Tutto “Il colore dei sogni” nella splendida mostra di Enrica Maravalle al Salone Riccadonna di Canelli.

Poco tempo fa ho pubblicato un articolo dedicato al Maestro Silvio Vigliaturo, pittore e scultore in vetro, in merito alla sua bella mostra alla Casa dell’Artista a Portacomaro, sottolineando quanto ero stato fortunato – e poi felice – nell’avere la possibilità di visitare la mostra in compagnia dell’Artista stesso, che ha pazientemente accolto tutte le mie domande (anche quelle assai poco intelligenti) con squisita benevolenza. Non avrei mai potuto aspettarmi di avere nuovamente questa straordinaria fortuna solo una dozzina di giorni dopo, con la mostra personale di Enrica Maravalle a Canelli. Si tratta di due artisti diversissimi fra loro, decisamente e felicemente imparagonabili, ma hanno due cose in comune: la straordinaria simpatia…e la grande pazienza nell’accettare tutte le mie curiose domande e considerazioni in merito alle loro opere!

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Che poi da Alessandria a Canelli basta una mezz’ora d’auto, si scollina dopo Bazzana, prima di arrivare a Nizza, fra le vigne appoggiate su dolci crinali nel verde brillante di un Monferrato astigiano davvero stupendo, per poi superare Calamandrana ed infine ammirare, che lo si vede di lontano, il maniero dei Gancia, sospeso lassù, su Canelli, come un tempio venerato. E lì, a Canelli, a due passi, ma proprio due, dalla piazza centrale, Piazza Gancia appunto, nel Salone dell’imponente e un po’ arcigno – ma la chiarezza della facciata ne stempera l’eccesso di serietà – Palazzo Riccadonna, dove c’è la splendida mostra di Enrica Maravalle, che peraltro è stata prorogata fino all’11 giugno. Ci potrete andare il venerdì pomeriggio, oppure il sabato e la domenica, mattina e pomeriggio…credetemi, non ve ne pentirete, anzi.

Una mostra che già dalle prime opere mi ha grandemente e piacevolmente sorpreso. Perché all’ingresso, appena varcato il portone, si viene accolti da tre tele importanti, di stile decisamente informale. Piene di movimento di carattere ritmico, musicale…adocchio un promo titolo: Concerto per coro e orchestra…però! Per me, appassionato anche di musica classica, uno stimolo estetico niente male: qui si parla di musica informale, si fa arte infornale, allora! Benissimo – ho pensato.

E invece no. Perché nel breve corridoio che unisce l’ingresso alla sala espositiva vera e propria, c’è uno stupendo quadro dal titolo La Trottolacompletamente diverso dai tre precedenti, di un appassionante figurativismo astratto, che mi ha portato alla mente due grandissimi come Cezanne e Gauguin – e scusate se è poco – ma l’opera di Enrica è estremamente, personale. Infatti mi ha poi spiegato, più tardi, mentre si usciva dal Salone, che nel suo pensiero artistico l’idea della trottola, circondata da bambini, che sono il futuro, è simbolo del ciclo vitale, fatto di movimento, che poi lentamente rallenta fino a spegnersi, per poi riprendere con gioia quando si fa ripartire quel moto. Confesso che a guardare quell’opera, a me  è anche venuto alla mente, visto l’amore per la musica così evidente, il belletto Petruška di Igor Stravinsky. Insomma, Pensate che non ero neppure ancora entrato nella grande sala con la mostra e già ero pieno di meraviglia!

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Poi, la sensazione che ho avuto, entrando nella grande sala, dopo aver salutato con grande e sincera cordialità l’Artista, è stata quella di entrare in un ambiente pieno di genuina gioia: la gioia del colore più acceso, dove le opere si susseguono in quella che ho percepito come una vera e propria Klangfarbenmelodie, ovvero Melodia di timbri, che così definiva, felicemente, Schönberg, le sue splendide opere atonali. Si: mi accorgo di leggere, nell’insieme delle tele esposte – che vanno dall’astrattismo al ritratto, che esplorano giocattoli e giochi d’infanzia accanto a paesaggi che ti attirano magneticamente dentro l’opera – una luminosa partitura musicale, che cattura e trascina senza tregua in una appassionante vertigine. Fantastico.

