Alessandria, Alessandria, povera città desolata e straniante

Oggi sono stato per lavoro a Torino (già lo sapete che ho un lavoro nomade), uscito dalla stazione, visto dove avevo l’auto, ma anche visto che era una giornata di dolce tepore autunnale, ho attraversato i giardini di Alessandria proprio di fronte alla stazione per poi andare verso il cavalcavia, passando poi proprio accanto al Marini…era un bel po’ che non facevo a piedi questa strada…e mi sono sentito di attraversare un luogo desolato e straniante…una sorta di landa ostile, da dove ormai gli alessandrini sono stati letteralmente espulsi. 

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La desolazione: quando ero un bambino che approdava ad Alessandria in prima media, era l’infinitamente lontano 1971, il pullman (beh, allora la chiamavamo “la corriera”, a dire il vero) fermava proprio davanti o quasi al Teatro. che era ancora in fase di costruzione! Ricordo che di anno in anno, prima per tutte le medie e poi alle superiori, salendo o scendendo da quella corriera, guardavamo quel teatro mai terminato e qualcuno la diceva sempre, quella quotidiana banalità: “Ma quando lo finiscono, questo teatro?”. Finalmente lo hanno terminato, quel teatro, intorno ai miei vent’anni. E l’ho amato e frequentato a lungo, quel teatro, dove ho assistito alle mie prime opere liriche, quando lo hanno inaugurato, erano di Rossini (il Barbiere di Siviglia) e Mozart (Così fan tutte). E e poi a teatro quante volte, ci sono stato? Tra Moliere e Dario Fo, Novecento di Baricco e le commedie divertentissime di Feydeau…e poi tanti, tantissimi concerti, da Battiato a De André, dalla Krameriana di Gianni Coscia all’elegante performance di Fiorella Mannoia...e coì via… comprese le magnifiche serate del Concorso per chitarra classica Pittaluga…ma il Pittaluga non l’ho citato a caso, perchè la chiusura del Marini avvenne proprio una brutta sera di circa 12 anni fa: mi stavo appunto recando in Teatro per assistere la finale del Concorso  Pittaluga quando trovai la strada transennata e un gentile signore che diceva a tutti quanti che il teatro era, purtroppo, inagibile (non spiegava in che senso fosse inagibile) e invitava gli ascoltatori a recarsi al Duomo, dove appunto si era trasferito tutto l’insieme degli organizzatori e dei musicisti.  Da allora, mai più sono entrato in quel teatro, come tutti gli altri cittadini di questa città e dei dintorni. Pare ci sia un progetto di usarli come centro polifunzionale sociale… Pare…Ma un teatro non è solo un edificio dove si fanno concerti o pièce teatrali. Un Teatro  dovrebbe essere uno dei cuori pulsanti della vita culturale di qualsiasi città. A Novara, che è grande poco più di Alessandria, che molto frequento per motivi di lavoro, il Teatro Coccia, grande e antico, trasmette continuamente musica nelle strade cittadine del centro storico, dove le auto non passano, propone una bella stagione estiva ed una immensa stagione invernale, fra Teatro , Concerti vari e Opera Lirica…in questa città qui il Teatro  è li, animale morente abbandonato da decenni alla sua desolazione, e a passargli accanto non può che far male al cuore…

 

 

Lo straniamento: a passare in quei giardini si alterna un sentimento di inquietudine per la strana gente che lo popola e di squallore per chi non lo popola più. Chi non lo popola più sono certamente i bambini. Perché io lo ricordo benissimo quando, bambino, scorrazzavo, mio padre poco lontano, tra decine e decine di altri bambini, al sicuro dal traffico (beh, allora decisamente più scarso di ora), ad ammirare con occhi curiosi i cigni che, pigramente, venivano a catturare qualche boccone…ma ora non più: non c’è più nessun bambino, neppure uno, che grida e gioca in quei giardini dove tutti gli alessandrini (o dei paesi intorno, come me) della mia età e non solo, hanno corso e giocato. Ma mica solo i bambini: nonostante la giornata piacevolmente assolata, non c’erano né giovani coppie  sulle panchine né anziani a passeggio: le panchine erano quasi tutte deserte. Solo su qualcuna c’era una persona coricata, la bottiglia di birra vuota rovesciata a terra. Su una ho visto tre cartoni di vino in scatola, probabilmente vuoti e lì abbandonati…su un’altra panchina un signore dallo sguardo stranito che ascoltava musiche balcaniche, su un’altra tre uomini neri, gli sguardi che saettavano intorno, allarmati, preoccupati. Infine, proprio all’imbocco della porzione di strada che passa accanto al Marini,  due donne su una panchina…che si parlavano fra loro in russo. Poi a camminare accanto al teatro abbandonato, ho incrociato due ragazzi, facce patibolari, parlavano fra loro in arabo, anzi più che parlare gridavano…ho avuto un attimo di inquietudine, benché si fosse in pieno giorno…e, si, mi sono sentito straniero in terra straniera, in questa città che so a memoria… dove sono finiti gli alessandrini? Espulsi di fatto dai loro stessi giardini? In questo luogo dove con mio padre, quand’ero bambino, stavo ore a passeggiare nei giardini, giocare con altri bambini, mangiare una granita in estate, non ce ne sono più: solo qualcuno che, come me, circola veloce e attento a chi incrocia. Com’è tutto diverso, tutto assurdo e praticamente deserto…

Povera, povera Alessandria, così desolata, così straniante…per quanto ancora dovremo vederti così?

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