Quella lunga strada di emancipazione impastata con il sangue delle donne: la giornata mondiale contro la violenza sulle donne a Casal Cermelli, fra un libro, musica e commozione.

Credo che chiunque di noi vada a voltarsi indietro, nella propria vita, possa ritrovare delle radici forti che ne hanno cambiato il pensiero e il carattere. Io, per quanto riguarda il mio rapporto di attenzione e rispetto nei confronti dell’universo femminile, ho imparato moltissimo dall’esempio dei miei familiari. Un nonno bracciante della terra (i suoi avi di certo servi della gleba) che però aveva e mi ha insegnato un immenso senso di laicità, dove il rispetto per le donne della famiglia era una stella polare fulgida ed indiscutibile. Mai l’ho visto alzare le mani su sua moglie, mia nonna, o su sua figlia, mia mamma (e neanche su di me se è per questo), ma neppure mai l’ho sentito dire uno stizzoso – ZITTA! – ad una delle due. Lui era ateo convinto e consapevole, ma loro, entrambe, erano ferventi credenti, e ci andavano eccome, a pregare in Chiesa…sino al fatto che pure io, unico nipote, ci andava a fare il chierichetto e pure a leggere le pagine dell’Antico Testamento, in chiesa. Lui non ha mai espresso la pur minima contrarietà, per questo nipote chierichetto, che accompagnava pure il parroco ai funerali e alla benedizione pasquale delle abitazioni. Questo è stato per me un insegnamento di vita immenso che ha pilotato da sempre tutto il mio pensiero di rispetto e comprensione delle ragioni dell’altro…beh, dell’altra, nel caso di una donna. Un’altra fortuna che ho avuto è stata quella di conoscere e frequentare, in quel periodo magmatico e folle che dal 1975 – avevo 15 anni – mi ha traghettato a quella mia prima maturità i vent’anni del 1980, diverse mie coetanee, o quasi, che erano femministe, convinte e coinvolte nel movimento di liberazione della donna. Loro, sì, loro mi hanno insegnato tantissimo: sul rispetto, sulla condivisione, sull’attenzione. Non vado oltre per non annoiare i mei lettori, ma questa duplice educazione al rispetto, di fatto ha guidato ogni mio atteggiamento nei confronti della realtà femminile, e per un po’ ho creduto che avesse di fatto cancellato ogni forma di maschilismo dalla mia mente…impossibile! – si potrà giustamente obiettare: millenni di maschilismo e tu te lo saresti lasciato alle spalle in un paio di generazioni? Credo sia una giusta obiezione: tutto quel tempo di maschilismo e poi la mia sciocca presunzione di averlo superato? No, non l’ho superato, ma almeno ho provato, da sempre, a farci i conti, a metterlo in un angolo e conviverci, senza essere preda di quel senso del possesso che porta dritto, in alcuni casi, al cosiddetto femminicidio.

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Ecco perché è importante esserci, in certi momenti, a certe manifestazioni, come quella di Casal Cermelli di sabato scorso. Che, in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne ha organizzato qualcosa di davvero encomiabile, unendo alla presentazione di un romanzo assai pertinente: Quel che amore non è dello scrittore albese Silvano Giacosa, parole e musica davvero riuscitissime e decisamente coinvolgenti.

Sul maxi schermo dietro la scrivania, un lungo elenco di nomi. Dietro la scrivania il Sindaco di Casal Cermelli, Antonella Cermelli, la Presidente di Insieme per leggere Mariangela Dotto, e Silvano Giacosa. Sulla destra (per il pubblico) due musiciste: la soprano Jing Zhang e la violoncellista Elisabetta Sola. Parecchia gente, attenta, emozionata. Bello. Inizia Mariangela. Quello che dice è un’analisi, triste, amareggiata, che se parte dei terribili fatti che stanno sconvolgendo l’Italia proprio in questi giorni, si apre anche ad una analisi di un mondo ancora ad eccesso di potere maschilista, dove la violenza domestica è ancora moneta corrente dentro le dinamiche sociali e familiari, che troppo spesso portano il sigillo crudele della sottomissione…lo, però, percepisco quel che Mariangela dice più che come un’analisi come una laica, accorata, lunga e dolente preghiera…senza invocazioni a divinità che come minimo sono indifferenti alla sorte di quelle donne massacrate, senza particolari invettive, senza gridare…mi viene in mente una vecchia poesia di un grande poeta, che termina così: Da secoli / la pietà è l’urlo dell’assassinato. Mariangela termina, in un’atmosfera vibrante e commossa. Mi avvicino, la fotografo e le sorrido…e alla mente mi viene qualcosa di antico: libera nos a malo.

