Il grande giornalismo con le grandi fotografie: Mario Calabresi porta a Santo Stefano Belbo “Una storia fotografica”, racconto in 12 fotografie degli eventi che hanno fatto la Storia degli ultimi cinquant’anni.

Ormai è notte, nella periferia fatta di capannoni industriali, a Santo Stefano Belbo. Donatella – che mi aveva segnalato l’evento – avrebbe dovuto guidarmi dove si teneva l’incontro fra Mario Calabresi e i suoi lettori ed estimatori, ma giravamo un po’ a vuoto, un po’ persi, un po’ increduli: possibile che la presentazione di un libro avvenisse in un luogo così inusuale? Né in libreria né in biblioteca ma in un capannone? Da non credere…invece sì: ecco un grande capannone, una porta aperta e parecchia gente che sta entrando. Si tratta del Tosa Group...ma, confesso la mia ignoranza, non so proprio cosa facciano. Ma grazie alla nostra immensa enciclopedia portatile, ovvero smartphone e internet, ecco che lei mi legge che si definiscono un gruppo italiano, a proprietà familiare, tra i leader nel mercato internazionale del fine linea…riusciamo a soddisfare ogni esigenza di stabilizzazione e sicurezza dei carichi pallettizzati e non con una gamma completa di avvolgitrici, fardellatrici e reggiatrici.

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Cosa sia una fardellartice mi rimane un po’ oscuro, ma non credo sia il caso di indagare oltre. Entriamo, ed in effetti l’ambiente è proprio un capannone industriale, molto ampio, molto pulito, molto ordinato. Impressionante. Mario Calabresi è lì, in fondo, presso l’ampio ingresso, che ascolta attentamente qualcuno che a vederlo pare assai importante. Io mi guardo intorno, e mi rendo conto che il punto dove verrà presentato il libro – ma c’è anche un telo per le diapositive – è decisamente lontano. Meglio cercare un posto strategico. Ed eccoci infatti in seconda fila, proprio dietro le indispensabili autorità e dietro gli organizzatori…vista di Calabresi e sulle diapositive: ottima. Ma cosa mai vedranno quelli che stanno laggiù in fondo? Mi chiedo. Ed ecco che, dopo i vari saluti e le varie dimostrazioni di stima varia verso un grande giornalista, finalmente la parola a lui. Che si rivela da subito uno straordinario e trascinante affabulatore. Credo tutti lo abbiate visto il TV…ecco, live e da solo è decisamente meglio.

Ma di fatto di cosa ci narrerà Mario Calabresi? In occasione dell’uscita per Mondadori della nuova edizione del libro A occhi aperti (la prima edizione è del 2013 per Contrasto) Calabresi ha portato a Santo Stefano Belbo una presentazione che ha voluto intitolare Una storia fotografica, che è un racconto – in 12 fotografie – degli eventi che hanno fatto la Storia degli ultimi cinquant’anni. Ed è lo stesso Calabresi che ci spiega: Questo non è un libro sulla fotografia ma sul giornalismo, sull’essenza del giornalismo: andare a vedere, capire e testimoniare. Molto serioso? Non troppo, perché Calabresi introduce la sua presentazione con un ricordo molto ironico e divertente, riferito alla difficoltà di riuscire proprio a farlo, questo libro. Perché tutti i grandi fotografi che avrebbe voluto intervistare gli chiedevano chi avesse già intervistato, e alla sua risposta disarmata nessuno…beh, si negavano essi stessi. Un problema apparentemente insormontabile. Poi a Milano si sta allestendo una mostra di Josef Koudelka (il grande fotografo della repressione sovietica del 1968 a Praga) e Calabresi ci va. Subito la situazione pare ancora una volta irrisolvibile…poi Koudelka gli chiede di dare una mano per allestire…Calabresi aiuta…viene invitato a pranzare con tutti loro. Il grande fotografo gli parla del piacere di gustare il cibo italiano, pomodori e mozzarella in primis…e ecco che allunga la sua stessa forchetta con un pomodorino da far gustare a Mario Calabresi. Dopo un attimo di perplessità, lui comprende che con quel gesto conviviale viene messo alla prova…mangia il pomodorino dalla stessa forchetta del fotografo, e pochi giorni dopo otterrà l’intervista tanto agognata, che aprirà la porta, finalmente, a tutte le altre. Sembra un’invenzione letteraria, no? Beh, che sia vero o meno, Calabresi ha creato, con questa narrazione, un’atmosfera rilassata e molto attenta. Magistrale.

E poi la narrazione ci porterà nel mondo di alcuni dei grandissimi fotografi del 900 e dei nostri giorni. Nel libro i fotografi sono 12, ma la serata ne vedrà come protagonisti 4: Steve McCurry, Susan Meiselas, Paul Fusco e Letizia Battaglia. Questa è l’unica che non ha mai conosciuto di persona, ma che Ha fatto la differenza nella mia vita come in quella di tantissimi italiani, una donna che ha usato la sua macchina fotografica come strumento di impegno sociale, (…) come arma contro la mafia. Consentitemi di fare un breve sunto di quello che ci ha narrato Mario Calabresi, almeno di tre fotografi su quattro, sperando di suscitare in voi lo stesso stupore che ci ha suscitato la narrazione… ed insieme anche all’ammirazione per gli straordinari fotografi / giornalisti di cui ci ha parlato.

