La Grande Bellezza nell’antica fortezza: l’arte della Milano da romantica a scapigliata al Castello di Novara.

Nella prima sala della mostra, quasi non me n’ero accorto. La zona era dedicata alla “Pittura urbana” nella Milano romantica. Ero talmente preso dalla bellezza delle opere esposte, che quasi non mi son reso conto del silenzio. Nella seconda sala dedicata a questo tema, invece, ho avuto la netta e piacevole percezione di condividere, con le variare altre persone che popolavano le sale della mostra (che era abbastanza popolata, per essere un piovoso Venerdì Santo), uno strano, straordinario, sorprendente e piacevolissimo silenzio.

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Un po’ perché molti avevano, come me, scaricato sul proprio smartphone il link all’audio guida della mostra stessa, un po’ perché anche chi non l’aveva, l’audioguida, era portato a parlare a voce bassissima con l’eventuale persona che l’accompagnava…forse anche un po’ perché essendo tardo pomeriggio erano del tutto assenti scolaresche di qualsivoglia ordine e grado, sta di fatto che mi sono attraversato le svariate sale del centralissimo Castello Visconteo – Sforzesco di Novara in un meraviglioso silenzio sospeso, un po’ fuori dal tempo e dallo spazio. Un silenzio colmo di meditativa attenzione e di immensa ammirazione, non solo per il valore delle opere esposte, ma anche per il come erano state esposte, in una sequenza cronologica e contemporaneamente tematica, ottimamente presentata e sfruttando con maestria ed attenzione ogni minimo spazio espositivo. Ma per ottenere il massimo godimento delle opere esposte, è stata sapientemente utilizzata la luminosità di ogni area, giocando inoltre con i colori predominanti delle varie sale, proprio in funzione di valorizzare al massimo ogni singola zona tematica. Riassumo il tutto in un termine: meraviglioso. Semplicemente meraviglioso.

Ma ora vi invito ad una passeggiata con me attraverso quelle sale, anche se purtroppo vi parlo di questa Mostra ora che si è chiusa, ma ho potuto andarci solo in uno degli ultimi giorni, venerdì 7 aprile. Cercherò di narrarvi, descrivendo anche alcune delle opere esposte, la complessiva atmosfera, la singolare fascinazione, di questa bellissima esposizione. Che poi il titolo, dedicato a Milano (da Romantica a Scapigliata, appunto), lo avrebbero potuto dedicare a tutta questa fetta dell’Italia che come Milano ha vissuto il romanticismo ottocentesco le lotte risorgimentali, la miseria popolare, per finire con quella sottile fascinazione decadente di un pittore incredibile come Tranquillo Cremona.

Intanto, solo per dire del legame con Alessandria, basti dire che le prime opere che mi sono trovato ad ammirare, dopo la splendida, iniziale Imelda degli Albertazzi di Francesco Hayez, capolavoro di quel romanticismo che io definisco “Verdiano”, perché intimamente legato, a mio avviso, a modi e pose che paiono uscire dal melodramma del grande bussettiano, erano…di un alessandrino, al quale Alessandria ha dedicato una via cittadina: Giovanni Migliara. Migliara era nato nel 1775, e del 1817 è quella veduta dell’interno del Duomo di Milano (il titolo completo è Arrivo della processione nel Duomo) che mi ha lasciato letteralmente senza fiato. Splendido gioco di chiaroscuri, intimo ed imponente nello stesso tempo. Ma altrettanto straordinaria è la Veduta di Piazza del Duomo (riprodotta sulla locandina della mostra), di dieci anni posteriore, vero trionfo della luce sulla facciata del Duomo stesso, vera analisi di ombre e personaggi nella parte più ombreggiata più prossima al nostro sguardo. Ecco, in questa prima area tematica intitolata appunto alla “Pittura urbana” nella Milano romantica, c’è la bellezza di vedere contemporaneamente grandi e spettacolari descrizioni di vie, monumenti, chiese, alla vita quotidiana del popolo, come ad esempio nella Veduta di Piazza dei Mercanti in Milano, di Angelo Inganni, nato a Brescia nel 1807. I volti e gli sguardi che Inganni ci va osservare nelle sue opere sono quelli del nostro passato ottocentesco, lombardi, veneti o piemontesi che siano. Volti, sguardi ed atteggiamenti che sono nostri, che siamo noi e la nostra storia.

