Vivere una giornata di Letteratura ed Arte in un’oasi di bellezza: al Golf Club Margara di Fubine per imparare il Monferrato

E va bene, lo ammetto, non ero del tutto a mio agio, mentre raggiungevo il Golf Club Margara, a Fubine. Sarò passato centinaia e centinaia di volte da Fubine, nel mio andirivieni su e giù per il Monferrato…del resto, abito nella Valle del Belbo e da casa mia a Fubine ci vanno, andando piano, una dozzina di minuti d’auto…ma al Margara non ero mai stato. Avevo la percezione di un ambiente chiuso e un po’ esoterico. Forse perché non conosco nessuno che lo frequenti, anzi, nessuno che giochi a golf, quindi…nessuno tranne uno scrittore straordinario, Gian Marco Griffi, che però è anche incidentalmente il Direttore del Margara, caspita. E svolge in suo incarico con una passione davvero genuina. Nel suo immenso romanzo, Ferrovie del Messico, c’è una allucinante partita a Golf con protagonista un alto ufficiale nazista. Quando gli chiesi, in una delle nostre svariate conversazioni sul suo testo fantastico, come mai avesse inserito quella scena di Golf nel libro, mi rispose con una voce emozionata e tenera…Eh, il Golf…il Golf è la mia vita…. ma la sua vita adesso, dopo il grande successo di Ferrovie del Messico, è anche la narrativa, e le tantissime presentazioni del suo libro che va a fare in tutta Italia. Quindi? Quindi, in questi giorni di inizio giugno, Griffi ha unito, con la sua caparbia intelligenza organizzativa, due delle grandi passioni della sua vita: il Golf e la Letteratura (alle quali si sono peraltro unite anche l’Arte e la Musica) in una manifestazione proprio nel suo Golf Club, dal titolo assai suggestivo: Margara racconta il Monferrato. E con un sottotitolo ancora più intrigante: Festival di promozione della Letteratura e delle Arti con il Monferrato al centro. Il tutto con scrittrici e scrittori di grandissima qualità e l’inaugurazione di una mostra d’Arte nata in collaborazione fra due Artiste. Insomma, disagio o non disagio, impossibile non andarci!

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Poi accadono un paio di cose simpatiche e sorridenti che mi mettono decisamente a mio agio. In primo luogo, mentre mi aggiro un po’ sperduto nella zona dell’ingresso principale, arriva un signore molto gentile, che mi vede in tutta la mia goffaggine (ho in una mano la mia inseparabile macchina fotografica, nell’altra il taccuino altrettanto inseparabile, più che da Golf sono vestito da ufficio in città…e ho di certo uno sguardo assai smarrito) e mi chiede se sto raggiungendo la zona della presentazione del libro di Raffaella Romagnolo, quindi al mio grato cenno di assenso, mi dice Salga…e si va. Gli spiego che sono lì perché conosco Gian Marco e il suo bellissimo libro, che però lì non ero mai stato (come se non se ne fosse accorto da solo!), dico parole di lode a Gian Marco anche per questa sua iniziativa. Lo guardo e noto il suo sorriso decisamente ironico…Ah, dimenticavo – mi dice – io sono il padre di Gian Marco… e ci stringiamo la mano. Per un attimo (giuro: solo per un attimo), mi chiedo cosa mi sarebbe capitato se avessi parlato male del romanzo del Griffi Junior al Griffi Senior… Mi spiega che lui è stato Direttore del Margara prima di suo figlio, che ora è in pensione, ma…. ma che ora che Gian Marco va spesso in giro per l’Italia a presentare Ferrovie del Messico, gli tocca sostituirlo! Lo dice in tono un po’ burbero e sbuffante, ma nella sua voce c’è un grande sorriso. Poi arriviamo, e mi indica la Presidente del Golf Club, la signora Maria Amelia Lolli Ghetti, alla quale spiego chi sono e perché sarei lì…lei mi chiede: Ma allora è lei l’autore dell’articolo su Gian Marco alla Fiera del libro a Torino? E al mio cenno affermativo, mi dice, con uno splendido sorriso, che quell’articolo le è piaciuto davvero molto. Beh, credetemi, non è che abbia smesso del tutto di sentirmi un po’ un pesce fuor d’acqua, ma di certo mi sentivo assai di più a mio agio…