Ora tocca ad Antonella. Più che un Sindaco semplicemente una donna, che fa una cosa sola, semplice e commovente: legge tutti i tanti – più di 100 – nomi di donne assassinate soltanto in quest’anno che ancora deve terminare. Lo fa senza la minima enfasi, con voce semplice, scandita, si, ma esente da ogni retorica. L’ascolto e penso – lo ammetto – un po’ trasognato – che vorrei leggerlo io quell’elenco. Io ho una mentalità drammatica: vorrei leggerlo dicendo, anzi, ad alta voce, di ciascuna di loro come è stata uccisa e chi l’ha uccisa, ma non il nome: solo chi fosse per lei, il suo orrido assassino…ma io sono un po’ retorico, lo so, mentre Antonella è l’immagine della pietas …alla fine si è un poco rattrappita in quell’elenco lungo e impietoso, letto in un silenzio attonito e luttuoso.

Ma è ancora lei a guidarci nel prossimo passo della serata: la Musica. In questo momento in Italia, per ricordare le povere donne assassinate, c’è chi propone silenzio e c’è chi propone rumore: noi vi proponiamo otto minuti di musica, con la soprano Jing Zhang e la violoncellista Elisabetta Soladice Antonella. E Musica sia. E che musica. Accompagnata magistralmente dal suono caldo ed avvolgente del violoncello, ecco la voce limpidissima e ben timbrata del soprano, che ci accompagna in un lontano mondo musicale, quello dell’era pre-barocca, la cosiddetta Musica Antica, così lontana da noi, così affascinante. Un brano in lingua inglese (John Dowload) e due in italiano, di Giulio Caccini. Che era così all’avanguardia da far studiare musica ad entrambe le sue figlie, che divennero compositrici a loro volta, così come ci ha fascinosamente narrato la violoncellista, Elisabetta Sola. Che incanto, innegabile.

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Ed eccoci allora al romanzo, Quel che amore non è, (Il Cielo Stellato Edizioni, 2023) con l’autore, Silvano Giacosa, sapientemente presentato e guidato da Mariangela. Che legge tutti i libri che presenta e questo le è piaciuto assai. Si tratta di un giallo, con sullo sfondo il dolore atroce di una donna maltrattata dalla sorte…e dal marito… Siamo nell’autunno del 1961 quando Angelina Pavesio, che vive nelle campagne attorno a un’immaginaria cittadina delle Langhe, Vagliante, cerca di sopravvivere a un’esistenza tremenda. Con l’illusione che il futuro le possa riservare un’altra dimensione, un’altra vita meno squallida di quella vissuta finora, sale sul primo treno che capita sperando possa portarla altrove, in luogo lontano che sappia farle dimenticare tutte le sue miserie e gli affanni di una vita che le ha dato poco o niente.

 Quel che amore non è è dunque una storia di femminilità brutalizzata, fatta di violenze che sembrano non avere mai fine. E sappiamo bene, ormai, che la realtà è spesso ben peggiore. Giacosa, che parla di tutto ciò con molta serenità, a bassa voce, non tende a drammatizzare, pur cercando di non svelare troppo, ci dice che predilige l’idea di un investigatore professionista, ed ecco che introduce la figura di Pietro Vincenti, è il maresciallo della locale stazione Carabinieri, al suo primo caso davvero importante. Che, ben oltre ad ogni sua aspettativa, si rivelerà un vero puzzle che dovrà sistemare pezzo dopo pezzo e lo porterà a scoprire realtà inaspettate, dominate da un sottobosco di personaggi inquietanti, tutti con qualcosa da nascondere. Tuttavia, mi è parso di capire dalla presentazione, che si tratti di una vicenda dove, più che l’inchiesta, pure strutturata e ben risolta, contino i risvolti umani, l’universo emotivo di due principali protagonisti e i loro drammi esistenziali. Forse vite senza speranza, in un mondo allora ancora patriarcale con le donne a subire ben triste sorte…mentre ora…ora ci siamo evoluti, no?

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