Coronavirus e sicurezza sui luoghi di lavoro, ne parliamo col dott. Alessandro Feroleto

TORTONA – La pandemia in corso ha costretto le aziende ad adattare i propri ambienti e a modificare i processi all’interno di esse. Ne abbiamo parlato con il dott. Alessandro Feroleto, un giovane che da diverso tempo è un Tecnico della Prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro, cha ha dato una serie di consigli alle aziende per prevenire e contenere il contagio.

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I termini sicurezza e prevenzione sono ormai nel linguaggio quotidiano da quasi un anno a questa parte – spiega Feroleto -. Purtroppo questa pandemia ha toccato anche molti settori lavorativi che si sono trovati spiazzati e sprovvisti di idonee misure. Secondo l’81/08, il Testo Unico della Sicurezza sul lavoro, ogni Datore di Lavoro deve prevedere ogni possibile rischio per la sicurezza e la salute dei lavoratori e valutarlo. Il miglior modo di conciliare la sicurezza sul lavoro con la prevenzione è quasi interamente basato sulle regole comportamentali che ogni lavoratore dovrebbe tenere al fine di prevenire l’infezione. Ormai sappiamo che le vie di trasmissione del virus sono fondamentalmente le mucose oculari, nasali ed orali quindi la base, a differenza di tanti che ne negano l’utilità, è la mascherina oltre all’igienizzazuone frequente delle mani ma questo perché anche le mani sono un potenziale veicolo di trasmissione virologica e batteriologica. Oltre a queste regole, chiamate basi, possiamo adottare diversi metodi ma ogni metodo è a se stante e relativo all’attività lavorativa. Sicuramente è molto importante igienizzare il più possibile gli spazzi comuni, arieggiare frequentemente gli spazi più frequentati perché il ricambio di aria diluisce le potenziali particelle infette che possono essere aerodisperse nell’ambiente, per le aziende che possiedono dei tornelli dotarsi di un termoscanner che, misurando la temperatura fa una prima scrematura per chi è già nella fase conclamata dell’infrazione che si può individuare con la temperatura elevata, un altro e molto valido metodo è consentire la turnazione e l’alternanza del personale sul posto di lavoro per limitare al massimo i rapporti interpersonali o, addirittura, rimanendo da soli in ufficio senza la presenza di un’altra persona. Ci sono due regole che stanno alla base di tutto: il buon senso e la responsabilità di ognuno di noi”.

Ma cosa fare nel caso ci sia una persona sintomatica in azienda?

Spesso – prosegue Feroleto – ci si chiede come bisognerebbe comportarsi in presenza di sintomatologia legata al virus in azienda. Per prima cosa deve intervenire personale esperto che abbia avuto una formazione di primo soccorso, avendo già delle nozioni acquisite durante il corso di formazione. La prima regola che mi hanno insegnato fin dai primi servizi in Croce Rossa e che mi sono trasportato anche lungo il mio periodo universitario è il concetto di auto-protezione: si può assistere la persona potenzialmente affetta con delle precauzioni come, sicuramente, indossando una mascherina FFP2 in grado di filtrare le eventuali particelle virali presenti intorno all’area di respirazione della persona. I guanti evitano di contaminare le mani con cui inconsciamente potremmo, poi, toccarci e la visiera paraschizzi o occhiali protettivi per evitare che i droplets entrino in contatto con le mucose oculari. Dopo questo “piccolo” concetto di auto-protezione, la prima cosa da fare è far indossare la mascherina chirurgica alla persona per isolare la potenziale fonte di infezione, la cavità orale, e poi portare la persona in uno spazio isolato e attendere l’arrivo del soccorso pubblico. Dopo l’arrivo del soccorso pubblico è necessario arieggiare il più possibile gli spazi frequentati dalla persona e procedere con una sanificazione dei locali dove la persona è rimasta per più tempo durante la giornata lavorativa”.

Se un datore di lavoro non rispetta la normativa anticontagio può avere dei seri problemi.

Ovviamente – continua il dott. Alessandro Feroleto – tutta la normativa afferente alla sicurezza sul lavoro ha carattere penale e questo vuol dire che il datore di lavoro (cioè colui che si configura come figura che ha potere decisionale e di spesa) può incorrere in una pena punibile con l’arresto o con l’ammenda ma non mi dilungo sugli aspetti penali perché potrei parlare per ore. Attualmente i NAS (il Nucleo dei carabinieri a tutela della salute e della sanità) assieme agli organi ispettivi componenti dell’ASL, come il Servizio di Igiene e Sanità Pubblica (SISP) o lo Spre.sal, stanno facendo delle ispezioni per verificare che le aziende siano conformi a quanto disposto dalle varie normativa in materia di anti contagio da agente patogeno COVID-19”.

Ma se il lavoratore si ammalasse al di fuori del posto di lavoro, il datore di lavoro avrebbe dei problemi?

La domanda – conclude Alessandro Feroleto – è molto lecita e ha creato parecchia agitazione ad inizio del fenomeno pandemico. Infatti all’inizio si pensava che il datore di lavoro fosse responsabile, a prescindere, di un’ipotetica infezione dando quasi per scontato che la persona lo avesse contratta sul posto di lavoro ma, in seconda battuta, si è pensato che effettivamente è molto difficile correlare lo sviluppo della malattia al posto di lavoro in quanto, avendo il virus un periodo di incubazione che va dai 2 ai 15 giorni circa, sarebbe stato molto difficile dimostrare che l’infezione sia stata contratta durante la propria attività lavorativa. Dunque la risposta alla domanda è no: non ha alcuna responsabilità il datore di lavoro. Questo, però, non esclude il fatto che se un organo di vigilanza andasse a fare un’ispezione (ordinaria o su esposto) in un’azienda e trovasse una situazione di non conformità lo stesso può incorrere in sanzioni penali come detto in precedenza”.

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