Dall’Ucraina a Valmadonna: “Per noi anche un sorriso è importante, grazie italiani!”

Irina ha la voce dolce, il fisico minuto, gli occhi chiari e profondi, sembra debole e indifesa.

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Ma è una mamma e, soprattutto, è ucraina e questo fa la differenza: le parli e capisci subito che lo spirito è forte e indomito. Nonostante tutto, nonostante la tragedia di queste vite sconvolte.

Sono arrivati in otto a Valmadonna, ospiti dell’amico Danilo Colombo, che ha sposato una ragazza ucraina, Anna, da cui ha avuto due splendide bimbe, Natali e Alissa.

In quattro, coi tempi che corrono, non è facile arrivare a fine mese.

Poi, però, la maledetta, vigliacca invasione russa e le cugine di Anna sono dovute fuggire dalle loro case e sono arrivate ad Alessandria: se hai il cuore grande, non puoi dire di no e la famiglia “allargata” è cresciuta da 4 a 12 componenti. Grande Danilo!

“Perché noi non siamo come loro”.

Allora, sono andato a trovare questi nuovi amici e ho conversato con Irina, che parla un po’ di italiano.

Lei, impiegata di un call center, è arrivata da Kiev (anzi Kyïv)  con il marito, la suocera e i due gemellini di due anni: a lui è stato permesso di uscire dall’Ucraina solo perché con loro viaggiano i due figli, uno dei quali ha gravi problemi di salute.

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“Allo scoppio della guerra ci siamo dovuti nascondere nella cantina del nostro condominio: abbiamo passato 5 giorni sotto terra, sentivamo il rumore dell’artiglieria, i bambini erano terrorizzati”

Poi siete riusciti a scappare?

“Sì, siamo andati verso la frontiere polacca, ma in un primo momento non ci hanno lasciato passare perché non avevamo i certificati medici attestanti la disabilità del mio bambino. Quindi lo abbiamo dovuto ricoverare in ospedale per diversi giorni e, finalmente, con tutti i documenti a posto, ci hanno fatto passare. Ma c’era un altro problema, con noi c’era anche Marsik”

Marsik è un meraviglioso gattone che si aggira guardingo per la casa di Danilo…

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“La burocrazia è sempre in agguato, anche in situazioni così tragiche. Alla frontiera polacca abbiamo dovuto aspettare altre 10 ore perché avevamo con noi un animale e anche per lui si dovevano fare dei controlli.

Poi, finalmente, l’Europa, la salvezza”.

A casa di Danilo, però, si è conclusa l’odissea di altre 3 persone: l’altra cugina Alona, impiegata di banca, con le sue due bambine di uno e tre anni.

Loro arrivano da Shostka, nella provincia di Sumi: è una città di 86.000 abitanti, più o meno come Alessandria, poco lontana dal confine con la Russia.

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Gli abitanti, una mattina, si sono svegliati circondati dai carri armati: la città non è stata bombardata solo perché è sede di una fabbrica di polvere da sparo ma non si entra e non si esce più.

Alona era già riuscita a scappare con le due bambine nella dacia fuori città: il marito, poliziotto, e il papà, impiegato nella fabbrica di polvere da sparo, a loro volta erano andati a Kyïv a combattere.

Per Alona, sola con le due bambine, inizia l’odissea.

Vanno da Shoskta a Kyïv su un pulmino, su strade secondarie a fari spenti nella notte, poi in treno fino a Leopoli: anche il treno corre nella notte completamente al buio per sfuggire ai bombardamenti, coi macchinisti che conducono il convoglio “a memoria”.

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Da Leopoli ancora un breve trasferimento fino al confine polacco e poi un aereo per Malpensa: dopo 4 giorni senza poter dormire, fine dell’incubo, ma il cuore resta con chi è ancora in Ucraina a combattere o a rischiare di cadere sotto i bombardamenti.
L’Italia è la salvezza, la pace, ma il progetto è quello di tornare a casa perché là ci sono il lavoro, gli affetti, la vita, un futuro per 4 bambini strappati ai loro amici, ai giochi, ai parenti.

Immaginate: persone normali, con una vita normale, come noi tutti in occidente, improvvisamente, nel giro di poche ore, costrette a lasciare la casa, il lavoro, a vagare per l’Europa senza soldi e con solo quello che può contenere una valigia.

Sono tutti russofoni, perché quando hanno studiato l’Ucraina faceva ancora parte dell’Unione Sovietica.

“Adesso però stiamo imparando la nostra lingua (i due idiomi sono completamente diversi), anche tra di noi non parliamo più russo, con la Russia non vogliamo avere più nulla a che fare” ci dice Irina, una che, nonostante tutti i problemi che la vita le ha riservato, non è tipo che si arrenda facilmente.

“La guerra ci ha fatto riscoprire di essere un popolo unito. Abbiamo scoperto di avere un grande Presidente, Volodymyr Zelens’kyj che ci rappresenta in modo eccezionale e con lui tutti coloro che ci governano sono uniti e compatti. E anche la gente, in questa tragedia, si aiuta: abbiamo ritrovato una grande unità”.

E l’Italia?

Il volto di Irina, almeno adesso, si illumina: “Siete delle persone eccezionali. Voglio ringraziare voi italiani, da quando siamo arrivati abbiamo trovato solo persone gentili, tutti ci aiutano, in tanti si sono preoccupati per noi e per i problemi dei nostri bambini, anche i medici. Abbiamo ricevuto cibo, indumenti, ma soprattutto parole di amicizia. Per noi in questo momento anche un sorriso è importante!”

Gli amici di Danilo si sono mobilitati, la Croce Rossa è intervenuta, ma le istituzioni hanno fatto ancora poco.

La solidarietà dei privati non basta per le tante situazioni simili a quelle di Irina e Alona: bisogna fare di più per questi nostri fratelli e amici!

Intanto, Marsik si aggira inquieto: non ama la nuova sistemazione, soffia ostile agli sconosciuti, chissà se riuscirà mai a capire che non tutti gli uomini sono così malvagi da cacciarti di casa e da farti perdere le persone cui vuoi bene.

Massimo Taggiasco

 

 

 

 

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