Il “leggendario” Parroco della Cavallosa

Sulla strada che porta da Alessandria a Tortona, superato il piccolo paese di San Giuliano Vecchio si trova un’indicazione a sinistra che, se si ha la curiosità di seguirla, porta al Santuario della Cavallosa.

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La strada è di campagna, asfaltata, ma comunque immersa nel verde. Conduce, dopo qualche chilometro a una piccola chiesetta campestre, in realtà un Santuario, dedicato alla Vergine Maria.

Il punto però è un altro, senza togliere nulla al Santuario che merita di essere visitato: è un vecchio parroco l’anima del racconto . Un parroco ormai defunto da tempo, il quale ne era il custode.

Possedeva le chiavi di quel piccolo luogo di silenzio e di preghiera più di un ventennio fa.

Del prete in questione a stento ricordo il nome. Era conosciuto tra la gente per la fama che si portava appresso: quella di saper estirpare il malvagio dalle anime tormentate.

Lo chiamavano il “Parroco della Cavallosa” ma più che dir messa, correva voce, che praticasse l’esorcismo.

Vi ricorrevano soggetti afflitti da mali oscuri o da malattie le cui cause parevano sconosciute, anime intrappolate in depressioni o paranoie; insomma casi disperati, sostenuti da qualsivoglia genere di sfortuna e potenziati da una buona dose di maldicenza che contribuiva ad aggravare i sintomi.

Non si poteva pensare a lui come a un parroco qualunque, a cui affidare ad esempio i segreti da confessionale o immaginarlo dedito ai sermoni della domenica e, meno che mai, paragonarlo a quella figura di curato preciso e gentile a cui rivolgersi quando si vuole prendere marito. Nient’affatto.

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Tuttavia, rammento che fu proprio il matrimonio di un’amica l’occasione per avvicinarlo. Fu egli stesso a farsi conoscere da tutti, ma proprio tutti.

La dedizione a ben altre faccende e la sua negligenza verso le comuni pratiche di sacerdozio l’avevano indotto, quella benedetta domenica, a dimenticarsi completamente degli sposi e della loro promessa che rischiava di non avere luogo: non fosse stato per l’intervento di alcuni parenti, i quali andarono a prelevarlo direttamente a casa.

Un episodio che a distanza di anni, fa sorridere al solo pensarci.

Tra gli invitati, costernati da tale comportamento e annoiati dall’attesa, si cominciò a sparlare. Emerse, la vera indole di quel prete di campagna, dedito a svellere le manifestazioni del maligno.

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Si diceva che in un angolo dell’orto coltivasse egli stesso un imprecisato numero di erbe e preparasse intrugli e decotti amalgamandoli con alcune gocce di acqua santa.

Si diceva che, al soggetto indemoniato, facesse ingerire sul posto la pozione, rafforzandola con continue imprecazioni, alternate a preghiere, durante le quali il malcapitato demone cadeva in tentazione di lasciare il corpo della povera anima dannata.

Correva voce che le anime redente, di cui in quel giorno di festa si fecero anche i nomi, avessero riportato immediato giovamento dall’intervento del parroco.

Mi chiedevo se non fosse stata suggestione, piuttosto.

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Dovevo appurare sul posto e fingendomi afflitta da un’inesauribile dose di sfortuna mi recai, nei giorni seguenti, alla sua porta e bussai.

Fui accolta dalla perpetua, la quale apparve nel cortile di casa e, tra lo schiamazzare delle galline, mi invitò a entrare in una grande stanza in cui, tra messali e copie di vangeli, troneggiava sulla parete un grande crocifisso.

Quando il parroco entrò con il suo lungo abito nero mi interrogò sui mali da cui dipendeva la mia afflizione.

Seduta sulla sedia, gli risposi, ma dovetti risalire con lo sguardo i mille bottoni dell’abito talare, prima di incontrare il suo volto.

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Lui stava in piedi accanto a me, a lato della sedia. Mi sfiorò i capelli e scrutò nel loro groviglio per scongiurare un qualche possibile segno.

Mi guardò infine le pupille e si discostò, senza parlare. Preparò un decotto amaro come la fiele. L’orribile gusto mi lacerò lo stomaco, mentre disorientata ascoltavo le prescrizioni che il parroco mi ordinava una volta a casa.

Lasciai un’offerta a beneficio del Santuario, come consigliatomi e mi accomiatai.

Salii in macchina e quando dallo specchietto retrovisore egli sparì dalla mia vista presi a ridere, a ridere di gusto. Pensai a lui, chino nel suo orto, a curare le tenere pianticelle con grande soddisfazione.

Pensai a quel misto di diavolo e acqua santa che lui stesso incarnava e alle conseguenze che la sua attitudine avrebbe provocato in tempi sospetti.

Lo biasimai per le sue convinzioni. Lo ringraziai invece, per il buonumore che senza volerlo era riuscito a infondermi. Perdurava, nonostante fossero trascorsi alcuni giorni dal nostro incontro, e non mostrava segni di cedimento. D’altro canto anche la sensazione di immediata allegria poteva annoverarsi tra gli effetti benefici di un esorcismo moderno.

 

Foto: lavocealessandrina.it

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