Le Ferrovie del Messico diventano parola e commozione: il Reading teatrale dal libro di Gian Marco Griffi agli Alberi d’Acqua di Asti
Giovedì scorso ho avuto la fortuna di poter partecipare ad un evento davvero splendido, nella sua complessa semplicità. Lo ha ideato e organizzato Gian Marco Griffi, lo scrittore di Ferrovie del Messico, di cui su queste pagine vi ho parlato parecchie volte, che ho avuto il piacere immenso di presentare altrettante volte, sempre con un notevole appagamento, anche perchè con me e Gian Marco ha sempre partecipato Silvia Perosino, che con le sue letture, con la sua voce calda e ben timbrata, porta sempre un contributo essenziale alla serata libraria.
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Ma questa volta non era una presentazione come altre, anzi, non era neppure una presentazione, ma un Reading teatrale, ovvero una lettura scenica, che lo stesso Griffi ha tratto dal suo immenso romanzo. Organizzato come omaggio alla libreria Alberi d’Acqua che festeggia in questo periodo il suo 25° compleanno. Allora, l’idea di Gian Marco è stata quella di schierare – in uno spazio assai angusto, peraltro, ma con un pubblico che lo ha totalmente gremito, molto attento e coinvolto – sé stesso in una parte solo mimica, con una maglietta con la scritta cesco magetti più due attrici, Silvia Perosino e Paola Sperati, e due attori, Fiorenzo Fiori e Roberto Gasco, più l’ingombrante presenza del sottoscritto, nella parte del Banditore, ovvero quello che introduce la scena (tipo: Comando della Guardia nazionale repubblicana ferroviaria di Asti, 8 febbraio 1944, per intenderci), ma è stata una presenza straordinariamente coinvolta e coinvolgente, e ringrazio Gian Marco per avermi voluto nel gruppo – e poi, vuoi mettere la soddisfazione di avere il mio nome in locandina? – e avermi dato la possibilità di vivere come addetto ai lavori questa bellissima esperienza.
Ma la geniale idea di Griffi è stata quella di rendere vivo un vero e proprio tormento: il mal di denti di Cesco Magetti, che tormenta il Griffi mimo praticamente tutto il tempo del Reading – così come nel libro – pizzicandolo, mormorando, molestandolo in mille modi…con una maglietta identica a quella del Griffi, ma con la scritta, appunto mal di denti. L’ha interpretato Paola Sperati, attrice non solo brava ma simpaticissima, che ho visto recitare in più occasioni e ho a suo tempo paragonato – per la sua leggerezza nel porsi – ad Ariel, lo spirito dell’aria della Tempesta di Shakespeare. Mimo tutto il tempo, sino al fatidico momento in cui il male scompare, e quindi lei ha recitato, da par suo, il prezioso monologo scritto da Gian Marco, con questo geniale incipit: Oggi sono morto, e l’anima di Cesco ha subito una metamorfosi. Per tutta la notte ho urlato impazzito la mia voglia di vivere, ho pianto e ho emesso quel grido, come un sibilo luttuoso, feroce e fragoroso, muto e placido, che ogni creatura vivente emette negli attimi che precedono la morte… Bravissima Paola (beh, io ero lì ad un metro) che è stata giustamente applauditissima.
Ma se questa è stata la parte più originale, che estraeva dall’immenso libro di Griffi una nuova prospettiva narrativa, tutto il resto è stato un’appassionata lettura scenica, con dialoghi e contro dialoghi, monologhi e sprazzi di teatro (la lotta per possedere Cesco fra Tilde e il mal di denti), dove si alternavano i sapidi dialoghi, nella Caserma della Guardia nazionale ferroviaria di Asti, fra Cesco e il suo superiore, l’Aiutante Capo. Dialoghi divertenti e surreali, dove Fiorenzo Fiori e Roberto Gasco (rispettivamente Cesco e l’Aiutante Capo) cercavano di dipanare il nodo della mappa delle vagheggiate Ferrovie del Messico.
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E poi i momenti dei grandi monologhi. Una grandissima Silvia Perosino, che ha lavorato moltissimo alla preparazione della serata, ha letto, con un accento veneto assai ben costruito e affascinate, il monologo di Anna, la domestica – badante di Tilde, la grande protagonista femminile di Ferrovie. E qui vi devo raccontare un piccolo episodio. Perché fino ad un certo punto delle presentazioni del libro, Silvia leggeva questa cosa in perfetto italiano…poi, un giorno dello scorso autunno, mentre presentavamo il libro al magnifico Palazzo Treville di Casale Monferrato, ecco che lo ha iniziato a leggere con questo azzeccatissimo accento veneto, tra l’altro recitato senza drammaticità, ma con una fluida vena popolareggiante…ma il fatto è che non aveva detto nulla né a Griffi né a me, che ci siamo guardati con un bel punto interrogativo sul viso tutti e due…e abbiamo poi seguito con felice attenzione la bellissima lettura veneta di Silvia. Lettura che è stata coronata giustamente da caldissimi applausi.