Iniziando dal famosissimo Steve McCurry. Alzi la mano chi non ricorda il ritratto incredibilmente bello della giovane ragazza Pakistana, che ha fatto davvero il giro del mondo. Ma la narrazione di Calabresi segue invece la traccia dell’acqua sporca. Siamo nel 1983. Steve McCurry comincia un lungo viaggio per testimoniare e raccontare, per il National Geographic Magazine, la stagione del monsone, tra India, Nepal e Bangladesh. Una serie di foto e reportage, dove parlerà dell’aridità e delle tempeste di sabbia… e poi della vita sommersa dall’acqua. Il tutto lo porterà a vincere quattro World Press Photo in un colpo. Le foto che vedete sotto narrano di una potente alluvione. Lui stesso ci narra che: Alla fine ho capito che l’unico modo per lavorare era entrare in quel fiume marrone con le mie vecchie scarpe da tennis. È successo a Porbandar, un piccolo villaggio del Gujarat a nord di Bombay, è lì che ho preso coraggio e ho trascorso quattro giorni nell’acqua fino al petto tra i corpi degli animali: c’erano topi, cani e mucche morte che galleggiavano e che cercavo continuamente di evitare. Questo gli ha lasciato segni indelebili sul suo corpo: le cicatrici delle sanguisughe che lo hanno attaccato brutalmente. Ma le sue foto hanno assunto un incredibile, drammatico realismo, come si può ben vedere dalle due foto sotto…una dove è ritratto lo stesso McCurry, l’altra un sarto che mette in salvo…tutta la sua azienda…la sua vecchia e malandata macchina da cucire.

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Altra vicenda davvero unica è quella dell’americano Paul Fusco. Che aveva 38 anni quando il feretro di Robert Francis Kennedy partì da Penn Station, a New York, per arrivare alla Union Station di Washington. Il candidato democratico era morto due giorni prima a Los Angeles, colpito da un proiettile alla testa mentre festeggiava la vittoria alle primarie della California. Dopo le esequie a New York venne portato in treno ad Arlington, per la sepoltura…. un viaggio infinito, che durò 8 ore al posto di due, perché i ferrovieri misero sopra i sedili la bara, e rallentarono di molto la velocità del treno, per consentire ad un mare di gente che sostava lungo la ferrovia di poter dare il loro spontaneo omaggio a Robert Kennedy. Fusco fotografò volti e persone, gente commossa e triste, quasi 2000 foto di un reportage unico al mondo. La mia immagine preferita è quella in cui si vedono un padre e un figlio su un ponticello di legno che fanno il saluto militare, dietro di loro la madre ha la mano sul cuore. Il giovane è a torso nudo, hanno i capelli arruffati. Quella è la foto simbolo dell’America dopo l’omicidio di Bobby, ci narra Fusco, nel libro. Però le sue foto nessuno gliele pubblica, incredibilmente. Passano ben trent’anni. Fino a che un giovane che era stata appena assunta dalla Magnum come Photo Editor, Natasha Lunn. Che telefona al George Magazine, il mensile del giovane John John Kennedy, il nipote di Bobby. Impiegò solo due minuti a convincerli e finalmente io vidi le mie foto pubblicate. Da allora il successo di questo incredibile reportage non si fermò più. Ma la parte divertente del racconto riguarda il fatto che Fusco, parlando con Calabresi quando questi era Direttore de La Stampa, inveì a lungo contro i direttori di giornali in generale, che avevano rifiutato le sue incredibili foto, cercando di convincere ancha un Calabresi assai imbarazzato che tutti i direttori fossero degli emeriti cretini!

E veniamo a Letizia Battaglia, nata a Palermo e che per quasi vent’anni – dal 1974 fino all’omicidio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – è stata una coraggiosa fotografa che avrebbe sfidato l’indifferenza, l’omertà e tutta quell’Italia che non voleva vedere la mafia, la negava, la minimizzava o la accettava come un male ineluttabile o un comodo alleato. Che fotografava i morti ammazzati e l’orrore di una città, Palermo, abbandonata alla mafia e alla sporcizia. Calabresi sottolinea il coraggio di quell’unica donna in un mondo tutto di uomini. Spesso la bloccavano, non la consideravano credibile, anche per via di quell’abbigliamento hippy con gli zoccoli ai piedi e le gonne a fiori (…) A cambiare le cose ci pensò il capo della squadra mobile di Palermo, Boris Giuliano – «Il primo sbirro che si era fatto amare da noi, moderno, colto, gentile, determinato e che aiutava giornalisti e fotografi nei momenti più difficili» –, che un giorno disse ai poliziotti che l’avevano fermata: «La signora deve fotografare». Da allora nessuno osò più ostacolarla. La foto forse più famosa di Letizia Battaglia è quella dell’assassinio del presidente della Regione Piersanti Mattarella, il cui corpo è tra le braccia del fratello Sergio…il nostro attuale Presidente della Repubblica. Ma con il passare degli anni, l’orrore aumentava, troppo sangue, troppe stragi. Anche documentare diventava sempre più intollerabile. Così di fronte alle stragi che eliminarono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – insieme alle persone delle loro scorte – non ce la fece più.  Non scattò nulla. quell’orrore assurdo e assoluto aveva fatto tacere anche una straordinaria combattente come Letizia Battaglia.

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E con questa straordinaria figura di fotografa combattente e coraggiosa è terminata la presentazione di Mario Calabresi, avvincente davvero, che ci ha portati sulle tracce di donne e uomini straordinari, che hanno utilizzato la loro macchina fotografica per capire e narrare il mondo.

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