L’insostenibile destino di diventare una Regina: morte e vita di Lady D. nella magnifica interpretazione di Annalisa Favetti a Spigno Monferrato.

Sono passato, anni fa, sotto il tunnel dell’Alma, dove l’auto, condotta da Henri Paul, che portava Lady D. e Dodi Al-Fayed, oltre alla guardia del corpo di Diana Trevor Rees-Jones (unico sopravvissuto), si è schiantata, causando la morte di una delle più straordinarie personalità femminili del ‘900. E proprio nell’ora della morte, su quell’auto a brandelli, scorticata di vita, inizia la vicenda che una straordinaria Annalisa Favetti ha fortissimamente voluto dedicare a Lady D.

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Ora, lasciatemi confessare che la figura di Lady D., praticamente mia coetanea (lei del 1961, io del ’60) mi è sempre risultata immensamente affascinante, degna essa stessa di una grande tragedia greca, come poi s’è rivelata nel terribile finale, ma degna di entrare anche nella raffinata mitologia delle ovidiche Metamorfosi, perché quella spaurita ragazzina che il futuro Re Carlo chiese in sposa – obtorto collo, che lui amava, riamato, Camilla – , trascorso il cupo periodo delle angherie familiari, visto il radicale fallimento di quel matrimonio artificiale…e, ancor più, dopo la complicata separazione da Carlo, si è trasformata nel tempo in una vera divinità…divinità portatrice di femminilità, fascino, emancipazione e bellezza, vero e proprio simbolo universale di rinascita, dopo il fallimento di un matrimonio…e poi quella morte assurda, a 36 anni, che ha un qualcosa davvero di tragicamente mitico, di incredibile… Muore giovane chi è caro agli dei riporta un frammento poetico di Menandro, nato circa 2300 anni fa, perché dagli Dei è richiamato fra loro, sull’Olimpo.

E proprio partendo dall’ora della morte di quella giovane donna, Annalisa Faletti ci ha raccontato, domenica scorsa, a Spigno Monferrato, vita, emozioni, pulsioni e sofferenze di Lady D. Potrei dire che l’ha interpretato, quel ruolo, ma direi una cosa inautentica. Perché Annalisa Lady D. non l’ha semplicemente narrata, no: l’ha fatta totalmente propria, l’ha introitata in sé e con noi l’ha rivissuta, in una totale e radicale immedesimazione, unita ed un’immensa empatia, che ci ha lasciati tutti sbalorditi…anche per una somiglianza fisica davvero impressionante. Forse vi sembrerò eccessivo, ma ciò che vedevo, ascoltavo, percepivo, mi ha portato con sé dentro la rappresentazione, con una forza emotiva che solo una interpretazione totalizzante e assoluta come quella di Annalisa Favetti può evocare.

Quando, terminato lo spettacolo, mi ha cortesemente dato la possibilità di intervistarla, ho iniziato a conversare con lei paragonando la sua immedesimazione così totale nel personaggio a quella di una grandissima divinità della Lirica, Maria Callas, che quando interpretava Norma o Tosca diventava, letteralmente, Norma o Tosca. Che però, a differenza di Lady D., sono personaggi immaginari, mentre qui… Devo ringraziare per questa improvvisata intervista l’organizzatrice di RETETEATRI, Patrizia Velardi, che mi ha chiamato al cellulare, mentre stavo già sulla strada del rientro – riflettendo sui momenti salienti della rappresentazione – proponendomi appunto una breve – ma preziosa – conversazione con Annalisa Favetti. Ci sono tornato di corsa, su a Spigno e, credetemi, ne è valsa la pena. E ora vi invito a venire con me, in un luogo di quelli che tanto amo, che paiono esistere un poco fuori dal nostro normale spazio-tempo, adatto alla bellezza e all’attenzione…perché il sagrato della Chiesa di Sant’Ambrogio è circondato da un muraglione, è quasi un hortus conclusus, un luogo di intimità e di ascolto, dove forse possono accadere alcuni di quegli straordinari eventi che, in mancanza di una denominazione più pertinente, possiamo definire miracoli.

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Immaginate ora questo grande cerchio ormai quasi svuotato di gente – rimangono quasi solo gli addetti ai lavori, che stanno smontando tutto – e Annalisa è lì, ancora con l’abito di scena, a piedi nudi sulla fresca erba del prato…Ma no, non solo Annalisa: Lady D. è li con me, penso con scarsa obiettività giornalistica e molta emozione. Prendo due tra le sedie già accatastate, ci accomodiamo. Lei parla con un dolce accento romanesco, la schiena appoggiata alla sedia: una splendida attrice che mi spiega fonti e motivi di quella rappresentazione…ma poi, se mi parla, con più fervore, di colei che ha rappresentato, ecco la metamorfosi, che magari ora penserete che ho sognato, preso nell’emozione di una straordinaria notte d’agosto…ma non è così: perché in quei momenti di radicale immedesimazione, lei staccava la schiena dalla sedia, si sporgeva verso di me, il viso è gli occhi pieni di una luce interiore, intensa e particolare…tanto che lei diventava Lady D., come in scena, come se ne fosse letteralmente posseduta… Va bene, il mio spirito logico ed illuminista ora mi spinge a dire che tale e tanta immedesimazione sono dovute al grande lavoro professionale che Annalisa e i suo regista, Pino Ammendola, hanno costruito su cotanto personaggio, e che certamente Annalisa Favetti possiede un’immensa capacità di empatia, purissima e potente, nei confronti di questa sfortunata principessa che avrebbe potuto diventare Regina. Ma in quel momento – e pensate pure, se volete, che probabilmente l’età mi ha fatto rincitrullire -, durante quell’intervista, io ero sbalordito e affascinato perché vedevo davanti a me non una ma due persone: una grande attrice e una principessa…Certo, mi ha detto di essere stata un’allieva del grande Gigi Proietti, e scusate se è poco…ma questo è sufficiente per una così totale empatia?

