Dell’idraulico non vorrei parlare… (racconto ironico)

racconto ironico di Claudio Braggio, premiato al concorso nazionale “Il colore delle donne” anno 2016 e quindi pubblicato nell’antologia “Mi suona famigliare (Storie di legami eccezionali” (Ananke Lab)

Aggrottò le sopracciglia, Milena; così preferiva farsi chiamare anche quando non calcava le assi di un palcoscenico.

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Serrando le labbra allontanò gli angoli della bocca, in una smorfia mal riuscita più che un tentativo di sorriso.

Guardò l’altra sé stessa riflessa nello specchio del camerino, l’enorme parrucca bionda da cui spiccavano lunghe e ben disegnate sopracciglia a contornare l’azzurro dei grandi occhi.

Lo spettacolo comincia dall’immagine che si offre di sé.

Resistette alla tentazione di mostrarsi la lingua in segno di scherno, come aveva fatto in altre occasioni.

Per sentirsi subito meglio, non prendendosi troppo sul serio, assicurando quanti la sorprendevano che quel buffo gesto che era una specie di rituale “porte-bonheur”, un portafortuna come ancora diceva qualche sopravvissuto dinosauro del suo mondo.

Opportuni momenti di solitudine.

Esplorò con attenzione le pieghe del tempo sul volto, chiedendosi a che cosa erano servite le estenuanti sedute dall’estetista, se non a rallentare di poco l’inevitabile degrado.

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Si convinse ancora una volta che non si possono affatto chiamare rughe quelle linee che esprimono emozione, sentimento, qualsiasi cosa.

Qualsiasi cosa che non fosse il tempo.

Qualunque cosa fosse mai il tempo.

Ingurgitò aria e riempì le guance, che avrebbe voluto avere ancora pienotte come quand’era giovane.

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In quel tempo non sarebbe parsa tanto ridicola.

Troppo ridicola.

Anche se si sentiva buffa e paffutella.

Per questo la prendevano in giro, allora.

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Non soltanto per questo, ma di tutto il resto non le era mai importato molto e dicendo a sé stessa d’aver spalle larghe, aveva sopportato anche le umiliazioni.

Invece, buffa e paffutella…

Buona cosa quando s’apre il sipario e ti riveli al mondo che popola i teatri.

Meno se vuoi ammaliare davvero i cuori e non sei avvolta nella magia protettrice e senza orologio del buio di una sala, con animi che desiderano soltanto essere allietati.

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Tuttavia, proprio per quello aveva scelto di fare, anzi di vivere il teatro.

Un mondo che l’aveva accettata, senza chiederle altro se non di esibire il suo talento.

Forse un poco istrionico.

Di certo naturale inclinazione sin dalla più tenera età.

Con studiata lentezza indirizzò lo sguardo verso la sua destra.

Senza muovere il capo.

Ancora una volta volle osservare con discrezione l’ovale perfetto della sua compagna di camerino, in apparenza del tutto presa dalla narcisistica seduzione che sapeva esercitare non soltanto sugli uomini.

Labbra carnose senza esagerazione.

Incarnato dipinto con soave leggerezza.

Più d’ogni cosa le invidiava quella sua insopportabile giovinezza, che aveva magistralmente imparato ad utilizzare sapendo ora tenere a bada, ora scatenare gli atavici istinti maschili.

“Dell’idraulico ora non vorrei parlare…”, Milena impostò la voce e ripeté più volte, aprendo e chiudendo in modo esagerato le labbra per mettere in movimento tutti i muscoli facciali.

Sapeva con certezza quali riti di seduzione era in grado di mettere in atto la sua giovane amica, essendole stata confidente e maestra.

Pur non volendole essere amica.

“Dell’idraulico ora non vorrei parlare…”, anche la giovane attrice ripeté la battuta, riempiendo il vuoto delle pause, lo sguardo fisso allo specchio.

