Una Poesia color nostalgia: Sandro Buoro e il suo “La pietra sul tempo”, presentato a Casal Cermelli…e ora nella mia biblioteca.

Tornavo in auto da Casal Cermelli, era l’ultimo venerdì di marzo: in auto facevo girare musica Blues, la voce vetrosa e roca di un bluesman dei miei amati anni ’70. Pensavo che “To have the blues” (avere il blu) voleva indicare, nel mondo afroamericano, uno stato di sofferenza dell’anima, di tristezza, di malinconia. Era quello che provavo, in quella ventosa notte di primavera, mentre da un piccolo paese, che era stato abitato dai miei avi paterni, tornavo verso casa, in un paese assai poco lontano. Guardavo il suo libro dal titolo intrigante, La pietra sul tempo, appoggiato sul sedile del passeggero, accanto a me, ripromettendomi che avrei scritto una recensione per Alessandria24.com dopo averlo letto, lentamente e con l’attenzione che si deve alla lettura della Poesia. Ma nello stesso tempo rimasticavo dentro di me le parole che ci aveva recitato Sandro Buoro, che abita nel paese lì accanto, proprio sulla strada che stavo percorrendo lentamente, Castellazzo: parole color nostalgia. Si, erano dei blues quelle parole che avevo ascoltato, anche con attimi di sincera commozione, erano blues che mi giravano nell’anima, ripensando a quella strada fra Oviglio e Casal Cermelli, che appunto passava attraverso Castellazzo, percorsa tante volte, molto prima che costruissero quel mostro di cemento che è la tangenziale, seduto o coricato, sul sedile posteriore, con i miei genitori, per andare a trovare la mia amatissima nonna di Casal Cermelli. Nell’anima il tempo ch’è ormai passato e passerà, sopra i ricordi di tanti anni fa. Eh sì, ce n’erano motivi, per “avere i blues”, quella notte.

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Anche perché avevo ancora nella mente le letture che aveva fatto Sandro. Eh sì, la Poesia di Sandro Buoro è davvero coinvolgente. Forse perché lui la sa leggere in un modo dolcemente cantilenante, che lentamente ti avvolge in una tristezza che sa di nebbia, di campi abbandonati, di infanzia perduta. Ma anche della nostalgia del presente: una figlia e una nipotina assolutamente adorate, che ogni volta che ripartono per la loro lontana destinazione di vita, lasciano un sordo dolore, una spina nel cuore: “Conosci la disperazione nascosta quando riparti / e il mio sguardo ti segue dal cancello finché svolti.”

Ma facciamo un passo indietro. Come al solito, sono andato a Casal Cermelli su invito di Mariangela Dotto. Mi fido di lei quando mi dice che il libro che viene presentato è davvero di valore. E mi fido moltissimo di lei quando la vedo così commossa, com’era quella sera, nella sua breve presentazione, tanto del libro che del suo autore. Che viene da lei presentato come uno straordinario insegnante, ormai in pensione, che ha sempre avuto una forte tensione sociale e didattica nel suo mestiere, prima, appunto, di insegnante, e poi, nell’ultimo periodo della sua carriera, come Dirigente scolastico. Una cosa che però più mi colpisce di quel che dice Mariangela è il fatto che le poesie di Sandro Buoro, se ad una prima lettura colpiscono, ad una seconda lettura svelano molte sfumature che erano prima sfuggite…ma se però si rileggono una terza volta, non si dimenticano più!  Però. Certo, quando le ho lette, ho scoperto delle poesie di Sandro formano una sorta di sinfonia domestica, fatta di ricordi dei genitori e dell’infanzia, ma anche di vivissime emozioni verso una figlia ed una nipotina amatissime. Con disarmante semplicità Mariangela ha concluso così: Sono poesie che toccano il cuore…E come negare questa conclusione quando poi leggiamo versi come questi, davvero toccanti: “Ci ho messo anni / per capire che paesi borghi frazioni cascine / si popolano di finestre vuote / i vecchi che attraversano la strada sono come me / residuati di guerre che chiamano vita”. E, un poco più avanti: “Anni per obliare / mari di lontana infanzia, case che abitai / e ora sono macerie…” Come non sentirmi coinvolto? Io che passo davanti alla casa che fu di mia nonna e ora è, appunto, una maceria abbandonata con un immenso glicine che l’ha sventrata, ma ora anch’esso è morto e secco e senza più futuro.

Ma tornando a quel venerdì, mi sovviene alla mente quello che ci ha detto il suo editore, Nazzareno Luigi Todarello. In una breve ma intensa presentazione della poetica di Sandro, ha usato parole di grande rilevanza, che mi hanno colpito. Parole che rappresentano in genere il fascino più indiscutibile del fare poesia. Una poesia che naviga nello stretto territorio fra ciò che è e ciò che non è ancora, e vive in quella tensione continua fra ciò che era e ciò che sarà; ma anche che la poesia apre suggestioni sull’inconoscibile…Parole alte, importanti. Ma Todarello ha anche precisato che nella poesia di Sandro Buoro si vive un tono elegiaco, tra zone d’ombra e di tristezza. Mi sono tornate prepotentemente alla mente queste sue parole, mentre leggevo “La pietra sul tempo”, quando mi son venuti sotto gli occhi versi come questi: “Sono schiacciato da sensi di colpa / ogni giorno rimprovero me stesso / perché ho commesso azioni che non dovevo / e più ancora ho omesso parole che dovevo”. E, poco più avanti, nella stessa poesia: “Che risposta posso mai dare / oltre a lacrime amare dietro occhiali da ultimo sole / e il risveglio della mia compagnia, tristezza malinconia”.