Poi la commozione, e tanta. Prima con il monologo, magnificamente letto da Fiorenzo Fiori, per la sepoltura di un povero bambino morto e abbandonato, in Messico, nella polvere della strada. Si tratta di un brano davvero magistrale, dove Gian Marco scrive in una prosa immensamente poetica un qualcosa di assolutamente indimenticabile, da leggere e da rileggere. Quando lo lessi la prima volta mi resi conto all’improvviso che stavo piangendo, per quanto struggente e incredibilmente struggente era la scrittura di Griffi: Sugli appunti per una poesia che intendo scrivere annoterò che il ventotto giugno millenovecentoventinove ho sollevato il corpo di un bambino morto sul ciglio di una strada; annoterò che il suo corpo era della stessa materia della sua anima, tanto che mi è sembrato di sorreggere l’aria. (…) Annoterò che da quel momento non ho pensato ad altro che dare a Feliciano un’imbarcazione per il suo viaggio nel regno dei morti. Desideravo che il suo corpo provasse la commozione che prova un qualunque essere umano quando qualcuno si prende cura di lui. Annoterò che ho scavato fino a farmi sanguinare le mani, e che l’ho fatto per potermi ascrivere al genere umano… (…) Annoterò che ho scavato una fossa per seppellire tutti i bambini del mondo vissuti senza una ragione, quelli per cui ogni giorno è semplicemente un giorno di agonia in più; che ho scavato una fossa per far sì che contenesse tutti i corpi affamati, annegati, torturati, dimenticati, profanati. Annoterò che quel giorno avevo le lacrime agli occhi e le parole mi uscivano di bocca come sputi; annoterò che la terra odorava di piscio, violette e polvere, di merda di mulo e sterpaglie bruciate; annoterò che ho udito il vento tra le colline e ho immaginato che fosse la voce di Feliciano frammentata in mille brevi mormorii; annoterò che quel giorno ho seppellito mio figlio: per questo sulla croce che commemora il luogo della sua sepoltura ho inciso il suo nome, Feliciano, e il mio cognome… Annoto che anche io, durante questa struggente lettura, avevo le lacrime agli occhi, e annoto che non me ne vergogno affatto.
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Ma la commozione è proseguita, e assai. Perché per Silvia c’è stato anche il finale, tragico e immensamente struggente, con la morte di Giustina. Bambina e prostituta, per fascisti e nazisti…e poi la concubina del comandante nazista, Kraas…che viene rapita dai partigiani e da loro trucidata, per rabbia, per sesso, per follia di guerra e di crudeltà umana…è un brano incredibilmente intenso per chi ascolta e chi legge. Ogni volta mi sembra di perdere anni di vita – mi ha confessato Silvia alla fine…e io ogni volta che lo ascolto o lo leggo mi commuovo senza se e senza ma… In una grotta, ti portano, Giustina dolce con gli occhi atterriti, Giustina come i fiori avvizziti; ti danno della fascista, Giustina, una bagascia fascista, ti abbaiano insulti e ti prendono a calci, dicono Giustina, Giustina, aiutaci ad ammazzare il tuo uomo, aiutaci ad ammazzarlo e ti lasciamo andare, Giustina in lacrime, Giustina con le gambe che tremano mentre si piscia addosso, macchia il vestito della festa… per poi arrivare ad uno struggente e terribile finale, ma altro finale non poteva esserci…(Giustina) pensa alla mostruosità dell’amore, sente una pietra nella schiena, sente la terra premuta sulla pelle, si perde nella campagna in un giorno di pioggia, si perde nelle mani che le stringono il collo, nello sbuffo violento, si perde nel temporale che spegne il fuoco, vorrebbe sentire l’odore del mare che certe volte l’aria porta sulle colline, l’odore del mare che arriva con la ferrovia o con l’autostrada, vuole sentire una parola d’amore, Giustina, almeno una volta, ma adesso è morta, Giustina, e non sente più niente. Mentre finiva così, in questo modo tragico e struggente, la lettura e la serata, pensavo ad un brano musicale che, come dice un caro amico, u scianca’l cor (strappa il cuore), l’Adagietto della V. Sinfonia di Gustav Mahler, che Luchino Visconti utilizzò per il suo capolavoro La Morte a Venezia…vi lascio il link: provate ad ascoltarlo e forse mi darete ragione. https://www.google.com/search?client=firefox-b-d&q=adagietto+mahler#fpstate=ive&vld=cid:4484aa6d,vid:Les39aIKbzE,st:0
Ma termino con una promessa: cercherò, e ce la metterò tutta ma davvero tutta, di convincere Gian Marco a riproporre questa Reading in altri luoghi di questo Splendido Piemonte, per portare a tanti altri il semplice ma indimenticabile spettacolo di una splendida commozione…questo vi prometto, che ci proverò, perché questo Ferrovie del Messico di Gian Marco è un libro incredibile, e questo Reading da lui inventato ne è un estratto meraviglioso, qualcosa che secondo me deve essere di tutti e di ognuno di noi.