Amica proprio no; non le era mai sembrato possibile.

S’intendevano molto bene, certo, ma quanto bastava per essere affiatate sul palcoscenico.

L’una dell’altra sapevano diverse cose ed altre ancora le intuivano o più semplicemente le avevano apprese da conoscenze comuni, ma non si erano mai confidate molto.

Soltanto reciproche e condivise sensazioni.

Come in quell’istante che parve ad entrambe propizio per fissare la propria immagine riflessa allo specchio e nel contempo comprendere anche quella dell’altra.

Senza distinzione.

Ancora una volta erano diventate qualcosa di unico.

Indivisibili.

“Dell’idraulico ora non vorrei parlare…”, d’improvviso recitarono all’unisono.

Con gli stessi toni e le medesime inflessioni.

Identiche coloriture vocali.

“Perché se lo chiami, arriva dopo una settimana e ti fa pagare anche il tempo dell’attesa. Nonostante tutto non ha neppure una parola di scusa. Cambiando continuamente discorso dice d’aver finalmente trovato l’amore. Dopo averti spostato sette o forse anche otto appuntamenti, decide di andare a convivere con una donna. Un’altra donna. Un’altra donna che non sei tu, naturalmente. Che forse avresti potuto esser tu, ma non lo sei. Coll’idraulico è sempre una lotta. Una tremenda lotta per chi arriva prima. E poi oggi ha finito col dirti che ha dovuto rivedere la sua agenda. È costretto a dividersi fra sentimento ed impegni lavorativi. Capisco tutto, ma proprio ora che dobbiamo cambiare le tubature del bagno… Per questo, dell’idraulico preferirei non parlare…”

Si volsero l’una verso l’altra.

Ciascuna sapeva che il cuore dell’altra aveva accelerato i battiti, esattamente come il proprio.

I loro occhi si cercarono.

Gli sguardi si fecero ancora una volta intensi, amorevoli, profondi.

Avrebbero voluto lasciar scorrere lungo le guance almeno una lacrima, ma sapevano che non avrebbero potuto permetterselo.

Occorre tener da conto il trucco quando si è ormai prossimi al “chi è di scena”.

Per questo si sorrisero con intesa complice, anche per stemperare la tensione.

Secondo un rituale, che a parer loro portava fortuna, un altro “porte-bonheur”.

“Sarebbe toccato a me, stasera…”, disse con voce impostata Milena e lasciò una pausa che la giovane attrice riempì con la respirazione.

“Ti sbagli”, rispose la giovane in modo secco.

“Ti ripeto che sarebbe toccato a me mettere il costume di scena rosso”.

“Dovremmo fare una volta per ciascuna, sempre”.

“Secondo me contano anche le serate annullate. Eccome se contano!”.

“Non mi pare proprio che in questo modo possa andare bene”.

Milena serrò le labbra e con grazia si alzò in piedi, avvicinò una mano alla guancia della giovane attrice e fece un paio di volte l’atto di carezzarla, sfiorandola appena.

La giovane mantenne il contatto visivo, inarcò la schiena gonfiando nel contempo il seno che pure aveva prosperoso, riempiendo quanto più possibile il suo rosso costume di scena.

Apprezzavano molto entrambe quegli istanti di silenzio fra loro.

Milena sorrise: “Mi ricordi molto tua madre quando indossi questo costume di scena… Questo è disegnato esattamente come il suo… Mentre al mio ho dovuto far fare troppo modifiche… Si vede che invecchiando mi allargo, un poco… Sui fianchi soprattutto”.

Lo sguardo della giovane attrice si fece amorevole.

“Sai, mi ricordi molto tua madre…”

La giovane attrice rimase silente e si alzò.

“Molto… Avete lo stesso sorriso…”

Distolse lo sguardo, con malcelato imbarazzo.

