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Da Kabul a Rosignano: la storia di due fratelli in fuga dal terrore

Non è possibile girare la testa dall’altra parte.
Le cronache, le storie che sembrano lontane, che paiono non riguardarci invece ci raggiungono, a sfidare e disturbare le nostre coscienze.
Pochi giorni or sono ho raccontato il mio toccante incontro con una famiglia ucraina, cacciata dalla propria casa, dalla propria vita, dai propri sogni a causa dell’infame aggressione russa e ora ospitata da un caro, generoso amico in quel di Valmadonna.
Ieri, invece, ho potuto toccare con mano un altro dramma, che le nostre menti già incominciano a dimenticare: quello dell’Afghanisthan.
Un incontro veramente inaspettato: a Rosignano Monferrato era in programma una bella manifestazione “Ricami divini”, una di quelle iniziative che servono a valorizzare e tenere vive le tradizioni artigianali e culturali del nostro territorio.
Viene proposta a me e mia moglie una visita guidata nel bellissimo borgo e, con nostro grande stupore, le nostre guide sono due ragazzi dai tratti somatici non propriamente piemontesi.
Sono Sediqe e Azizullah, due fratelli fuggiti dall’Afghanistan nell’agosto dell’anno scorso quando la precipitosa foga degli americani ha lasciato Kabul nelle mani dell’odio e della violenza dei talebani.
A Rosignano, grazie ad una associazione umanitaria, ci sono 4 ragazzi provenienti da questo inferno, giunti nel nostro Paese grazie ad un fratello delle nostre guide che lavorava alle dipendenze di una ditta italiana con una sede a Kabul.
Così, dal Monferrato ci troviamo idealmente nel cuore dell’Asia.
Sediqe è laureata in informatica, Azizullah era al terzo anno di economia; poi per loro tutto è crollato.
“Siamo di etnia hazara, la più perseguitata dai talebani: nel nostro paese per noi non c’erano più speranza e futuro” ci raccontano.
Gli Hazara rappresentano tra il 10 e il 20% della popolazione afghana. Le persecuzioni nei loro confronti sono cominciate alla fine del 19esimo secolo, quando secondo le stime più di metà della popolazione fu sterminata. Violenze che sono state ripetute dai talebani tra le fine degli anni 90 e il 2001 ed ora sono riprese senza sosta, lontano dalle cronache e dai media occidentali, i soli che possono denunciare al mondo questa vergogna. E per le donne hazara la discriminazione si fa ancora più pesante.

Come siete fuggiti da Kabul?

“Siamo stati due giorni in aeroporto, senza bere, mangiare o dormire, in mezzo a decine di migliaia di persone che si accalcavano davanti ai cancelli. La nostra salvezza, il nostro lasciapassare, insieme alle mail dall’Italia, è stata una fascia rossa, legata al braccio, nascosta sotto i vestiti, che abbiamo mostrato ai militari americani che presidiavano gli ingressi”.

Chi avete lasciato nelle vostre case?

“I nostri genitori anziani. Riusciamo ancora a sentirli, ci raccontano gli orrori del nostro paese, come le bombe che due settimane fa hanno fatto una strage di ragazze tra i 10 e i 15 anni in una scuola femminile di Kabul”.

La storia della persecuzione degli hazara è narrata anche nel bellissimo libro “Il cacciatore di aquiloni” di Khaled Hosseini:

“Un libro vero, mi dice Azizullah, che racconta quella che è la tragica vita quotidiana nel nostro paese. Non riusciamo a capire perché gli occidentali se ne siano andati, sarebbe bastato molto poco per avere ragione dei talebani, male armati ed in inferiorità numerica.”

Parliamo così anche di storia, di libri, di archeologia, della distruzione dei Buddha di Bamiyan, della volontà di cancellare il passato e l’identità di un popolo in nome del fanatismo religioso, perché proprio nel passato ci sono le ragioni del presente e della speranza nel futuro.
La cultura è la prima forma di resistenza contro il fanatismo e l’intolleranza.
Sediqe e Azizullah hanno l’età di nostra figlia ma hanno già vissuto l’orrore della guerra, la paura della morte, la disperazione dell’esilio.
Nei loro occhi vediamo tanta tristezza, ma anche la luce di una gioventù che non vuole abbandonarsi alla disperazione. Fortunatamente hanno studiato, cosa che per le ragazze sta nuovamente diventando impossibile.
In Italia hanno ritrovato la speranza di costruire un futuro, ma tanti non hanno avuto questa possibilità. Non dimentichiamoli.

Dalla storia di questi ragazzi giunti in Italia è nato un bellissimo documentario (“non possiamo vivere sotto quella bandiera“) il cui trailer potete trovare a questo indirizzo: https://www.mymovies.it/film/2021/we-cannot-live-under-that-flag/.

 

 

Categories: Monferrato
Massimo Taggiasco:
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