Da Marengo al Museo Egizio, la forza del destino

14 giugno 1800, piana di Marengo.
Ore di battaglia cruenta: sangue, polvere, urla, cadaveri ovunque.
Gli uomini di Napoleone sono riusciti a sovvertire l’esito di uno scontro che sembrava perduto: gli austriaci ripiegano. Anzi, la loro è una vera e propri fuga, la disfatta prende corpo.
Gioacchino Murat, a capo di una divisione di oltre 2.500 cavalieri, non pago della vittoria, vuole ancora il sangue, la morte di altri nemici.
Proprio quando il sapore della vittoria è più inebriante, quando l’esaltazione provocata dalle urla dei nemici diventa qualcosa di tangibile, nel tanfo e nel terrore della morte che minaccia vinti e vincitori sul campo di battaglia, ecco l’imprevisto, il fato che non distingue i perdenti dai trionfatori.
Il cavallo di Murat viene abbattuto da una fucilata, il generale cade, rimane a terra tramortito, in balia del nemico: qualcuno dei fuggitivi lo vede e decide che uccidere un generale francese può essere un modo glorioso di sacrificarsi e, magari, di passare alla storia.
Sul generale sono in due, tre ad avventarsi e la sorte di Murat sembra segnata: misero destino, ad un passo dal trionfo.
Ma la storia o, se ci credete, il destino ha ancora in serbo un altro colpo di scena: dalla polvere, dalla nebbia della battaglia appare, come un fantasma, Bernardino Drovetti.
Un italiano a Marengo, per di più dalla parte dei francesi?
Bernardino è l’aiutante di campo di Murat.
Puro sangue piemontese: era il 4 gennaio 1776 a Barbania, nel cuore del Canavese. Aveva studiato a Torino e, affascinato dagli ideali rivoluzionari, nel 1796 si era arruolato come soldato semplice nell’esercito francese, provocando l’ira funesta del padre, fedelissimo dei Savoia.
Un predestinato: la sua fu una carriera fulminante e, così, lo troviamo a Marengo al fianco di Murat, anzi pochi metri più indietro.
Vede il generale a terra e non ha una attimo di esitazione: si getta a fargli scudo con il corpo, urla per attirare i rinforzi, alza le mani, nude nella foga del momento, ma l’ultima sciabolata nemica, prima della fuga, gli taglia di netto due dita.
Murat, però, è sano e salvo e, da quel giorno, si sentirà sempre in debito con questo coraggioso italiano.
Per Drovetti, seppur a scapito di due dita della mano destra, è l’inizio della fortuna.
Nel 1802, proprio grazie ai buoni auspici di Murat, ricevette da Napoleone la nomina a Sottocommissario alle Relazioni Commerciali ad Alessandria d’Egitto.
Anche in Egitto, la carriera di Drovetti è rapidissima: nel 1806 è già Viceconsole Generale di Francia in Egitto e in seguito Console.
Per Napoleone, evidentemente, il merito conta più del luogo di nascita, anche se “l’aiutino” di Murat certamente è ben accetto: del resto tra i due la stima è incondizionata.
Nacque in quel tempo in Europa l’egittomania, ossia la passione per i manufatti provenienti dalla terra dei faraoni.
Drovetti raccolse e immagazzinò migliaia di oggetti, di tutte le dimensioni, dapprima per passione, poi per necessità.
Era sempre in bolletta, anche e soprattutto perché i suoi emolumenti dalla Francia arrivavano con mesi, se non anni di ritardo.
Ad un certo punto decise quindi di vendere tutto.
A questo punto entrò in scena un altro piemontese, anzi un casalese: Carlo Vidua, singolare figura di esploratore, collezionista, bibliofilo e viaggiatore.
Tra il 1819 e il 1820, Vidua fu in Egitto e conobbe Drovetti.
Vidua comprese l’importanza della sterminata collezione di oggetti raccolti da quest’ultimo e si batté perché fosse il Piemonte e non la Francia ad acquistarla.
Il 23 marzo 1823 il re di Sardegna Carlo Felice firmò il contratto d’acquisto per una cifra esorbitante, 400.000 £, pari, si dice, a 700 milioni di euro, due terzi del bilancio dello stato sabaudo.
L’8 novembre 1824 apriva le porte al pubblico a Torino il primo Museo Egizio esistente al mondo.
Senza la battaglia di Marengo questa storia sarebbe stata diversa.

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Massimo Taggiasco

 

Fonti:

Drovetti l’Egizio di Giorgio Caponetti ed. UTET
Marengo Vittoria di Bonaparte di Antonino Ronco ed. Sagep
Il Gigante del Nilo di Marco Zatterin Ed. Mondadori

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