“Lo stesso modo di fare…”

Fece scorrere velocemente le dita affusolate su rossetti, scatole di cerone, spazzole e tutti gli oggetti che ingombravano il tavolo del camerino, spostandoli semplicemente di posto; faceva così ogni volta per vincere il disorientamento, “Si capisce che le hai voluto molto bene”, rispose infine con un filo di voce.

Milena d’un tratto aggrottò le sopracciglia, mostrandosi platealmente contrariata: “A chi stai portando la voce? A te stessa? Che cosa ti ho insegnato? Sta bene attenta, maledizione! Guarda che c’è sempre un pubblico, anche quando è formato da una sola persona! Un poco più di rispetto! In questo caso ci sono io ed anche se siamo compagne in scena, devi renderti conto che sono anch’io parte del pubblico. Che cosa credi di fare? Vuoi mandare tutto all’aria?”

La giovane attrice si guardò tutt’attorno con espressione smarita; inspirò con energia e riprese il suo ruolo, con voce sicura e capace di essere ascoltata lungo l’intero corridoio dei camerini: “Hai ragione. Scusa. Intendevo dire… Che le hai voluto molto bene anche tu!”

“Come sarebbe a dire…”, rispose Milena fingendosi indignata, “Con questo anche tu…” e si stemperò in un sorriso sornione.

“Oh, certo…”, la giovane attrice annuì, “Tu l’hai conosciuta prima ed io sono la prova evidente che vi siete voluti molto bene, davvero molto bene”.

“Non immagini quanto”.

“Sì che lo immagino… Che lo posso immaginare… Visto che dopo siete rimaste amiche anche dopo che… Non soltanto sulla scena”.

“Infatti…”

Si guardarono negli occhi.

Brillavano tutti e quattro.

Silenti per l’emozione.

Rimasero mute, percependo il loro respiro.

Lo stesso ritmo.

Gli stessi battiti.

Per questo sulla scena riuscivano ad avere lo stesso andamento.

E le parole lo stesso suono.

Si protesero l’una verso l’altra e si abbracciarono.

Rimasero così avvolte per un istante sospeso, fino a quando nocche colpirono la porta ed una voce rauca bruscamente avvertì “chi è di scena!”

Riaprirono gli occhi, cedendo all’impulso di introiettare l’immagine allo specchio di loro due confuse in un solo corpo.

Se in quell’istante qualcuno avesse detto loro che erano buffe e paffutelle, trovandola più che somiglianti, non avrebbe sciolto l’abbraccio per lungo tempo.

Anzi si sarebbero strette ancor più forte l’una all’altra.

C’era e c’è sempre una pausa che raffredda le emozioni.

Prima di allora, la giovane attrice, sciogliendo dolcemente quell’unione, dischiuse appena le labbra e a fil di voce sfidando il rimprovero lasciò scivolare un “Grazie…” presto raggiunte dal dito indice di Milena nel vano tentativo di interrompere la frase, “Papà…”

Milena scosse appena il capo e canticchiò un moderato, a tempo e dolcemente: “Non mi chie-de—te… un ba-cio, tan-to… non ve lo do… ba-ciar co-sì,… se lo vor-re—te… il ba-cio, non vi… re-si-ste-rò… ma il so-gnomio…”

Con un’altra brusca interruzione della roca voce di poco prima che diede imperiosamente i “cinque minuti!” e le ridestò.

“Chiamami Milena”, riprese con un tono un poco più secco, “Soltanto e semplicemente Milena. Non ti chiedo nient’altro, sai bene”.

La giovane attrice annuì.

“Non vorrei che ti sbagliassi quando siamo in pubblico o comunque con la gente”, inspirò profondamente e modulò l’uscita del fiato e delle parole, “Milena, chiamami sempre Milena che va bene. Quel “papà” tienilo ben bene nascosto nel tuo animo e stai sicuro che quando mi chiamerai Milena, in cuor tuo sarà come se mi dicessi quell’altra parola”, fece una pausa.

