Alla ricerca di un assassino fra le notti e le nebbie di un dicembre alessandrino: “Il Tesoro della Baronessa” di Bruno Volpi.

Sono passati esattamente due mesi da quando a Casal Cermelli ho presenziato alla presentazione dell’ultimo Giallo di Bruno Volpi, Il Tesoro della Baronessa, pubblicato quest’anno nella collana Giallo Cassiopea, dalla Erba Moly edizioni, il cui editore, Piero Spotti, l’ha sapientemente introdotto, anche con parecchie domande mai banali e scontate…Ma non solo ho presenziato, l’ho anche vinto, il romanzo (nella lotteria di 10 libri x 10 partecipanti che a Casal Cermelli hanno felicemente inventato per le loro mensili presentazioni librerie) e portato soddisfatto a casa. E allora la domanda sorge spontanea, no? Perché ci hai messo così tanto a recensirlo? Beh in primo luogo perché sono un fan di Rino Gaetano…ma si, ve lo ricordate, quel giovane e originalissimo cantautore, morto a soli 31 anni nel 1981, che proponeva brani originalissimi dai testi spesso dissacranti? E che c’entra? C’entra, perché in una sua canzone, dallo strano titolo Mio fratello è figlio unico, ed un certo punto dice: E non ha mai criticato un film / Senza prima, prima vederlo…Ecco, anche se ben conosco giornalisti che parlano senza problemi di un film, un libro, una serata teatrale…qualsiasi cosa di culturale, in senso lato, senza prima vederlo, io, semplicemente, non lo faccio. Quindi, negli ultimi mesi, per quanto riguarda i libri, ne ho recensiti ben pochi, ma tutti dopo un’attenta e profonda lettura. Perché io ho anche un altro problema (ammesso e non concesso che lo sia): sono un seguace dello Slow Reading, ovvero del leggere lentamente – e con attenzione – per gustare e capire meglio e più in profondità un libro.

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Si: c’è stato un periodo della mia vita in cui leggevo forsennatamente, leggevo di tutto e di ogni argomento, avevo fame di introitare in me testi di ogni genere, da Camilleri a Bertrand Russell, da Isaac Asimov a Andrea De Carlo…e così via…poi mi sono imbattuto in un testo straordinario, che mi ha cambiato per sempre: Slow Reading, appunto, di David Mikics (Garzanti, 2015), dall’eloquente sottotitolo: Leggere con lentezza nell’epoca della fretta…E vi assicuro che, seguendo senza fanatismi questa tecnica, fatta di una lettura lenta e profonda, realizzata non per correre ad una conclusione, ma per provare piacere nel seguire le vicende narrate nel testo, i dialoghi e le varie tensioni dinamiche fra i vari personaggi, e per capire sino in fondo la pienezza del romanzo, si arriva a provare nella lettura un piacere intenso e insospettato.

Così è andata per i due precedenti tasti di Bruno Volpi che ho recensito su questo giornale: Chiaroscuri di donna e La tavolozza dell’anima, libri comunque narrativi, composti da racconti di Bruno Volpi sul difficile rapporto fra grandi artisti e le donne che li hanno amati (per chi fosse interessato: https://www.alessandria24.com/2023/06/09/lintricata-relazione-fra-grandi-donne-e-maestri-dellarte-nei-chiaroscuri-di-donna-di-bruno-volpi/.), e così è andata per questo giallo alessandrino. Che peraltro è il terzo della serie dedicata al Commissario Luigi Badalotti, ma il primo – e per ora unico – che abbia mai letto io.

Ed è un romanzo decisamente corale. O forse farei meglio a definirlo polifonico, con due cori che si confrontano, a volte mischiano le diverse tematiche musicali, a volte vanno in conflitto generando forti dissonanze. La contrapposizione avviene fra il personaggio corale principale, ovvero il gruppo di poliziotti coordinati dal Commissario, e il gruppo corale antagonista, ovvero il gruppo degli ultimi, dei senza fissa dimora, che è a sua volta in qualche modo capitanato da un simpatico quanto attento sacerdote, Don Lorenzo Cremasco, che è pronto, sì, a collaborare con la Polizia, ma a patto che vengano salvaguardati i diritti, di vivere in relativa serenità, dei senza tetto che lui sfama e aiuta. E di cristiano amore ama. Ed è fra questi due gruppi, che sono costretti a confrontarsi, perché è necessario per capire chi ha ucciso la cosiddetta baronessa, al secolo Antonietta Fusco, che un piccolo tetto in realtà lo possedeva, ma si sentiva parte di quel mondo dei vinti, di dropouts, che con il proprio tesoro avrebbe voluto fortissimamente aiutare il più possibile, che si innerva una serie di relazioni dinamiche complesse e variegate, che di fatto sono il succo, il tema profondo e assai interessante del romanzo. Posso dirlo? Quando leggevo il libro, più volte mi è tornata alla mente una vecchia e bellissima canzone di Fabrizio De André, La città vecchia…in particolare il finale dove dice: Ma se capirai se li cercherai / Fino in fondo / Se non sono gigli son pur sempre figli / Vittime di questo mondoEcco, la bravura narrativa di Bruno Volpi è proprio nel non farne dei gigli, ma neppure degli esseri umani di serie C. Con in aggiunta la capacità evidente, e non certo banale. di non omologare i caratteri e le personalità di questi singoli personaggi del gruppo antagonista.