Poi, nell’aggirarmi, lentamente, fra le opere, conversando sia con Enrica Maravalle che con il simpaticissimo marito, Bruno Merlino, ne ho ammirate diverse che mi hanno colpito per il loro profondo legame con il mondo dell’infanzia, come la trottola iniziale. Come potete osservare nella foto sotto, ecco un tavolino con sopra un cavalluccio a pedali. Che, mi ha informato Bruno, non è un’opera di Enrica, ma un vero oggetto vintage della sua collezione privata. Ma sopra tutto questo, ecco la trasfigurazione, ovvero la trasformazione che l’arte fa di quell’oggetto, già di suo antico e bello, in una vera opera d’arte, in una complessa immagine piena di colore e di futuro.

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Certo, non in tutte le opere c’è gioia, ci mancherebbe. Nessuna realtà artistica – e anche umana – può esplicitarsi unicamente in senso positivo, ché troppo dolore e troppa infelicità albergano nel mondo degli umani. E allora ecco, ad esempio, un quadro materico, dove Enrica Maravalle ha sovrapposto, alla sua pittura ad olio, dove vediamo un cielo bellissimo ma anche inquietante, che è anche speranza e luce, ed un mare che è sì in parte chiaro e accogliente, ma anche oscuro, cupo per morte e per dolore, dei veri guanti di gomma, con rosse strisce di sangue… – memento di chi muore, ma anche di chi salva, di chi aiuta, di chi vede soffrire…ma che rappresentano anche lo stesso dolore del mare e della plastica con la quale continuiamo ad avvelenarlo. Il titolo? Semplice: Mediterraneo. Questo Mare Nostrum così pieno di bellezza, ma anche di sofferenza e di contraddizioni.

E poi, la presenza femminile, nel mondo artistico di Enrica Maravalle, così intensa, così importante. E molte delle donne ritratte sono donne senza gioia, anzi, portatrici di un grande senso di tristezza. Intanto, però, lasciate che vi narri che, per mia ulteriore fortuna in questa visita, ho conosciuto la giornalista (in pensione) Enrica Cerrato, che già conosceva la persona e l’opera di Enrica Maravalle. Con entrambe abbiamo instaurato una feconda conversazione artistica, e abbiamo ammirato vaie opere esposte, proponendo a nostra volta riflessioni ad alta voce, sia sull’opera in sé a commento delle sempre puntuali informazioni che ci regalava l’autrice. Questo confronto è stato un importante ed ulteriore valore aggiunto alla visita di cui vi sto parlando, perché è anche bellissimo poter confrontare in una così particolare cornice di bellezza, la volontà di chi ha fatto l’opera con la percezione di chi la vede e vorrebbe comprendere

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Come di fronte al quadro dal titolo Perché? Come potete vedere, sotto, si tratta di un volto di donna, un volto dagli occhi sbarrati, la bocca che esprime un’infinita tristezza…i colori, infine, estremamente variegati, che, sia nei particolari di ombre ambigue, sia nel suo insieme, mi hanno dato l’idea di lividi…lividi nel corpo e lividi nell’anima. Ma – e questo è proprio il valore aggiunto e impagabile della conversazione – Enrica Maravalle ci ha narrato una piccola, straziante vicenda…Sapete – ci ha detto – un giorno alla mostra c’era una donna, che è rimasta a lungo, ma davvero a lungo, ad osservare proprio questo quadro…io mi stavo quasi preoccupando, che non si sentisse bene…mi sono avvicinata, ho visto il suo viso, ho visto che stava lentamente ed in silenzio, piangendo. Una narrazione di struggente bellezza, e anche noi eravamo come sospesi in una vicenda dove davvero la vita si specchia nell’arte…e forse anche viceversa. 