E poi, con meno ansia, a questo punto, mi sono guardato intorno…e mi sono reso conto che ero in un luogo davvero stupendo. Un luogo che si chiama, nel linguaggio del Golf Club, Bouvette percorso la Guazzetta, ma che per me, perfetto sconoscente di quel linguaggio, è un laghetto che sembra uscito da una favola, per quanto tutto è perfetto, dal taglio dell’erba alla pulizia al silenzio ventoso ma accogliente. Mi viene in mente, per questa bellezza che mi circonda, l’espressione natura naturata, ovvero la perfezione come risultato compiuto. E lì, dopo una breve presentazione di Gian Marco, ci sono una scrittrice di cui ho letto un paio di notevoli romanzi, La figlia sbagliata e La Masnà, Raffaella Romagnolo, che ci parla del suo ultimo libro, Il Cedro del Libano, uscito recentemente per i tipi della Aboca Edizioni, che poi è una casa farmaceutica che tratta prodotti naturali, e ha iniziato, una decina d’anni fa, a pubblicare libri legati alle proprie tematiche naturali e medicali. Questo fa parte di una collana dallo stimolante titolo Il bosco degli scrittori.

Con Raffella c’è la bravissima attrice Veronica Rocca, che legge magistralmente brani sia dal libro della Romagnolo che di altri testi decisamente interessanti, compreso l’eccezionale Italo Calvino delle Lezioni Americane. In quella meravigliosa ambientazione, in una natura accogliente e perfetta, le due si scambiano i ruoli di introduzione ai vari temi presenti nel libro (ma anche più in generale) e chi esplicita nella lettura le varie questioni in gioco. Il Cedro del Libano è un libro strutturato…in forma di rondò, dove il tema principale, cioè le vicende dei Cedri millenari, sono una sorta di fil rouge, intorno al quale si alternano diversi racconti, ovviamente tutti a tematica ambientale…con per ultima, ma non certo per importanza, la malinconica vicenda dell’esploratore che cerca un solo albero ancora viso per poter ricominciare a germogliare vita in un mondo ormai praticamente senza vita…

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Raffaella, devo dirlo, nel presentare il suo libro è davvero molto convincente. Sorride quasi sempre, ma si agita, si appassiona…è molto piacevole ascoltare lei e Veronica Rocca…nonostante alle sue spalle si aggiri un temporale che di tanto in tanto ci inquieta un po’ con i suoi tuoni lontani. La trovo davvero molto empatica, e sono ammirato dalla trascinante ma non aggressiva, veemenza con cui espone le proprie idee, sia quelle espresse nel libro che, in generale, in merito al nostro difficile rapporto con la vita vegetale. Introduce nella sua appassionata disquisizione il concetto di Antropocene, che è null’altro che l’epoca geologica attuale, in cui l’ambiente terrestre, nell’insieme delle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche, viene fortemente condizionato su scala sia locale sia globale dagli effetti dell’azione umana, con particolare riferimento all’aumento delle concentrazioni di CO2 e CH4 nell’atmosfera. Con i danni che ben percepiamo tutti i giorni, tra incredibili alluvioni ed un clima impazzito. Ci parla di un libro importante, che ho qui davanti a me e che presto leggerò: Il sussurro del mondo (in originale The Overstory), di Richard Powers, che è un grande romanzo corale scritto per esortare l’umanità alla ricerca di una migliore comprensione (e relativa empatia) nei confronti dell’universo vegetale che ci circonda. Ed il “Sussurro del mondo” null’altro è se non il silenzioso modo che hanno le piante di comunicare fra loro. Un sussurro che non sappiamo intendere, ma dovremmo.

Mi rendo conto di essere molto emozionato, perché io vengo da una famiglia di avi contadini, che avevano per le piante un rispetto immenso e me lo hanno insegnato e, secondo me, quel sussurro misterioso un po’ lo percepivano, eccome. Mi è venuto in mente quel rito autunnale che facevo con mio nonno: la raccolta dei cachi. Occorreva attendere, senza fallo, la prima brina di novembre. Poi lui li raccoglieva salendo su una breve scaletta in legno, costruita da sé medesimo, me li passava, io li incassettavo alternandoli alle mele, che così in questa strana convivenza meglio stavano e meglio maturavano…e poi mi viene alla mente quel grande albicocco, che mio nonno aveva piantato moltissimi anni fa, che curava come un amico fraterno e che è morto pochi mesi dopo la sua morte, avvenuta ormai troppi anni fa. Certo, nella mia mente razionale, una coincidenza. Ma nella mia mente emozionale, ci leggo un legame fra viventi, che forse inconsapevolmente, sapevano comunicare…E, infine, mi ripropongo di leggere presto il libro di Raffaella Romagnolo: questa presentazione mi ha semplicemente incantato. Così come mi ha incantato questo luogo magnifico che è il Golf Club Margara.