La giovane attrice annuì ancora

“Te ne sarò sempre grata, figlia mia”.

“Soltanto…”

“Soltanto che cosa?”

“Soltanto, potremmo cambiare l’inizio e non fare “Non mi chiedete un bacio” e mi piacerebbe sostituirlo con “Taxi”. Che cosa ne pensi?”

Milena trasalì: “Che cosa?”

“Uno slow fox trot, giusto per dare un poco più di brio allo spettacolo…”

“Come sarebbe a dire?”

E la canticchiò, prima sommessamente e quasi subito un poco più decisa, senza mai staccare lo sguardo speranzoso dalla compagna di scena: “Se vuoi con-qui-star d’un bel vi-si-no l’a-mo-re tu, sen-za e-si-tar de-vi chia-ma-re un ta-xi. Lei, lì per lì vuol pro-te-sta-re “Le pare… Le pa-re…” Ma se tu in-si-sti e sai ben fa-re si sie-de a te vi-cin. Ta-xi! Ta-xi!” e via così…”

In un altro momento le avrebbe ringhiato contro.

“Visto che questa era una delle canzoni preferite di mamma…”

I ricordi sono schegge che non potrai mai contare.

“Di quelle che voi due portavate sempre in scena…”

Ti pare d’averli inventariati.

“E che oggi sarebbe stato il suo compleanno…”

Già, sono tutti quanti dentro di te.

“Allora ho pensato che…”

Con l’amara capacità di sorprenderti ogni volta.

“Se vuoi con-qui-star d’un bel vi-si-no l’a-mo-re tu, sen-za e-si-tar de-vi chia-ma-re un ta-xi…”

Così si finisce col farsi travolgere da loro e Milena non poté fare a meno di unirsi nel canto allegro: Lei, lì per lì vuol pro-te-sta-re “Le pare… Le pa-re…” Ma se tu in-si-sti e sai ben fa-re si sie-de a te vi-cin. Ta-xi! Ta-xi!”…”

E risero, di gusto, insieme ancora una volta.

Forse il loro legame ad essere buffo, perché ce ne avevano messo del tempo tanto per accettarsi prima ciascuna a sé stessa e poi reciprocamente-

Avevano raggiunto una buona intesa sul palcoscenico, segno evidente che ci avevano lavorato un bel po’ entrambe.

Senza nascondersi dubbi e incertezze.

Quasi del tutto.

Suvvia, in buona parte…

Per esser onesti.

La voce rauca venne d’improvviso associata al un volto rabbuiato del direttore di scena, il quale spalancò la porta del camerino e prima che potesse profferir parola le due attrici, all’unisono, lo rassicurarono. “Siamo pronte!”

Milena e la giovane compagna di scena s’avviarono traversando il corridoio, guadagnarono le quinte e si disposero al centro della scena, essendo il sipario ancora calato.

Si scambiarono di posto; due volte.

Dinanzi a due piantane con microfoni di vecchio tipo, incrociarono le dita ed annuirono, entrambe, socchiudendo gli occhi allo stesso modo.

Il pesante sipario ovattava le battute dell’attor comico, che stava occupando il proscenio come s’usa fare nell’avanspettacolo.

Il pubblico rideva, a tratti.

L’euforia dell’attesa prima di entrare in scena stava già producendo adrenalina.

A preoccuparle non era tanto la paura che le stava attanagliando lo stomaco, come ogni volta accade prima di uno spettacolo, quanto l’eccesso di energia, di forza che avrebbero dovuto tener sotto controllo.

Come nelle gare d’atletica.

Lo sforzo è lo stesso.

La potenza dev’esser dosata.

Le risate via via più intense e lunghe aumentavano la carica emotiva soprattutto loro due che stavano in attesa dietro le quinte, perché chi era di scena si stava godendo il successo.

Sarà tutto effimero, ma quei momenti così intensi si trovano in pochissimi frammenti della vita.

