Un castello che era un monastero che anche quest’anno diventa un teatro…il Teatro Itinerante di Monastero Bormida.

C’è una leggenda di Venezia, che dice che in una piccola Corte, detta Corte Sconta (nascosta) o anche detta Arcana, ci sta una porticina che i veneziani, quando sono stufi della solita vita, vanno ad aprire ed entrano in un luogo diverso, un luogo di favola…è esattamente quello che capita a me quando vado a Monastero Bormida: chiudo la porta di giornate calde e stressanti, prendo la mia auto, metto buona musica e in poco più di mezz’ora sto in un altro luogo ed in un’altra dimensione…quella fiabesca di un antico Monastero.

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E ci vado parecchio, a Monastero Bormida, un po’ perché sin dalla prima volta che l’ho visto, e son passati più di trent’anni, quel luogo stupendo, ne sono rimasto assolutamente e felicemente incantato, tanto da tornarci molte e molte altre volte. Poi, lo scorso anno, ho conosciuto Silvia Perosino, che, appunto, avrebbe recitato in un pezzo di Gian Marco Griffi (che allora non era ancora l’ormai famoso scrittore di Ferrovie del Messico, candidato al Premio Strega di quest’anno) , che mi ha invitato a partecipare a questa originale proposta teatrale – e anche culinaria, a cura della Pro Loco, che non guasta mai – dove gli spettacoli, tutti  necessariamente brevi, ma non per questo meno interessanti, ruotano tra l’una e l’altra, successiva, ora, mentre le persone che li vogliono fruire vanno a passeggio intorno al Castello per vederli all’orario previsto. Così l’anno scorso ci sono andato e ne sono rimasto decisamente e felicemente colpito, per l’originale proposta, per la qualità complessiva degli spettacoli, financo per la qualità del cibo proposto dalla Pro Loco. Da quella volta dell’anno passato, sono tornato spesso a Monastero: per le Mostre d’Arte, così appassionatamente e puntigliosamente curate da Ilaria Cagno e Carla Panaro, ma anche per le serate teatrali, a cura di Patrizia Velardi e Paolo La Farina, ma anche semplicemente per andare a pranzo nel locale subito là dietro alla Piazza, e poi godersi una passeggiata notturna sotto le mura ora silenziose. E la sera del 27, la replica – riuscitissima – di quella serata teatrale d’un anno fa, così decisamente sui generis, cui avevo partecipato con gioia genuina, e come l’anno scorso serata prima culinaria, poi fatta di notevole teatro itinerante…

 

E allora, si va, iniziando da Silvia Perosino e le sue bellissime lucciole griffiane. Sono particolarmente affezionato alla Storiella delle lucciole in Monferrato, perché è stato di fatto non solo il primo racconto che ho conosciuto di Gian Marco Griffi – tratto dal suo libro di racconti Inciampi – ma anche perché l’ho fruito online, mentre veniva letto, anzi, recitato, dalla stessa Silvia Perosino.  E mi sono piaciuti moltissimo entrambi, il testo e la lettura. L’altra sera, a Monastero , la scena era semplice, fatta di tante lucine  – le lucciole, appunto – che di mano in mano che vengono catturate e portate via dei ricercatori del CERN, diventano sempre di meno…ed infine ne rimane sono una, in un barattolo e poi…il buio…è finita l’era delle lucciole, in Monferrato, in nome di una scienza assai poco umana, ma insieme all’era delle lucciole si è spenta l’era della poesia…e questa malinconica conclusione viene espressa da Silvia con un tono in morendo, straordinariamente efficace. Sapevo a priori che sarebbe stata brava. Lo è stata di più.

Ma altrettanto brava e coinvolgente – nel Fenoglio de La sposa bambina – è stata Paola Sperati. L’avevo vista in questa stessa parte in uno spettacolo a Canelli dedicato a Fenoglio, e mi ero dimostrato favorevolmente stupito da come Paola entrasse nel personaggio in maniera totalizzante, capace di raccontarci la vicenda di questa tredicenne, Catinina, che, ancor prima del menarca, sposa, in nozze combinate, il giovane nipote di un piccolo possidente…ma, pur avendo poi da lui, un anno dopo, un figlio, continua a giocare alle biglie con i ragazzini della sua età…grande, coinvolgente tenerezza in questa storia ruvida e delicata nello stesso tempo, scritta da un Beppe Fenoglio ispirato e magistrale…e splendida Paola, che questa parte ce l’ha praticamente cucita addosso, ma ogni volta che la propone lo fa in modo coinvolgente ed appassionante. Paola che, dopo la sue performance, mi ha suggerito di fermarmi lì per ammirare la pièce successiva, di Giulia Buarné, decantandomene la bellezza. Ovviamente mi sono fidato totalmente del suo giudizio…e ho fatto bene.

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Ha lo strano titolo Divina e Catarsi, il pezzo teatrale che ci propone una Giulia Buarné ispirata e leggera, che sembra che voli…ed è la vicenda di due mantidi innamorate ma coscienti che il loro accoppiarsi comporterà la morte del maschio…ricordo per chi se lo fosse dimenticato che l’accoppiamento delle mantidi è un atto per noi davvero da film horror, perché è caratterizzato da cannibalismo post-nuziale: la femmina, dopo essersi accoppiata divora il maschio…ma, ancora più terribile, la cosa può avvenire anche durante l’atto, quando lei divora lui partendo dalla testa, mentre gli organi genitali proseguono nell’accoppiamento. Terribile, certo…ma questo comportamento è dovuto semplicemente all’impellente bisogno di proteine, necessarie alla rapida produzione di uova, per poter perpetrare la specie. Nel breve pezzo teatrale, Giulia è riuscita a far commuovere tutti, intanto perché interpreta il tutto con quella insostenibile leggerezza dell’essere, che coinvolge ed emoziona, e poi perché la brutale legge della natura della mantide diventa, metaforicamente ed universalmente, l’infinita tenerezza di un essere vivente che sacrifica la propria esistenza, la propria essenza, per un essere che immensamente ama, e per la sua specie.

Se non avevo mai visto recitare Giulia, con Paolo La Farina è esattamente il contrario: l’ho visto recitare molte volte e so quanto sappia coinvolgere con la sua recitazione veemente e appassionata. Poi la sua pièce aveva ai miei occhi il valore aggiunto di essere tratta da un racconto di Stefano Benni, uno scrittore che amo e seguo da quasi quarant’anni, Il sogno del muratore, che Paolo ha ribattezzato C’è un posto migliore.  Nella parte del muratore che cade dall’impalcatura e si ritrova, ma forse è solo l’ultimo suo sogno prima del nulla, in Un Posto Migliore, Paolo ci si è calato perfettamente, aiutato anche dal musicista Benedetto Spingardi, sempre efficace e pertinente nel suo sipario musicale. E che bella empatia di tutti noi per questo muratore andato e tornato da un Paradiso accogliente e giusto, con santi e angeli al lavoro come lui e con lui…

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Non ho visto, e me ne dispiace, il resto degli spettacoli, perché…beh perché a Monastero ci sto davvero molto bene, e ho cenato e conversato con Ilaria e Carla e i loro familiari, chiacchierato con Massimo e Simonetta e altri amici, con i parenti di Gian Marco Griffi e Silvia Perosino…sapete quelle tavolate da cui non ci si alzerebbe mai, lì, all’ombra del Monastero poi Castello…e forse mi sono un po’ perso, passeggiando senza fretta nel Borgo antico, all’ombra delle torri…in questa favola estiva, in questo Splendido Piemonte.

 

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