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Ma Bruno Volpi fa un’altra operazione narrativa davvero ammirevole: inserire in un gruppo tutto maschile un personaggio femminile, che ne altera profondamente le dinamiche interne. Si sa, sociologicamente parlando, che in un gruppo di soli maschi, tende a prevalere l’aggressività (il testosterone dominante), mentre l’inserimento di un fattore femminile – dell’identica importanza sociale dei maschi già presenti – porta ad uno sconvolgimento sottile ma potente. Vi faccio un esempio: lei si chiama Barbara Rossi, è la figlia di un poliziotto amicissimo, prima di essere ucciso durante una rapina, del Commissario Badalotti – che peraltro non le riserva alcuna particolare facilitazione, nel gruppo del commissariato – ed è concentrata sul lavoro, motivata ed intelligente…ma quando racconta di non aver potuto correre fuori dal suo appartamento, casualmente accanto a quello della baronessa, per intervenire con la massima fretta, perché…nuda a fare il bagno…provoca una vera e propria onda di turbamento nel gruppo tutto maschile dei questurini, che non possono non frenare la loro immaginazione…magistrale!

Ecco allora la struttura, ben funzionale al testo: due attenti, pazienti e saggi comandanti, il Commissario Badalotti che guida il suo gruppo di questurini (in preda una sorta di piccola rivoluzione interna dovuta all’arrivo di Barbara Rossi), che…vivono una dinamica, verso i senzafissadimora, fatta di zero aggressività e molta attenzione, e poi dall’altra parte Don Lorenzo (a me ha ricordato Don Andrea Gallo, anch’esso grade amico e difensore degli ultimi, nonché grande amico di Fabrizio De André…chiederò a Bruno Volpi se lo ha preso a modello, appena ne avrò l’occasione), che guida il gruppo antagonista dei dropouts, ma costruisce con paziente attenzione, con empatia e finezza, la complessità di un confronto difficile e delicato… Badalotti e Don Lorenzo complici di umanità ed empatia…mica male, no?

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Non vi dirò molto altro sul romanzo, per non rivelarne le tensioni e le profondità, salvo che scrivere brevemente sulla personalità della baronessa, di Antonietta Fusco, esempio straordinario di generosità verso quei Figli, vittime di questo mondo…lei che l’unico figlio lo ha perduto, è in grado di spargere amore materno intorno a lei, senza se e senza ma…un grande personaggio. E Badalotti? Nonostante venga dalla Liguria, è molto alessandrino, nel senso che soffre e nello stesso tempo ama quel grigiore nebbioso della provincia…ma soprattutto non soffre di protagonismo, e nel romanzo non spadroneggia, non è né protervo né imperioso…ma è figlio di quell’intelligenza senza retorica che è, appunto, molto alessandrina…Leggendo il romanzo, però, lo confesso,  m’è venuta alla mente, pensando a quell’Alessandria così grigia e nebbiosa, una canzone di Francesco Guccini…pensavo a quei suoi vecchi versi così pertinenti, al nostro vivere in questi luoghi così poco avvenenti: Tutto questo lo sai e sai dove comincia / La grazia o il tedio a morte del vivere in provincia / Perché siam tutti uguali, siamo cattivi e buoni / E abbiam gli stessi mali, siamo vigliacchi e fieri / Saggi, falsi, sinceri, coglioni…già, e poi, però, quel titolo, così adatto a questo romanzo, e anche al mio modo di amare, nonostante tutto, Alessandria, che forse è anche quello di Bruno Volpi: Canzone quasi d’amore…

 

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