Un atro quadro che mi ha molto colpito ha uno strano titolo, Le Temps Qui Passe. Visto che è anche l’immagine di copertina del bel catalogo “Opere dal 2019 al 2023”, che Enrica mi ha donato con squisita cortesia, presumo che anche per lei abbia un significato molto particolare. A me ha donato un vero e proprio ventaglio di interpretazioni: un manichino, oggetto fra altri oggetti, compreso lo spietato scorrere del tempo di quell’orologio sulla destra? Oppure una donna che è diventata un manichino, alienata agli oggetti che la circondano? Con quell’abito rosso, così pieno di vita o di voglia di vivere? Allora forse una donna incompiuta, perché le mancano le braccia, che quindi deve ancora crescere per essere sé stessa? Una donna alla ricerca del proprio essere donna?…e così via, in un piccolo turbine interpretativo che mi piace moltissimo aver vissuto, grazie alla creatività di Enrica Maravalle. Forse per nascondere un poco la mia emozione, ho proposto alle mie interlocutrici la citazione, a mio avviso pertinente, di una poesia di Jorge Luis Borges, Le cose, che così si conclude: Quante cose, / atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi, / ci servono come taciti schiavi, / senza sguardo, stranamente segrete! / Dureranno più in là del nostro oblio; / non sapranno mai che ce ne siamo andati.

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Purtroppo non posso, in questa sede, parlarvi di tutte le opere esposte, salvo scrivere un saggio che sarebbe eccessivo per un articolo di giornale, ma termino il mio ammirato excursus tra le opere di questa mostra dall’azzeccatissimo titolo “Il colore dei sogni” con un’opera davvero particolare, una installazione che ha un impatto visivo forte ed immediato, ma che è di una notevole complessità. Enrica ce l’ha illustrata con paziente sollecitudine, ma anche con una voce vibrante ed appassionata, che molto ci avvolgeva e ci accompagnava decisamente dentro il suo pensiero creativo. Ed è stato davvero emozionante percorrere con la stessa artista il sentiero impervio della sua realizzazione. Ecco, li vedete, nella foto sotto, cinque manichini femminili, un quadro centrale, coloratissimo, gioioso, e due braccia che lo indicano. Il titolo completo dell’Opera è La ricerca della bellezza, ed è un percorso di maturazione, di crescita e quindi di conquista della consapevolezza estetica.

Ecco: la prima figura, senza neppure la testa, i colori freddi, tristi…la seconda la testa ce l’ha, ma senza volto…i colori un poco più caldi, più vivi. Poi l’inquietante figura successiva che non ha la testa, ma porge una maschera… è lo stadio, il simbolo, dell’apparenza, quella formula esistenziale che spesso domina la vita di molti esseri umani. Ma le due figure successive, sulla destra di chi osserva, superano l’apparenza…quella successiva il viso lo ha, formato, i colori sono già molto vivi, ma vive ancora in una sorta di sospensione…lo capiamo dal fatto che non abbia i capelli…infine la figura successiva ha completato la sua evoluzione, è coloratissima dei mille colori della vita piena, ha i capelli e ha le braccia…lontane dal proprio corpo, ma come questo dipinte, che indicano, perentoriamente, il quadro centrale…che finalmente indicano, comprendono, fanno propria, quella bellezza che, con fatica, hanno cercato. Meraviglioso. E quando ce ne andiamo dalla grande Sala che ospita la mostra, e Bruno spegne tutte le luci, ecco che laggiù rimase solo una luce soffusa che illumina solo la zona dell’istallazione, come a ricordarci che la luce del nostro intelletto non deve mai abbandonare la ricerca della bellezza.

 

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