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Ma il pomeriggio al Margara è tutt’altro che terminato, perché ora si sale all’edificio principale, ed in particolare nel salone accanto all’ampia terrazza, da dove la vista sui campi da Golf è davvero mozzafiato, dove si è inaugurata un’intrigante mostra, dal titolo Spatia Motus (mi vien da tradurlo spazi di movimento).

Il bello è che si tratta una mostra dove le due Artiste, Iris Devasini, con la sua arte materica accompagnata da Haiku che ne incorniciano il senso, e Chiara Galliano, fotografa decisamente originalissima, hanno sì esposto proprie singole opere, ma hanno anche realizzato, e presentato in questa splendida ambientazione del Margara, tre installazioni a quattro mani, che trovo tutte davvero assai interessanti. Tuttavia, visto che il giorno successivo c’è stato, da parte delle Artiste, un approfondimento sulla loro mostra, vi parlerò delle loro opere, dei loro intendimenti e…di loro stesse, in un successivo articolo dedicato alla giornata del 3 Giugno.

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Ora lasciate che vi parli dello splendido salotto letterario, che ha visto insieme tre grandi scrittori, ovvero il padrone di casa, Gian Marco Griffi, la stessa Raffaella Romagnolo, e Piera Ventre, che ci fanno conoscere l’ultimo romanzo di quest’ultima, dal titolo (che trovo bellissimo): Gli spettri della sera. Lasciatemi dire in premessa che in realtà la conversazione fra i tre – e con noi che ascoltavamo – è stata davvero poco formale, molto rilassata e rilassante. Basti dire che Gian Marco prima ha serenamente ammesso di non aver letto il libro, poi però ci ha informati che sua moglie legge davvero tantissimo e che Gli spettri della sera gli era piaciuto parecchio…e ha tirato fuori da un taschino un fogliettino con alcune domande che gli aveva preparato, per Piera Ventre, appunto la moglie. Fantastico! Una situazione davvero di simpaticissima e disinvolta leggerezza.

Che poi Piera Ventre sta perfettamente al gioco di queste domande per interposta persona, ma anche a quelle di Raffaella Romagnolo, che lei il libro pure ammette di non averlo terminato, ma fa domande tanto sorridenti quanto pertinenti. Ma poi ce lei, Piera Ventre, che risponde e parla e ci spiega, con un dolce accento napoletano, una voce morbida e ben timbrata e un perenne sorriso molto sereno e rasserenante. E ci racconta com’è possibile che una donna di Napoli abbia potuto fare un libro dedicato, con grande amore, al Monferrato. Al Monferrato e al suo essere anche un mondo un po’ chiuso e molto contadino, così diverso dalla spettacolare bellezza di Napoli.

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Quello che si è proposta di fare Piera Ventre è di narrare proprio quello: l’incontro amoroso fra due mondi, geograficamente parlando, ma anche di due generazioni, quello di giovani napoletani e di ben più maturi monferrini, in un paese dal nome inventato, in quel luogo amatissimo, che chiama, nel romanzo, appunto, Munfrà, esattamente come lo chiamo io nel mio dialetto di un paese della Valle del Belbo, così ben descritta da quel Cesare Pavese che Piera dichiara di avere da sempre molto amato. Beh, ora vi confesso di non aver mai letto nulla di Piera Ventre, ma che dopo averne ascoltato gli accenti davvero piacevoli e sinceri, colmi di un amore per questa terra – così lontana dalla sua Napoli – un amore così vibrante, nelle sue parole, ho subito acquistato il suo libro, intavolando poi con lei una breve, ma intensa conversazione, sui luoghi e i cibi di questo Splendido Piemonte, di questo meraviglioso Monferrato.

Ora però lasciate che termini questa sorta di diario di una splendida giornata con un paio di ringraziamenti, che definire doverosi è dir poco…a Gian Marco Griffi per aver organizzato tutto questo, e poi alla Presidente del Golf Club Margara, Maria Amelia Lolli Ghetti, per l’accoglienza, la cordialità e…per la bellezza di quello che è il Margara.

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