 

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Nella seconda area tematica, dedicata a “I Protagonisti” ho trovato il trionfo del ritratto romantico. Da quello di Alessandro Manzoni, del grande Giuseppe Molteni, nato ad Affori nel 1800. Un Manzoni dallo sguardo serio, serissimo, perso in pensieri alti e lontani: un Manzoni che più Manzoni di così non si può! E che dire dello straordinario Ritratto del Conte Alfonso Porro Schiaffinati (detto il Conte Rosso perché amico e simpatizzante assai di Garibaldi) con quel suo incredibile cilindro giallo e lo sguardo intensissimo, dipinto da Carlo Arienti nel 1834? E poi fatemi dire dei fratelli Induno, Domenico, nato nel 1825, e Girolamo, nato nel 1835. Nella mostra ci sono diverse opere di questi due geniali pittori. Ricordo di aver visitato, tanti anni fa, una splendida mostra dedicata soltanto a loro due a Tortona, e di esserne rimasto straordinariamente colpito. Qui ho trovato piena conferma alla l0ro sublime maestria. La loro pittura è fatta di soggetti popolari, semplici, povere case e povera gente, con una vena patetica fatta a mio avviso di autentica pietas e di altrettanto autentica poesia.

Nella mostra novarese le loro opere compaio sia nella sezione che vi sto descrivendo che nell’area tematica dal titolo eloquente: “La Storia narrata dalla parte del Popolo”. Tra ritratti di estrema e triste povertà, di reduci di guerra garibaldina e non, di innamorate che attendono il ritorno dell’amato, di fanciulle che donano fiori alla Madonna, vediamo volti, atteggiamenti, case popolari e sguardi che, lo ribadisco, non profondamente nella nostra storia di popolo italiano. Frammenti e lacerti di una civiltà contadina che quelli della mia età hanno visto con i propri occhi. Magari erano i reduci di altre guerre, magari erano i poveri di altre miserie, ma era sempre l’anima e il sangue del popolo Italiano.

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Ma, tra le due aree tematiche ce n’era un’altra estremamente importante: Milano, da austriaca a liberata. Allora, è vero che qui si parla e si ritrae Milano, ma è altrettanto vero che la vicenda delle Cinque giornate di Milano l’abbiamo letta, imparata a memoria e introitata in noi a scuola: è la nostra storia, punto e basta! Qui non si può non rimanere molto colpiti ed affascinati dai capolavori di Carlo Bossoli, nato a Lugano nel 1815. Le sue vedute, le sue scene di battaglia o di celebrazione (suo è il dipinto che presenta la mostra sul sito web: “commemorazione dei caduti nelle cinque giornate di Milano”), esprimono con grande intensità quel clima e quel mondo, che cercava il riscatto dopo secoli di sudditanza, tra Spagna ed Austria.

Da questo punto in poi la mostra vive una svolta estremamente importante, perché cambiano le coordinate di tratto e colore, e si entra, lentamente ma decisamente, in un altro mondo, un mondo pittorico dove le figure umane e non solo, diventano sfocate, sfumate, dove si usano gamme cromatiche inusuali e del tutto diverse da quanto abbiamo visto fino ad ora nella pittura ottocentesca. Le zone tematiche che si susseguono hanno titoli che a loro volta sono l’uno il preludio del successivo, in un crescendo emozionale straordinario che troverà il suo massimo compimento nell’ultima sala. Dalla Sezione V – Verso il rinnovamento del linguaggio: dal disegno al colore, vorrei citare il bellissimo volto di Ofelia di Giuseppe Bertini, che sembra quasi invitarci a voltare pagina: l’epoca del romanticismo qui termina, si entra in una diversa modernità. I visi e i modi e le cose vivono diversamente sulla tela, e ci donano emozioni radicalmente diverse. Dalla estenuata, languida ed abbandonata Saffo di Federico Faruffini (del 1863), che è proprio emblematica del passaggio fra il dettaglio romantico (i fiori esausti in primo piano), arriviamo alla sfocatura impressionistica del magnifico Autoritratto di Filippo Carcano, del 1872), dove davvero i tratti e la luce sono nuovi e diversi, e certamente è comprensibile che all’epoca, tutto ciò fosse anche scandalo.

