Ma era più bello il contenitore o il contenuto? La splendida mostra di Angelo Ruga nel magnifico castello di Monastero Bormida.

Io ero assai demoralizzato, chiuso in casa con la diagnosi di Covid, parecchio positivo e molto sintomatico, dispiaciuto per le tante cose che avrei voluto e dovuto fare nel fine settimana + il ponte dei Santi, un paio di settimane fa. Tra le tante cose, l’assegnazione, a Monastero Bormida, del Premio Monti a Gian Marco Griffi, per il suo fantastico “Ferrovie del Messico”. Grazie all’aiuto di Silvia Perosino, di cui vi ho parlato più volte in queste pagine, sono riuscito comunque ad imbastire un articolo su Griffi, il suo libro e gli ormai parecchi riconoscimenti che lo stesso ha avuto (lo potete, se vorrete, trovare a questo link: https://www.alessandria24.com/2022/11/01/e-se-fosse-davvero-il-caso-letterario-dellanno-gian-marco-griffi-e-le-sue-ferrovie-del-messico-vincono-il-concorso-nazionale-di-narrativa-augusto-monti/).

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Ed è stata proprio lei, Silvia, che mi ha segnalato la presenza, proprio lì, a Monastero Bormida, di una bella mostra, dal fascinoso titolo “Un segno lungo una vita”, dedicata ad Angelo Ruga, pittore nato a Torino nel lontano 1930, che ci ha lasciato, nella sua dimora langarola di Clavesana, nel 1999. Ma il tempo stringeva, la mostra terminava domenica 6 Novembre…così sabato 5, dopo un paio di giorni, finalmente, di riconquistata negatività, che fa rima con libertà, eccomi la, a Monastero, armato della mia fidata Canon, per gustarmi…il contenuto, ovvero la mostra di Angelo Ruga, ma poi anche, con altrettanta convinzione e piacere…il contenitore, ovvero lo splendido Castello di Monastero Bormida.

Perché in questa singolare zona di mondo posta fra il Monferrato e le Langhe, in questo paesino (900 abitanti circa), c’è un castello, che sta in basso ed il borgo sta in alto, proprio il contrario di quello che di solito avveniva nel medioevo…ma il castello è stato in primo luogo un monastero, appunto, e la torre un campanile – E quel casone lassù lo chiamano tuttora “il convento” – scriveva Augusto Monti, uno dei grandi insegnanti del Liceo d’Azeglio e di Cesare Pavese, che ha narrato questi luoghi e questa gente nel suo immenso libro titolato “I Sanssossi”.

Monastero Bormida, che fu fondato da un gruppo di monaci benedettini che, intorno al 1050 circa, arrivarono da San Benigno Canavese (e più in particolare dall’Abbazia di Fruttuaria), chiamati da Aleramo, marchese del Monferrato, per dissodare e seminare le terre devastate dalle invasioni dei Saraceni. Monastero che in quella grande piazza, quest’estate, ci han fatto teatro, e mi sono divertito un sacco. Monastero con quello straordinario colpo d’occhio del suo arco, unico in Piemonte, che collega la torre campanaria al corpo del castello. E Monastero dal ponte di pietra, fatto fare dai monaci (ad una mia passata visita organizzata dal FAI c’era un signore che insisteva sulla presunta origine romana del ponte, quasi litigando con la simpatica guida del FAI che cercava di fargli capire che, no, quello era proprio risalente all’epoca della fondazione del Monastero, anno 1100 o giù di lì), e che ha resistito a otto secoli di alluvioni.

E proprio lì, in quel posto davvero favoloso, una mostra d’arte, quella di Angelo Ruga, ospitata nel sottotetto del Castello-Monastero. Una mostra divisa su due grandi sale, per raggiungere la seconda delle quali devi uscire e passare lassù, in alto, sul camminatoio delle antiche mura di difesa del Castello. Fantastico. E allora ecco che tanta e tale la bellezza con cui hai a che fare, che fai fatica a capire se ti affascina di più il contenuto oppure il contenitore. Perché anche il contenuto è notevole. Si, perché Angelo Ruga non è un pittore figurativo, ma neppure un pittore del tutto astratto. Descrive le Langhe, la terra dove ha scelto di vivere, con lo sguardo di un piccolo aereo dal sapore antico, con tratti terragni, con sfumature di terra e di vigna, con colori semplici e diretti: neri, marroni, ocra, verde bottiglia, con uno sfondo grigio, ma spesso semplicemente bianco. Certe sue opere mi hanno regalato buonumore, soprattutto quelle dove si vede quel piccolo biplano stilizzato sorvolare un silenzioso mondo di vigne e colline, altrettanto stilizzato.

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Ma poi troviamo anche la cruda nudità dei paesaggi, silenziosi, senza biplani, senza tracce umane, con tratti che paiono pezze d’abiti contadini strappate dal vento: così essenziali ma nello stesso tempo così “veri”. Viene in mente, eccome, la terra di Langa, così bianca, così aspra da lavorare, con i suoi colori contadini e boschivi. Ma non solo colline, perché l’amore per una natura minuscola, ma frenetica di vita, lo troviamo invece nei suoi quadri pieni di insetti: grandi insetti che occupano la tela, la riempiono, in una frenetica vitalità, così vivaci e presenti da quasi farci percepire il profondo e cupo ronzio del loro incessante movimento. E poi uccelli che volano su campi autunnali, pannocchie residue e dimenticate, ma anche l’astrattismo di una testa piena di frenetici colori…come non pensare alla “Casa dei Doganieri” di Eugenio Montale dove “Entrò lo sciame dei tuoi pensieri e vi sostò irrequieto”?

Una serie di opere davvero splendide, che non sono per nulla naturalistiche, ma neppure sono votate ad un astrattismo assoluto, anzi. Vogliamo definirlo un naturalismo astratto? Dove si comprende bene quello che vediamo, che però non ha nulla di veristico, ma è sempre e soltanto evocazione di un mondo: le colline, la natura, le langhe. Che, in quell’estrema, straordinaria stilizzazione, mi catturavano con l’evidenza di una poetica originale e molto coinvolgente.

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Però, nel mio visitare quell’esposizione, mai ho perso di vista la straordinaria bellezza del contenitore! Perché la mostra è divisa nelle due grandi sale del sottotetto del castello, le mura a mattoni crudi, le travi bene in vista, bellezza dentro la bellezza, con un’evidenza affascinante, ammaliante. Ho passeggiato fra i quadri e le forme di questa esposizione, ma anche fra le mura del castello, dell’antico convento, con un’emozionante ammirazione e altrettanto stupore per quanto vedevo e quanto mi circondava.

Mi sono reso conto, riguardando le tante foto scattate, che erano suppergiù divise a metà fra il contenuto ed il contenitore, e tutto era come coperto da un velo di meraviglia. Ho esternato la mia meraviglia alla gentile persona che era all’accoglienza, ho comperato il piccolo ma ottimo catalogo della mostra, poi me ne sono andato da Monastero che calava l’oscurità…con l’idea di tornarci appena possibile, magari alla prossima mostra, che prima o poi certamente faranno, in questo luogo davvero straordinario.

 

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