L’avventurosa vicenda d’una Viola (d’Amore) incompiuta, ora recuperata e finalmente portata in concerto…al Castello di Solero.

Uno dei brani più suggestivi della Madama Butterfly di Giacomo Puccini è un coro…un coro senza parole, fuori scena…il cosiddetto Coro a bocca chiusa. Si tratta di un momento di apparente calma sonora, ma in realtà è una sorta di canto funebre, preludio al tragico finale dell’Opera. All’attento ascoltatore non può sfuggire che tra i suoni che accompagnano e sostengono il coro ce n’è uno particolarmente inusuale e difficile da afferrare compiutamente: è il suono di una desueta e rarissima Viola d’Amore, che dona al brano una fascinazione arcaica e misteriosa.

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Ma cos’è, esattamente, una Viola d’Amore? Certamente uno strumento desueto, forse addirittura dimenticato…anche a ripescare fra la mia discografia, trovo un solo disco di Rinaldo Alessandrini che interpreta Antonio Vivaldi, che scrisse 4 – splendidi – concerti per quello strumento. Lo stesso nome ha origini oscure. Forse perché sulla sommità dello strumento, a differenza del tradizionale riccio, viene incisa nel legno una decorazione che rappresenta, un puttino (detto appunto amorino)? Oppure il nome proviene dal sistema di messa in vibrazione? Perché la Viola d’Amore ha 14 corde: le sette corde superiori vengono sollecitate dall’archetto mentre, sotto ciascuna di esse sono montate altre corde che vibrano per il principio acustico della simpatia. Le corde sottostanti conferiscono allo strumento un timbro più intenso, con un leggerissimo alone dovuto alla risonanza libera, non dominata dalle dita del musicista. Uno strumento grande come una normale Viola, ma da questa decisamente diverso.

E al Castello di Solero, una decina di giorni fa, eccola lì, da ammirare e da ascoltare, una splendida Viola d’Amore, frutto incompiuto del grande Liutaio Pietro Gallinotti, nato a Solero nel 1885, e morto nel 1979. Sicuramente uno dei più importanti liutai del ‘900, sia in ambito violinistico che chitarristico, che a Genova, dove studiò e lavorò un po’, ebbe la fortuna di incontrare il grande liutaio Cesare Candi, da cui fu influenzato positivamente per creare strumenti di altissimo valore musicale. Però, ecco la stranezza, la stecca nel coro, ovvero la Viola d’Amore: perché Pietro nel 1934 si diede alla creazione di una Viola d’Amore? Perché la lasciò incompiuta?

Neppure il Maestro Liutaio Alberto Giordano, da me raggiunto telefonicamente qualche giorno dopo il concerto al Castello di Solero, il primo mai eseguito con quella Viola d’Amore, ha saputo darmi una risposta. Quando gli ho chiesto com’era stato il restauro, mi ha chiarito che non di un restauro si è trattato, ma del recupero di uno strumento rimasto, appunto, incompiuto. Un lavoro al quale si è interessato su richiesta di un altro grande Maestro Liutaio, Mario Grimaldi.  Un recupero reso complicato dal fatto che Alberto Giordano ha voluto lasciare il più possibile intatte le condizioni operative di Pietro Gallinotti, nel massimo rispetto della sublime personalità di quel grande Liutaio. Mi ha parlato del non banale lavoro di tornitura, del fissaggio lento ed attento delle corde di risonanza, della scelta dell’uso dei piolini in ottone, come nel ‘700, che sono stati torniti dall’amico e collega Alessandro Lowenberger . Alberto Giordano mi ha narrato questo e molto altro con una voce vibrante, un tono appassionato. Ho immaginato che il recupero di quel magnifico strumento sia stato per lui una notevole avventura tecnica ed intellettuale. Volete la verità? Ho amichevolmente invidiato la sua avventura e il suo lavoro. Fantastico.

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Alla fine quello strumento abbandonato a sé stesso per tanto tempo, con una brutta scollatura, con tanto da completare, è stato da lui amorosamente riportato alla vita. Il tutto è terminato quest’anno, ma senza interventi invasivi, con mano la più leggera possibile. E la Viola d’Amore perduta si è rivelata un magnifico e solido strumento di stile genovese, in ottima salute. Esteticamente si tratta di un oggetto in superbo stile Art déco, senza il piccolo putto che è tipico delle Viole d’Amore….ma anche uno strumento che tiene l’accordatura in maniera perfetta. E dal suono estremamente affascinante, con quelle sue risonanze così diverse, così particolari…

Abbiamo potuto apprezzarne le doti musicali nel bellissimo – un po’ breve, forse – Concerto che il 2 novembre scorso si è svolto a Solero, nel Castello che è dotato di una bella sala convegni dall’ottima acustica. Dopo la presentazione dei liutai, Ernest Braucher alla viola d’Amore e Michele Trenti alla chitarra (ovviamente una splendida chitarra Gallinotti) ci hanno proposto sia brani in duo che singoli. ad iniziare da un Andante vivaldiano – in coppia – il cui incedere ieratico e solenne metteva in una splendida visibilità acustica la timbrica così singolare della splendida Viola d’Amore, che peraltro si amalgamava magnificamente con il suono delicatissimo ma anche assai corposo della chitarra. Suono della Viola d’Amore che poi abbiamo apprezzato in tutta la sua magia timbrica nel successivo Adagio – in solo – vivaldiano, che ci ha avvolti con un suono estremamente espressivo e nello stesso tempo davvero arcano e particolare.

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Da dire che avevamo la possibilità di ascoltare due musicisti straordinari, tanto nella dimensione più virtuosistica della loro realtà sonora quanto in quella della più raffinata musicalità. Il Maestro Michele Trenti ci ha proposto brani di Paganini e Llobet che ha interpretato con una espressività davvero incantatoria. Dovete sapere che il Maestro quando accarezza e gioca con il suo strumento lo fa accompagnando il tutto con una sorta di piccolo canto, un melodioso mugolio, che non solo non è per nulla fastidioso, ma rende intorno al suono strumentale un alone assai arcano ed affascinante. In particolare il brano di Miguel Llobet (nato a Barcellona, 18 ottobre 1878), che è stato un compositore che si è dedicato ad una personale ricerca sui colori e sul timbro della chitarra che lo hanno portato ad avvicinarsi all’impressionismo con ragguardevoli risultati sonori, è stato reso con una musicalità encomiabile e coinvolgente.

E con un finale decisamente paganiniano…un po’ strano, però! Perché nell’ascoltare la Viola d’Amore al posto del Violino nei deliziosi brani per violino & chitarra del grande Paganini, ho percepito uno strano senso di ambiguità, una sorta di straniamento timbrico che mi faceva avvertire qualcosa di diverso dal solito, dal Paganini che mi aspettavo di percepire. Ma dopo il primo approccio così particolare, debbo ammettere che qual suono così diverso della Viola d’Amore, in quell’amalgama così riuscito con la chitarra, mi hanno portato in uno spazio sonoro davvero emozionante, così diverso e imprevedibile. Ero davvero sorpreso e ammirato. Due grandi interpreti, due splendidi strumenti, un grandissimo Liutaio che quegli strumenti ha costruito e un altro grande Liutaio che quella Viola d’Amore ha riportato alla vita…e alla musica.

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