Il regalo del Mandrogno e quella volta che si sognò di trasformare il romanzo in film

Pierluigi Erizzo (Padova 1884 – Serravalle Scrivia, AL, 1962) ed Ettore Erizzo (Stazzano, AL, 1895 – Genova 1979) sono discendenti di una illustre famiglia veneziana (un doge, magistrati, letterati, ingegneri) trapiantati in terra piemontese e ligure dall’incontro del loro padre Paolo Francesco, un grande penalista, con una fanciulla di famiglia attiva professionalmente a Genova, ma con origini nell’entroterra appenninico. I fratelli presero parte alla Prima Guerra Mondiale, da cui tornarono avendo riportato ferite e lesioni, per esercitare entrambi la professione nello studio del padre. Da quella esperienza lavorativa trassero la loro prima opera, “La vita dell’Avvocato” (Garzanti, 1936) ottenendo un notevole successo, considerando che ebbe ben cinque edizioni e sette traduzioni. I tempi infausti della Seconda Guerra Mondiali li videro sfollati nell’alessandrino, occupando il tempo anche scrivendo il romanzo “Il regalo del Mandrogno” (Giugno 1940 – Aprile 1944). La storia prende l’avvio dall’apertura di un testamento in cui sono destinati beni a quattro improbabili eredi e soprattutto intorno al mistero legato a due pistole da cavalleria in qualche modo provenienti dal campo di battaglia di Marengo (e di cui una si vorrebbe appartenuta al generale Jean Lannes (1769-1809), comandante della cavalleria del Primo Console). Quindi, ecco il regalo… – (ad illustrare l’articolo la fotografia di una rara edizione del 1999, ristampa a cura di Ugo Boccassi e Cesarino Fissore, a tiratura limitata e numerata, per il Comune di Alessandria in occasione della convocazione degli Stati Generali).

La storia del libro “Il regalo del Mandrogno” è di certo molto più interessante dei racconti da cui è composta, ma è anche molto difficile riuscire a raccogliere tutte le informazioni necessarie per riuscire ad affrontare la narrazione completa delle decine e decine di edizioni e ristampe che l’hanno caratterizzata, alcune debitamente autorizzate e molte invece affrontate da tipografica dotati di maggior disinvoltura.

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Gli eredi Erizzo, a cui giustamente dovrebbero essere corrisposti tutti i diritti d’autore sino all’anno 2054, hanno affrontato con atteggiamento signorile da tempo la questione delle copie tirate a loro insaputa e di cui comunque non si è riusciti a quantificare. Rammento d’esser stato loro ospite in quel di Milano, accolto anche per ammirare una collezione pressoché unica al Mondo ovvero quella delle innumerevoli edizioni e traduzioni del romanzo.

L’occasione venne offerta quasi vent’anni or sono dalla possibilità di far parte di un gruppo di sceneggiatori cinematografici, giovani e con molte speranze dopo essere usciti in anni diversi dalla Scuola Holden di Torino, egualmente affascinati dalla possibilità di trasporre sul grande schermo una storia scritta e ambientata nella nostra provincia di origine, quella di Alessandria ovviamente.

Gli eredi gentilmente diedero il loro assenso al progetto, a cui consegnammo le nostre aspettative dopo aver avuto occasione di dialogare col regista Giuliano Montaldo (1930 – “Perché no? Fatemi leggere un trattamento”), in quel di Gavi Ligure durante le giornate dedicate a “Musica e Cinema” organizzate in onore del compositore di musiche da film Angelo Francesco Lavagnino (1909-1987) e dove fui dapprima allievo e poi amico dello sceneggiatore Furio Scarpelli (1919-2010).

L’idea ci sedusse, il trattamento vene scritto e cominciammo ad incontrarci per discutere il suo sviluppo, ma l’impresa si mostrò subito ardua e non soltanto perché nessuno di noi aveva lunga esperienza sul campo (al tempo ero il meno titolato, essendo state realizzate soltanto due mie opere, realizzato soltanto due opere, il documentario “Carlo Leva, appunti per un documentario” (Carlo Leva, 1930-2020) ed il cortometraggio umoristico “La poesia è un’arma impropria?” con Bruno Gambarotta (1937)-).

La struttura del romanzo è pur sempre di difficile trasformazione in sceneggiatura, perciò si parla correttamente di trasposizione o di opera ispirata da…, ma per “Il regalo del Mandrogno” la struttura in tre atti sarebbe andata molto stretta e avventurarci in una compressione delle vicende non ci parve buona idea (la struttura in nove atti avrebbe forse risolto, se non ci fosse stato l’ostacolo della durata complessiva del lungometraggio).

Ci domandammo se non fosse stato meglio farne un adattamento televisivo a carattere seriale, delle cui tecniche avevamo pur ottenuto conoscenza teorica da ottimi insegnanti, professionisti del settore televisivo, ma al tempo nessuno si era davvero cimentato in questo genere di scrittura, che differisce per molti aspetti da quello cinematografica.

Furono giorni e serate spese a parlare di sceneggiatura, del libro, delle forme di narrazione, scrivendo anche pagine di prova, molte pagine; ci fu anche la stesura di un trattamento, che servì come guida per orientarci; tuttavia, di quel progetto, di quel sogno non se ne fece nulla.

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Probabilmente avremmo dovuto scrivere la storia delle pubblicazioni e delle vicissitudini del libro, facendo trapelare qua e là parti della vicenda narrate dalle pagine stampate. Sempre che poi si fosse trovata una produzione cinematografica interessata ed un regista per realizzare il film.