L’apoteosi della grande Musica: l’immenso Beethoven, proposto da Claudio Barbetti e Roberto Baldo ad Alessandria

Quando ero giovane, ma molto giovane davvero, avrò avuto 15 o 16 anni, iniziai ad avere una passione, anzi due, che mi trascino tutt’ora: la prima era l’alta fedeltà, la seconda quella della cosiddetta Musica Classica. Fu il momento dell’acquisto del mio primo impianto stereo (un coordinato Sony: amplificatore, casse, giradischi). Ma, contemporaneamente, iniziai anche la raccolta di LP, appunto di Musica Classica, dal titolo complessivo I Grandi Musicisti. Tutt’ora possiedo ancora quel vecchio giradischi, un baldo 59enne, perfettamente funzionante, e anche la collana di quei dischi, con quei grossi cofanettoni marron che li contenevano, 10 a 10. Il primo dei cofanetti era dedicato a Ludwig van Beethoven (che loro definivano, non senza un tantino di enfasi, Il Titano della Musica). Ma una cosa che mi colpì, e che ricordo molto bene, è stato un fatto singolarmente coincidente a tutto ciò: feci l’acquisto della mia primissima rivista di settore, che trattava di Alta Fedeltà, ma anche, ampiamente, di musica e dischi: Stereoplay…e lì trovai una bella rubrica musicale che mi guidò per mesi. Si intitolava Se non vi piace Beethoven…l’unica è ascoltarlo!, e in ognuna delle sue puntate, mensili, mi insegnò, appunto, ad ascoltare Beethoven! Comprese le due meravigliose composizioni – e lo sono in senso assoluto – che ci vengono proposte nel concerto, totalmente beethoveniano, di sabato 17 maggio: il Concerto n. 5 per pianoforte e orchestra in mi bemolle maggiore, op. 73 Imperatore e la Sinfonia n. 7 in la maggiore, op. 92. Quante volte le avrò ascoltate, queste composizioni? Non ho tenuto il conto, ovviamente, ma vi posso assicurare che ogni volta è una grande emozione, e ogni volta ci scopro qualcosa di nuovo che prima mi era sfuggito.

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Il Quinto Concerto di Beethoven è il più famoso e il più popolare di tutti i Concerti per pianoforte e orchestra della nostra letteratura sinfonica, perché anticipa per qualche aspetto i modi del Concerto romantico e, tuttavia, propone in termini essenziali i caratteri noti e comunemente preferiti dell’arte beethoveniana, quella del periodo cosiddetto Eroico, che influenzò tutta la musica dell’800 romantico. Peraltro, il sottotitolo Imperatore, dato al Concerto – molto diffuso in epoca romantica, stampato addirittura sulla partitura e divenutone quasi un epiteto descrittivo, dove l’Imperatore di cui si tratta è Napoleone Bonaparte – è un assurdo abuso, fatto dal pianista Johann B. Cramer dopo la morte di Beethoven, il quale mai si sarebbe sognato di chiamare così, con enfasi tanto presuntuosa, un lavoro dedicato a Roudolphe Arciduc d’Autriche. Oltre ad essere il quinto di quelli per pianoforte e orchestra scritti da Beethoven, è anche l’ultimo suo Concerto in assoluto, e venne composto nella primavera del 1809. Tra l’altro, Beethoven condusse a termine la partitura mentre le armate di Napoleone marciavano su Vienna. In maggio la capitale dell’Impero veniva cinta d’assedio e bombardata: Beethoven, rimasto nella città abbandonata dalla corte e dall’aristocrazia, si riparò dalle cannonate francesi nella cantina dell’abitazione del fratello Karl. Aggiungo solo che ci troviamo dinanzi a una pagina stupenda, in cui grandiosità e magniloquenza non appaiono certo esteriori o gratuite, e che consegue una perfezione di scrittura e un’apollinea sicurezza di linee che hanno ben pochi termini di riferimento, e non solo nella letteratura per pianoforte e orchestra. Pur concedendo moltissimo spazio al virtuosismo nella scrittura della parte del pianoforte, il Concerto non rischia mai di scadere in quella dimensione di genere compositivo «minore» che l’età classica – e non solo essa – comunemente attribuiva al Concerto con strumento solista, suscettibile di contaminazioni esibizionistiche, rispetto alla nobilissima serietà della Sinfonia, dove si faceva musica e basta: questa è musica sublime. E basta. Certo richiede un solista capace di essere contemporaneamente dinamico e robusto, e anche di saper entrare nella dimensione delle più raffinate sfumature. Di certo lo è il M. Claudio Barbetti, che ho ascoltato e visto in concerto in altre occasioni, ed è certamente all’altezza della situazione.

Con la Settima Sinfonia in La maggiore, è l’idea di armonia, di «gioia», che conquista Beethoven. Richard Wagner, colpito dall’elemento ritmico che, incessante, pervade l’intera partitura, cosi la definì: «Questa sinfonia è l’apoteosi della danza. È la dama nella sua massima essenza, l’azione del corpo tradotta in suoni per così dire ideali». Che la danza ed il ritmo penetrino in ogni settore della composizione è del tutto vero; il ritmo ne diviene categoria generatrice: dà forma ad incisi ed idee, innerva e vivifica la melodia, trasforma plasticamente i temi. Ma anche accelera i cambi armonici, concentra o disperde i motivi tra le varie fasce timbriche, sostiene e sospinge vigorosamente le dinamiche in espansione. Nella Settima troviamo però anche un linguaggio drammatico, un’animazione che ripropone il contrasto fra luce e ombra, fra tensione e riposo, ch’è insopprimibile alla vita interiore. E che nel nostro caso si trova lanciata nella scia di una vittoria: quando il dramma fra il male e il bene è stato preventivamente risolto in favore del bene, cioè della positività della vita. Una meraviglia, che la prima volta che l’ho ascoltata, mi riempì di gioia immensa. In questo caso il Capitano, mio capitano, di tutto quanto, il Direttore d’Orchestra, sarà il Maestro Roberto Michele Baldo,  che guiderà l‘Orchestra Sinfonica “I Regi”. Il tutto dentro una bellissima Chiesa che, ve lo dico per esperienza, esibisce un’acustica davvero magnifica, quella di san Giovanni Evangelista del Rione Cristo. Una straordinaria occasione per immergerci nella Grande Musica.