduta. Con la mediazione di Zeus si raggiunse un compromesso, che comportò la nascita del ciclo delle stagioni: dall’equinozio d’autunno a quello di primavera Persefone sarebbe stata la regina del mondo infero, per poi tornare a conoscere la luce del sole e della fertilità del mondo nella primavera e nell’estate. Che può anche essere visto, così come fa Anna Maria, come metafora del dualismo proprio della femminilità, divisa fra la fascinazione dell’oscurità e quella della luce. Troppo complicato? Forse. Ma poi in realtà la Poesia che esprime Anna Maria nel suo libro ha una notevole fascinazione, fatta di una profonda emozione unita ad una altrettanto importante ironia, a prescindere dalla raffinata cultura in essa sottesa:

Dicono / che con rapaci artigli mi ghermì / per condurmi al regno / ma così leggere / furono le sue dita / sui fianchi / che lo seguii, / non dando ascolto / al demone che mi accompagna, / ed ignorai le stelle. / Dicono che con l’inganno / mise sulle mie labbra / i dolci chicchi di melagrana. / Erano così dolci!

In questo testo che si intitola Dicono di me c’è tutta l’ambiguità possibile fra ciò che è stato costrizione e ciò che è stata una benvenuta accettazione. Davvero notevole. Ma un po’ tutte le poesie (non sono molte, appena una cinquantina in tutto) sono legate fra loro, come in un gioco di perle di vetro, da queste di luci e queste ombre, che esprimono con sapiente ed ineffabile raffinatezza un animo femminile complesso ed affascinante.

Ti consegnai me stessa, Ade / ammaliata / dall’ombra. Fu troppo, / e troppo tardi me ne avvidi. Inizia così un’altra poesia, Nopalea (è un fiore esotico e bellissimo) che termina con una frase stupenda: Non posso incolparti: io stessa / rivolli le tue braccia. / Né incolparmi, comunque: tutto / fu più forte del mio volere. Una confessione vibrante e disarmante, no?

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Credo quindi sia del tutto evidente, da questi pochi versi, che splendida profondità può raggiungere la poetica di Anna Maria Massobrio. Ma poi il libro si sviluppa anche con tante altre figure femminili, in una sorta di pantheon dove nello specchio attento della poesia si riflettono persone reali, concrete sue conoscenze che diventano altro, ma che raggiungono, in questo mutare, le loro stesse più profonde vibrazioni dell’essere. Come in Arianna, abbandonata da Teseo, che incontra sì Dioniso, ma in sogno: …e dormendo sognai Dioniso che mi cingeva da dietro le spalle…scriveva parole, poi, e le parole erano per me. A lungo ho indugiato nel sogno.

E così via, in un rincorrersi di figure mitiche e reali. Anna Maria ad una mia domanda in merito, mi ha spiegato che: Ho trasformato le persone nelle dee e negli dei, e viceversa. Così ad esempio Monica, un’amica bellissima morta tragicamente, è diventata Afrodite, e la stessa Afrodite è diventata una donna esperta nello studio dei colori, legati alla persona, che ho incontrato tra drappi di stoffe colorate.

Ma quello di Anna Maria è comunque un percorso estremamente coerente, che però è anche, contemporaneamente, un procedere apparentemente un po’ svagato, passi incerti sulle rive di Persefone, a volte accompagnati da una sublime, ineffabile ironia. Ora sta lavorando alla sua nuova silloge poetica, che è quasi pronta, ma…non sono ancora soddisfatta della resa “musicale” dei versi, che secondo me è importante tanto quanto il contenuto. Il titolo? Sarà la cosa più difficile, ci sto pensando da un po’. Io, da parte mia, non vedo l’ora di averlo fra le mani, per leggerlo, il prossimo libro di Anna Maria.

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