«Celebrating Excelsior»: a Vesime si è celebrato il coraggio, con il monumento all’unico campo di aviazione partigiano d’Europa.

È notte, una notte senza luna…il buio mi fa paura: il buio può nascondere i nemici, la raffica violenta che ti farà esplodere di dolore. Ho vent’anni e ho freddo e paura. Se qualcuno sapesse dirmi quando finirà questa maledetta guerra…e lo attendiamo, sparpagliati qua e là, attendiamo l’aereo…perché questo campo senza colture, a due passi dalla riva del torrente lo hanno chiamato Excelsior…e ci atterrano gli aerei alleati. Ed ecco, infatti. Il sordo, ancora lontano rombo di quel piccolo monomotore. Tra poco accenderanno le luci sul campo…le luci…un paio di lampade cieche, ché mandino luce verso l’alto e basta, che intorno occhi cattivi possono essere in agguato. E lui? Da solo su quel piccolo aereo, al freddo, senza luci, lui avrà paura? E ce la farà ad atterrare?  Se solo qualcuno sapesse dirmi quando finirà questa maledetta guerra…

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Eccolo laggiù, quel torrentello che devo seguire, luccicante almeno un po’ in questa notte senza luna…e devo farlo fino ad un ponte metallico che anche lui un poco luccica e poi subito dopo dovrei vedere un paio di luci a delimitare una pista che è un campo di terra e ghiaia da ferrovia sotto, a reggere l’urto di questo mio amico volante che, chissà perché, hanno chiamato Lysander…ho trent’anni, sono un anglo-italiano che sta di là dalla linea gotica, dove l’Italia è di nuovo libera, liberata e lavata da tutto quel sangue che scorreva sulle strade e impregnava i campi. Ed ora sono qui, in alto sul cielo delle Langhe, che scendo piano piano a cercare la mia destinazione, e come sempre mi chiedo se ad attendermi ci saranno amici accoglienti o nemici assassini…ecco le due striminzite luci…io lo che devo scendere in mezzo ma non troppo vicino, sennò finirà male…e allora andiamo, dai…ma prima di scendere, come sempre, mi metterò al collo una bomba a mano, accanto al cammeo della mia mamma che se a scendere dall’aereo troverò gli altri, non sarò l’unico a morire, stanotte…

A questo, e ad altro di simile pensavo, sotto un caldo sole di novembre, mentre il Sindaco di Vesime, Marco Garino, inaugurava il singolare monumento all’Excelsior e alla sua epopea, con il taglio del nastro affidato a Serena Ficani, nipote di due partigiani appartenenti alla II Divisione Langhe, che operò nella zona di Vesime, dopo alcune letture piene di sana retorica, da Lincoln a Churchill. Un monumento dedicato a quegli eroi, a quegli eroi ragazzini, che più o meno credo pensassero quello che ho scritto sopra, che si chiedessero tutti i giorni ma quando finirà questa maledetta guerra…?? Io sono troppo giovane per aver fatto la guerra, ma ero militare di leva quando in Italia le BR ammazzavano la gente, militari di leva compresi, come il mio amico caporale di Salerno ucciso con tre colpi nello stomaco nel Luglio 1982. So cosa vuol dire percorrere il perimetro di un’immensa cittadella militare come la Cecchignola di Roma, con un fucile in mano, il colpo in canna e l’ordine, nel caso, di sparare senza pensarci troppo sopra…e sperare di non veder spuntare dai cespugli nessuno che credesse di cambiare l’Italia ammazzando un certo numero di innocenti. Non ho mai avuto uno scontro a fuoco, per mia fortuna, ma l’angoscia di un possibile agguato un po’ la conosco…

Pensavo al museo che a Vesime hanno dedicato all’Excelsior, con storia e gloria di un’avventura partigiana unica in tutta Europa, che avevo visitato poche ore prima con la mia guida fra le vicende di questo minuscolo luogo di Langa, Donatella Giordano.  Pensavo all’emozione quando fra le tante giovani vittime è venuta fuori l’immagine di Manno, al secolo Ermanno Vitale. Ammazzato, insieme ad un gruppo di compagni di guerra, al Ponte di Perletto, in un agguato che più vigliacco non si può immaginare, da repubblichini vestiti in abiti civili per sembrare in realtà partigiani. Già: dal luogo dove sorge il monumento ad Excelsior, si vede, il ponte di Perletto, dove un gruppo di ragazzi furono trucidati, pensate, a due mesi appena dalla fine della guerra. Ecco perché all’inizio di questo mio strano articolo che forse è più simile ad un racconto, pensavo al mio stupore nel riflettere, fra le testimonianze del Museo, quanto fossero incredibilmente eroiche le vicende che ci venivano raccontate. Di questi ragazzi che notte dopo notte e atterraggio dopo atterraggio si aggrappavano all’idea che, si, la guerra sarebbe finita. Ma per qualcuno, come Ermanno Vitale e gli altri ammazzati a tradimento quella notte, sarebbe finita sempre troppo tardi.