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Sandro ci ha poi parlato di sé stesso, quella sera. Lo ha fatto soprattutto con le sue letture, ma anche in una breve introduzione. Ci ha detto di questa sua necessità poetica, di un fare versi per rievocare un passato fatto di nomi e di volti, soprattutto quelli di papà e mamma: un amore che non termina certo con la morte, ma che messo in versi: “L’amore è anche / sogno ricorrente che rompe il sonno / riapre ferite mai chiuse / di fughe inspiegabili in una vita che fu / oppure è ancora, chissà”.  Basta leggere versi come questi, proprio dalla prima poesia della raccolta, per capire l’immenso amore per la mamma: “Madre mia / mai mi allontanai da te / e il passo quando trascino la vita / sempre a te conduce”. Una poesia velata di una tenerissima patina di nostalgia. E per me, che da ormai svariati anni, ho perduto la mia, di mamma, parole che toccano la mia anima in profondità.

Sandro ci ha anche parlato di quel sé stesso giornalista e politico – scomodo – che si è scontrato spesso contro il potere che vuole sottomettere la cultura…e che estromette chi non si allinea proprio, a questo potere. Ma poi ha parlato, in modo rapsodico e zigzagante della sua poetica… ha definito la sua scrittura come “catartizzante” per sé stesso. In senso evidentemente aristotelico, ma detto con grande ironia. Toh, è pure simpatico, questo poeta elegiaco e tenero! Che poi ci ha narrato anche della nostalgia verso la sua terra natale, la Maremma…dalla quale ha dovuto presto staccarsi per una vita nella pianura piemontese, ma che non ha certo dimenticato: “Avevo 5 anni all’epoca / vivevo tra campi di gialla colza e sotto ombrelli pini / il blu delle colline si confondeva con quello cielo / e riparavano dall’alito salmastro del mare /…/ Unica la preoccupazione di bimbi al gioco / se l’aquilone di carta e canne sarebbe salito al cielo / e in quale direzione correre tirando lo spago controvento” …una bellissima rimembranza, che mi ha fatto venire in mente Cardarelli, ma anche Camillo Sbarbaro, che amo moltissimo.

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Poi le sue letture, la sua genuina commozione portata a galla dai versi, dai ricordi e dalle emozioni che quei versi sottintendono ed evocano. Commozione che credo abbia toccato un climax notevole quando ha letto la poesia dal titolo “Cos’è l’amore nessuno sa”…dico titolo anche se, a dire il vero, i titoli delle sue poesie sono semplicemente il primo verso (però tutto in maiuscolo) della poesia stessa. Il suo modo di leggere, come sopra accennavo, è molto intrigante: è come una dolce, incantatoria cantilena con alti e bassi musicali, che ti prende e ti avvolge. Nell’ascoltarlo mi sono venuti alla mente due versi di Francesco Guccini dalla bellissima canzone “Incontro”:  La tristezza poi ci avvolse come miele / per il tempo scivolato su noi due… Bene, in questa poesia, Sandro la dispiega magnificamente, questa tristezza che avvolge come miele, quando ci narra di “una figlia eterna che vedi sempre bambina / e ora mostra le linee di una madre generosa / gli occhi grandi di cerva protettiva alla prole / l’infinita tenerezza, la profonda sicurezza / per avere valicato il fosso e non essere più sola “, oppure, proprio all’incipit, la nipotina appena nata che allunga “una manina tesa alla barba grigia / un accenno di sorriso al volto nuovo”…ma poi, a parte la divertente – e presumo divertita – citazione di Gianna Nannini quasi al termine della composizione, ecco che, forse, l’amore è “Un viso smagrito, uno sguardo profondo / al filo della corrente della vita / una malinconica lacrima sul ciglio / oppure sorpresa felice per gesti / tratti fisici, movenze / che riconosci, lontani nel flusso del tempo”.

Parlerei ancora a lungo di questa raccolta poetica, che ormai sta nella mia biblioteca e che ho letto e introitato in me, ma una recensione ha la sua conclusione, e questa la concludo dicendo che le poesie elegiache di Sandro Buoro toccano profondamente la mia anima, che il loro colore azzurro di nostalgia lo sento mio, come quando dice: Potesse l’uomo invecchiare come l’estate / quando diviene autunno e l’ottobrata sottolinea / splendori della raggiunta maturità / … / l’uomo potesse fare lo stesso / negli anni che passano in fretta e ci trasformano / in vecchie querce per vita e resistenza / o in relitti per ferite dentro e fuori / che nulla riescono più a dare / all’equilibrio perfetto della selva / e delle stagioni. E quanta commozione e quanta tenerezza c’è in questo complicato invecchiare…

 

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