Io l’ascoltavo e la guardavo, e, come ora che sto scrivendo, mi tornava alla mente con grande intensità quello che lei aveva rappresentato: il complesso mosaico della vita di una donna, infelice principessa che avrebbe potuto diventare una Regina, ed è diventata una divinità del ‘900. Un mosaico tragico e stupefacente, con l’iniziale, disperato sconcertante risveglio di uno spirito indomabile, subito dopo l’orrendo schianto che la condusse alla morte, con tutta una serie di momenti, assolutamente concatenati fra loro, ma che davano ad Annalisa la possibilità di proporre – di vivere? – un’incredibile quantità di modulazioni attoriali, con quella assoluta immedesimazione di cui sopra: nei sorrisi, nei gesti, nel modo di muoversi e guardarsi intorno, nei momenti in cui veniva posseduta dal demone dell’eros…davanti a noi, che eravamo sospesi e catturati, c’era Lady D., ogni eccezione rimossa… Che ci ha regalato informazioni, sulla sua vita, a volte sorprendenti, e molto emozionanti…come quando ha parlato di una possibile figlia, nata dalla fecondazione di un suo ovulo con lo sperma di Carlo, fatta per provarne la futura fecondità, e però poi non distrutto – come doveva essere – dal medico che aveva trattato la cosa, ma impiantato dallo stesso nell’utero della propria moglie…da cui nacque una bambina di nome Sara…che Lady D. ad un certo punto ha iniziato a cullare, sprigionando intorno a sé e donando a noi purissima e dolente commozione…

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Durante l’intervista le ho chiesto quale fosse la fonte delle sue tante informazioni, così confidenziali, che aveva condiviso con noi… mi ha allora parlato di lunghe conversazioni notturne a Londra, con un giornalista dalla BBC, del quale non mi ha fatto il nome, grande amico del suo ex compagno, che le ha narrato notizie che normalmente il grande pubblico non conosce…da li e dalla sua somiglianza fisica con Lady D., è scaturita la creatività che l’ha portata a scrivere su sé stessa quella parte, per fare assolutamente suo questo ruolo, per poi poterlo donare (questo il termine che ha usato) agli altri.

A me veniva alla mente quando lei è uscita dalla luce del palco per passare sul sentiero erboso fra noi, trascendentale ectoplasma di donna che non era più che memoria mistica ed emotiva, metafisica emozione che Annalisa ha costruito su di sé e sulla sua Lady D., come mi ha poi spiegato nell’intervista, evidenziando ancor meglio quello che avevo intensamente percepito…ma per dirvi sull’incredibile attenzione ai particolari, anche quelli che magari il pubblico non può comprendere con immediatezza, vi basti sapere che Annalisa-Lady D. ad un certo punto intona un canto a cappella (a voce sola), in una lingua che non ho riconosciuto…mi ha poi spiegato che era il Padre Nostro…solo che la lingua in cui lo cantava era l’Aramaico…quella che è stata la lingua parlata veramente da Gesù…ecco, è da dettagli come questo che uno spettacolo teatrale può diventare anche puro misticismo, trascendenza e infinita tenerezza…forse la tenerezza di Dio…

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Non posso che terminare questo articolo che con il finale – sono tanti i momenti che vorrei descrivervi, ma lo spazio di un articolo non è quello di un saggio – quando sulla scena entrano e si pongono ai lati dell’auto distrutta le due guardie reali che erano di picchetto all’ingresso, prima dell’inizio, e lei, avvolta da una luce rossa – inferno, delirio o apoteosi? – si pone in testa la corona ferrea di un cerchione sfondato, in una sorta di metafora estrema di quello che avrebbe potuto essere e non è stato, ovvero l’insostenibile destino di diventare una Regina. Eh, sì: non è più con noi da molto tempo ormai, Lady D., ma in una notte d’agosto, a Spigno, è tornata fra noi, nel miracolo di un luogo e di una straordinaria empatia…

 

Sono passato, tanti anni fa, sotto il tunnel dell’Alma e, all’altezza del 13° pilone, quello dove l’auto si è schiantata e Lady D. ha perso la vita, mi era salita alle labbra, quasi inconsciamente, una sorta di preghiera, che ho mormorato fra me e me, come un salmo segreto: I cry for you my Lady… L’ho ripetuta in silenzio l’altra sera, a Spigno, e ringrazio Annalisa anche per questo…

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