Pagnufli e Rustì: due personaggi storici di casa nostra

Non so più dire se questi due fenomeni fossero veramente di Castelceriolo oppure di San Giuliano
Nuovo o magari di Filippona di Lobbi, ma dai racconti che si facevano all’epoca della mia infanzia
sembra proprio che qui da noi si siano fatti conoscere per le loro comiche gesta, degne di essere
riportare ai posteri. Poi col tempo, a distanza di molti decenni, quando conobbi l’autore di alcune
fra le più belle poesie in dialetto alessandrino, il famoso Sandro Locardi, che si dilettava di esibirsi
in teatro ed in alcune stazioni televisive locali, mi sembra di ricordare da un suo racconto che uno
dei due, il famoso Pagnufli, sia entrato a far parte dei personaggi della commedia dell’arte, assurto
come originaria macchietta della stessa città e non più dei paesi del circondario alessandrino.
L’Informatore Alessandrino, noto periodico del nostro capoluogo, nel citare Pagnufli, lo associa ad
altri due nomi famosi come il leggendario Cichinisio, campione cittadino della stoltezza, un mezzo
scemo che gridava sconcezze alle donne per strada ed alla Circe, una professionista del sesso a
pagamento, nota a tutti gli alessandrini maschi al tempo della mia giovinezza studentesca.
Ma del socio di Pagnufli, un certo Rustì, pare proprio che fosse originario dell’Oltre Bormida,
stando ai racconti dei nonni, dal momento che la memoria delle sue imprese ladresche erano
diffuse qui intorno a noi più che da altre parti. Forse addirittura era di Cascinali Foco.
Pagnufli lo avevano chiamato così perché aveva un difetto nel parlare, a causa di una pronuncia
nasale accentuata e caratteristica, del tutto simile a quella di un nostro compaesano molto
conosciuto. Rustì invece era stato così battezzato con l’epiteto dialettale che sta per “arrostito” in
italiano, in quanto pare che in fumo siano andati a tempo debito sia il suo portafogli che il suo
cervello. Uno spiantato che passava le sue giornate alla bellemeglio, quando allora non esisteva
ancora il reddito di cittadinanza. Erano una coppia affiatata e giravano nei paesi preferendo di
norma le cascine isolate per compiere raggiri e piccoli furti, senza usare però alcun tipo di
violenza. Due poveracci, incorreggibili dilettanti del crimine, roba da paese e niente di più.
I carabinieri li conoscevano e forse li avrebbero condotti in “gavardona” più di una volta, ma senza
poterne ricavare nulla di buono, per cui verso di loro c’era una certa tolleranza, anche da parte di
molte delle loro vittime.
Posso raccontare un episodio abbastanza comico, che ebbi occasione di ascoltare in una di quelle
serate davanti al camino, all’epoca in cui non conoscevamo ancora la televisione in famiglia.
I fatti si svolsero all’imbrunire presso la cascina Valmagra che si trova isolata nei campi fra
Castelceriolo e San Giuliano Nuovo, la stessa di cui si parlava a proposito della famosa “Teresina”,
cioè la macchina che servì per la stampa delle banconote false ma non troppo della lira dopo il
trasferimento della zecca sabauda da Torino a Firenze. Di questo fatto ne parlai diffusamente in un
mio almanacco di qualche anno fa, racconto che ebbe solenne conferma in Argentina l’anno in cui
mi recai in quel lontano paese, durante una cena in mezzo a gente di origine lobbiese-
sangiulianina.
I fatti andarono così: Approfittando delle tenebre della sera, Pagnufli e Rustì pensarono di agire
favoriti dal fatto che il padrone della cascina era impegnato a tavola per la cena, per andare a fare
un colpo presso la cascina Valmagra, un povero furto di galline e niente di più. Mentre Rustì
faceva la guardia al cancello, per essere certo che nessuno arrivasse, il complice Pagnufli si
introdusse sotto il portico della stalla, dove di sera dormivano le galline. Stava per completare il
colpo, quando il padrone, insospettito dall’abbaiare ripetuto del cane di guardia legato alla catena,
interruppe la cena ed uscì fuori nel cortile. Rustì non fece in tempo ad allertare il complice e quindi
il padrone a passo veloce arrivò sotto il portico proprio nel momento in cui Pagnufli reggeva un
grosso sacco di iuta pieno di foglie di granturco. Il padrone prese per il braccio il povero Pagnufli e
gli chiese cosa stesse facendo. Quegli rispose che era venuto a prendere un sacco di fogliame di
mais per farsi un pagliericcio per dormire, usanza allora molto diffusa nelle nostre campagne, dove
molte povere famiglie dormivano nei materassi di “fujachèn” non potendosi permettere la lana. Il
padrone allora gli intimò di rovesciare il contenuto del sacco per terra ed in quello stesso momento
scappò fuori una gallina starnazzante. Il padrone della cascina allora gridò: “e questa che cos’è?
Fujachèn anche questi? Pagnufli si mise ad imprecare e ribatté in dialetto: “ma uarda sa bagasa
che a s’ è enfilaia sensa dimal ånt’u sac”. Guarda questa bagascia che si è infilata nel sacco senza
dirmelo!
Il padrone non seppe come reagire e lasciò andare Pagnufli dalla parte opposta del cancello, dove
Rustì se ne stava accucciato e zitto e tutti e due se la svignarono in tutta fretta, prima che il

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padrone desse mano al bastone. Ladri che in fondo facevano tenerezza, molto diversi da quelli di
oggi.

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