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E poi? Altre suggestioni me le ha suggerite Donatella, forse più presente alla cerimonia di me, che scattavo foto e avevo addosso i pensieri che vi ho descritto. E lei mi ha narrato l’emozione di essere accarezzata dal movimento leggero di bandiere, labari e stendardi, mossi da uno strano tiepido vento che graffiava il cielo terso di novembre, mi ha narrato di come, tra i paltò di lana scura dei militari in congedo, stretti sotto baschi rossi o cappelli verdi, si potessero rubare sguardi complici sciolti in espressioni di sincera soddisfazione. Mi ha detto di aver visto mani stringersi, di aver percepito discorsi – abbandonati su fogli stropicciati – trasformarsi in parole sgorgate dalla commozione. Anche se un poco soffocati dai convenevoli dettati dall’ufficialità della celebrazione, le è arrivato intenso il desiderio, da parte del Sindaco di Vesime, di difendere il ricordo, di onorare la memoria. A dire il vero l’ho guardata, un po’ scettico: Non mi pare proprio una cronaca, questa… Ma non le è mancata la risposta acuta: Ma ti ricordo che tu fai articoli narrativi, pieni di emozioni e di pochissima cronaca…o sbaglio? E come faccio a darle torto, a maggior ragione dopo aver riletto quello che ho scritto io, in questo strano articolo? Ma tutti abbiamo assistito al commovente momento in cui è stata deposta una corona di papaveri…di papaveri perché in memoria degli aviatori inglesi caduti, così come vuole la tradizione della RAF, mentre al suono del silenzio – eseguito da Guido Roveta alla tromba – tutti abbiamo avuto attimi di notevole emozione…

E poi? Poi c’è stato il convegno, dove si sono affrontati diversi temi di guerra e resistenza. Titolo 8 settembre 1943: fine o inizio?. Coordinati da Mauro Forno, storico dell’Università di Torino e presidente dell’Israt, hanno presentato le loro relazioni Nicoletta Fasano, direttrice dell’Israt su Sbandati, tedeschi, fascisti di Salò; Marco Minardi, direttore dell’Isr di Parma su I prigionieri di guerra alleati; e Mario Renosio, ricercatore Israt su Le prime bande nelle Langhe. A me è piaciuto molto quello di Marco Minardi, che ha analizzato, con cordialissima affabulazione, un tema sul quale non mi ero mai particolarmente soffermato, ovvero quello dei prigionieri di guerra anglo americani che da un giorno all’altro non sono più nemici, ma anzi, vengono liberati. Mi è sembrato patetico e malinconico immaginare tutti questi militari sbandati, senza ordini e senza armi, che si aggiravano per un’Italia che aveva fatto un incredibile salto da voltagabbana.

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Sul lato emozionale, invece, ancora una volta mi ha stupito Donatella. Ha osservato una cosa di cui non mi ero neppure accorto, ed ora vi invito ad una lettura di quello che ha percepito, certo che vi lascerà molto stupore: Ma il momento più emozionante l’ho vissuto nel corso della conferenza tenutasi nel pomeriggio. Seduto avanti a me un signore, non saprei dire l’età, non sono del tutto certa che fosse così anziano da aver vissuto sulla propria pelle gli eventi narrati, ma chissà? Comunque di certo abbastanza grande per averlo visto, quell’orrore, con gli occhi stupiti e smarriti di bambino. Ho inaspettatamente colto l’istante in cui le sue spalle hanno iniziato a chiudersi, con le sembianze di ali che proteggevano quel corpo sempre più curvo, il capo abbassato… mentre la mano leggera della donna, che gli sedeva accanto, iniziava delicatamente ad accarezzarlo, rassicurandolo. Ho sentito forte lo schiaffo del dolore, intenso, indelebile, ed istintivamente desiderato sporgermi in avanti per stringerlo, per lenire quell’angoscia, che come un mantello nero stava coprendo i suoi pensieri. Ero Ipnotizzata da quel corpo sempre più piccolo, schiacciato dalla sofferenza divenuta ormai palpabile. Mi sono chiesta come sia possibile che un uomo possa aver ancora un senso così profondo di un terrore lontano, al quale è miracolosamente sopravvissuto.

Già: forse occorre domandarsi da dove siano nate le uova del serpente che hanno portato a tanto male…con l’angoscia di riflettere, in questi difficili giorni, come sia possibile che continui a manifestarsi…attorno a noi…in mezzo a noi…costantemente. Fino a che punto si può essere istigati all’odio verso il prossimo? Per quali subdole vie l’odio può insinuarsi e crescere nel nostro cuore? Quanto deve essere forte la ragione per sconfiggere il male?

E allora, in conclusione, possiamo convenire – no? – che giornate come questa abbiano un’importanza fondamentale, per l’intera collettività. In esse rivivono sentimenti e sacrifici che non vanno dimenticati, perché non si rinnovino le stesse spirali di odio e follia, e si spengano i focolai ancora accesi. Rivivono, ma occorre che siano vivi, e forti, e potenti, i sentimenti e i pensieri contro la guerra. Perché a differenza di quel tempo abbiamo strumenti e possibilità per conoscere approfonditamente i fatti, per intuirne in anticipo le evoluzioni. Perché quel tempo di giovani eroi che vi ho descritto sopra non debba mai più tornare…e nessun ragazzo di vent’anni sia mai più costretto a dire: Se solo qualcuno sapesse dirmi quando finirà questa maledetta guerra…

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