Per questo gli attori, le attrici letteralmente se ne cibano e vogliono presto tornare a calpestare le assi del palcoscenico.

Altrimenti si ammalano.

Non una vera e propria malattia, ma gli effetti negativi li produce egualmente.

Nella vita vera pure ci sono quei momenti.

Mancando l’esistenza umana di un copione, comunque di un copione rivelato, sono imprevedibili.

Ci sono, eccome se ci sono.

Come quando una figlia ritrova il padre assente da molti, troppi anni.

E lo ritrova cambiato, decisamente molto cambiato.

L’importante è ritrovarsi e basta poco per farlo.

Una mano, non ha importanza di chi, che si allontana dal corpo per cercare al proprio fianco, sapendo che la mano dell’altra ha la stessa intenzione.

Le dita fluttuano nell’aria.

La ricerca ha la stessa intensità dell’attesa dell’andare in scena.

Le dita si sfiorarono; si avvicinarono; si toccarono.

Le due mani si strinsero.

Soltanto il sipario avrebbe potuto distaccarle, ma giammai separarle.

Quando ci si ritrova il legame può diventare più forte di quel che sarebbe stato se non ci si fosse mai lasciati, essendo in quest’ultimo caso addormentato nella sicurezza, nella convinzione che nulla si può spezzare.

Non è forse questo il motore di ogni narrazione?

A noi umani piace sentir raccontare delle storie.

Tuttavia, non è che ci aspettiamo anche di doverle vivere, di doverle interpretare assumendo uno dei ruoli in commedia.

“Smarrire qualcosa per darle infine il giusto valore…”, sussurrò Milena, a fior di labbra, convinta d’aver parlato soltanto a sé stessa.

La figlia le volse lo sguardo e scosse la testa: “Porta la voce. Porta la voce. Che altrimenti in fondo alla sala l’ultimo degli spettatori non ti sente e anche lui ha pagato il biglietto…”

Già, ne ha buon diritto.

Deve poter ascoltare tutto distintamente, affinché possa applaudire.

Come stava accadendo in quel momento, coll’attore che le aveva precedute le stava annunciando, come intuirono dalla fragorosa approvazione del pubblico che accompagnò la sua uscita di scena.

Bene, avrebbero trovato il pubblico ben disposto nei loro confronti.

Che il talento da solo non basta, non basta mai.

Anche quando ritorni in scena.

Anche quando si propone il vecchio, consolidato repertorio.

Senza la compagna di sempre.

Con una sostituta che tanto le somiglia, non soltanto fisicamente, come gli astanti finalmente poterono vedere all’apertura del sipario.

Non appena il sipario si mosse, lasciando un pertugio che cominciò a rivelare il pubblico, le due attrici sciolsero il legame fisico e sollevando il mento Milena riconobbe: “Il vestito rosso ti sta d’incanto”.

La giovane attrice inarcò la schiena e gonfiò il petto e con lo sguardo cercò di carpire l’attenzione di ogni singola persona che le stava seduta dinanzi, in platea.

Milena sollevò con grazia le braccia al cielo e con le mani disegnò cerchi nell’aria producendo un generale moto d’entusiasmo.

“Grazie!”, quasi urlò, “D’esser venuti così numerosi qui stasera”.

Applausi.

Riprese con tono pacato, “Sarà per noi un piacere intrattenervi”, sorrise compiaciuta, “E giusto per cominciare alla grande, vi faremo un mio vecchio cavallo di battaglia”, alzò un poco il tono della voce, “Non mi chiedete un bacio!”

Applausi.

E subito dopo l’orchestra partì senza indugio con le prime battute della canzone: “Non mi chie-de—te… un ba-cio, tan-to… non ve lo do… ba-ciar co-sì… se lo vor-re—te… il ba-cio, non vi… re-si-ste-rò… ma il so-gnomio…”

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