Grazzano Badoglio tra storia e leggenda

Un fascino reiterato emana Grazzano, benché abbia la convinzione di conoscerlo bene finisco sempre per convincermi del contrario, come succede quando si è alle prese con le sinfonie di Beethoven.
Grazzano è molto più di un paese agreste e a differenza di altri borghi del Monferrato custodisce una storia millenaria che va dal medioevo a quella contemporanea.
A prima vista non si direbbe. La cornice dei vigneti trae in inganno e induce a pensare a un paese votato alla campagna e ai mestieri ad essa legati. Ed è proprio qui che casca l’asino cogliendo tutti di sorpresa.
La bellezza delle colline in cui è immerso è indiscutibile, ma Grazzano ha una reputazione storica da mantenere che gelosamente custodisce tra le sue antiche mura.
Insieme a una storia contadina, rappresentata dai ciechi scantinati scavati nel tufo, creati per far invecchiare il vino, se ne mescola una nobiliare e una politica, quest’ultima celebrata nel suo toponimo, dedicato al maresciallo d’Italia che a Grazzano nacque e morì e di cui restano documenti e fotografie molto ben conservate in un piccolo museo nel paese.
Dicevo poc’anzi che la prima occhiata al piccolo borgo non appaga. Si è accolti in una grande piazza assolata dai tratti simili a una già vista, quella di Camagna.
Nulla più di un parcheggio con un muraglione di laterizio rosso, che si trasforma in occasione delle partite di tamburello in un vero e proprio campo sportivo.
Alle due del pomeriggio sotto un caldo opprimente la piazza è vuota e arroventata dal sole. L’unico alito di vita proviene dal ristorante affacciato sulla piazza, dal quale escono alcuni avventori un po’ assonnati per gli strascichi di una golosa abbuffata. Si intrattengono a conversare nel piazzale riparati dalla striscia d’ombra che i tetti sporgenti delle case concedono.
In verità è un po’ troppo presto per salire in alto, verso il cuore storico di Grazzano, ma, senza lasciarmi prendere dallo sconforto, affronto con stoica fermezza la rampa di scale che porta all’Abbazia, sfuggendo al caldo torrido di questa domenica estiva che non dà tregua, per cercare all’interno delle sue spesse mura antichissime la quiete, la leggenda e il meritato refrigerio. Abbarbicata nella parte alta del paese si trova infatti da tempo immemore un’abbazia ancor più antica del paese stesso, fondata da Aleramo, il più noto cavaliere della stirpe degli aleramici, colui che passò alla storia per una scommessa. Ottone I, imperatore del Sacro romano Impero, per la sua fedeltà gli aveva promesso: ” tante terre avrebbe avuto in dono quante ne avesse percorse a cavallo in tre giorni e tre notti”.
Fu così  per una cavalcata che nacque il marchesato del Monferrato, o meglio è quello che ci è giunto da una delle leggende più accreditate. La cavalcata si concluse proprio qui a Grazzano dove le sue spoglie mortali riposano, dietro una lastra di marmo solcata da un epigrafe che ne commemora le gesta.
Per non scalfire il silenzio avanzo in punta di piedi, avvolta nella piacevole frescura che trasuda dai muri secolari, identica a quella di un bosco appena lavato dalla pioggia.
Con sempre rinnovata emozione mi accingo al tanto onorato incontro. Accanto alla pietra dietro cui riposano le spoglie del cavaliere c’è il dipinto del Caccia che lo raffigura non più giovane, ossuto e dalla lunga barba grigia mentre sulla volta debutta la sua epica cavalcata senza la quale il bel Monferrato non esisterebbe, almeno cosi come oggi ci appare. A pensarci bene le rappresentazioni pittoriche del cavaliere potrebbero contenere un diverso significato. Potrebbero alludere al senso di immortalità; infatti qui la morte c’entra poco e viene descritta marginalmente nell’epitaffio, mentre è la vita ad apporre il suo sigillo.
E’ la vita audace del cavaliere a marcare il luogo allettando il visitatore con i colori delle sue imprese. E non è forse questo il senso dell’eternità? Non vale forse lo stesso discorso anche per quelle anime semplici, quelle per così dire “del nostro livello”, che non si sono distinte in vita per particolari imprese, ma  restano vive nel cuore di chi le ha amate?  La fama di Aleramo è proseguita inalterata. Senza conoscere interruzioni è andata oltre i suoi immediati discendenti e travalicando i secoli è diventata immortale. Galleggia tra le mura secolari di questa Abbazia in un legame indissolubile, offrendomi inaspettatamente,  un viaggio spazio temporale.
Dentro le sue mura si predica il passato remoto come fosse un eterno presente. Una scheggia sfuggita al tempo permeata di atmosfere arcaiche e da una percettibile sensazione di silenzio e di riservatezza. Mi riferisco al chiostro che merita una religiosa adorazione.
E’ tornato da poco a rivivere e a prosperare di alberi cotogni e melograni come al tempo dei benedettini. Mi fermo a guardare la sua geometria perfetta e i campi di vigne che dalla terrazza panoramica fanno la loro comparsa.
La luce intensa del pomeriggio non rende loro giustizia.
Tutto scolora sotto la vibrante calura estiva che nemmeno gli occhiali da sole servirebbero a distinguere le varie sfumature. Riflettendoci, sarebbe pretendere troppo da questa giornata. Questo piccolo neo sarà il pretesto per tornare in una migliore condizione di luce: lo terrò presente.
Mi avvio verso l’uscita ancora stupefatta dalla ricchezza del tempio e della sua memorabile storia.
I passi si succedono uno dopo l’altro. Riecheggiano lievi le mie scarpe in quel tempo sospeso, restie a ritornare nel mondo a cui appartengo e che per un attimo ho dimenticato.

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