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Ma è nella piccola saletta successiva che si trova il dipinto più emblematico, a mio avviso, dell’evoluzione pittorica dell’epoca. Il tema della sala è di per sé tutto un programma, che ci fa capire come la nuova pittura fosse ridicolizzata ed osteggiata. Il titolo della Sezione VI era infatti “Il sistema di Filippo Carcano. La pittura scombicchierata e impiastricciata”. Ormai lo scontro fra il mondo del disegno rigoroso e quello del puro colore si fronteggiano in un’aspra contesa. Il quadro di cui vi parlo, che ritengo straordinariamente bello ma anche estremamente emblematico, è Un giorno di parata di Mosè Bianchi, un seguace del grande Carcano. Le due splendide donne uscite dalla chiesa (forse il Duomo di Milano) vivono splendidamente di colore e solo colore, così come impressione luminosa è la chiesa alle loro spalle, in una vibrazione totale della luce che è sicuramente radicalmente diversa dalle – peraltro bellissime – simili vedute viste nelle prime sale. Credetemi, indimenticabile.

Ed ecco le due ultime aree tematiche, che sono il trionfo dell’immenso Tranquillo Cremona e dell’altrettanto importante Daniele Ranzoni, il primo nato nel 1837, il secondo nel 1843. Siamo dunque nelle Sezioni VII e VIII: Verso la Scapigliatura e L’affermazione e il trionfo del linguaggio scapigliato.  E se nella prima sezione abbiamo dei magnifici ritratti, così intensi e “decadenti”, come quello di Nicola Massa Gazzino (1867) di Tranquillo Cremona, che alla vista mi ha fatto venire alla mente il famoso capolavoro di Oscar Wilde “Il ritratto di Dorian Gray”, che è del 1890, ma ancora coloristicamente abbastanza tradizionali, nell’ultima grande e magnifica sala, in un ambiente sapientemente scuro e molto intrigante di suo, eccolo, il trionfo della scapigliatura in pittura, in quei dipinti senza praticamente più disegno, vero trionfo della luce che si disfa, si rifrange, ti avvolge, quasi fuoriuscendo dal quadro stesso, in una fascinazione assoluta, che ho trovato eguale, ad esempio, davanti ai grandi capolavori degli impressionisti.

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Citerò soltanto qualcuna delle opere presenti in questa sala, ma sappiate che si tratta di tutti capolavori indimenticabili. E come non iniziare con celeberrimo dittico Melodia e In ascolto, del 1878, dove musica, bellezza e giovinezza si fondono e si confondono in una iridescenza coloristica prodigiosa ed ammaliante. Poi ci sono i prodigiosi gioielli ritrattistici di Daniele Ronzoni, come il Ritratto della Signora Pisani Dossi, delicatissimo e commovente, ed I tre amici: una ragazzina, un ragazzino, un cane…vero e proprio trionfo della più assoluta ed espressiva vibrazione della luce e del colore. Fantastico, altro non posso dire.

Ma lasciatemi terminare questo mio riassunto delle emozioni che mi ha donato questa bellissima mostra, con la citazione di due delle pochissime sculture presenti, entrambe di Giuseppe Grandi, la Testa di Ulisse, il busto del Giovane Beethoven, entrambe opere della notevole espressività…e infine…infine posso solo dire di aver visitato la mostra al Castello di Novara davvero immerso in una Grande Bellezza, densa di genuina meraviglia.

 

 

 

 

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