Quarant’anni di variazioni artistiche su un unico tema: “Natura e Artificio”: l’affascinante mostra di Piero Racchi nella Chiesa dell’Annunziata a Bubbio.
Faccio fatica a dire di no all’entusiasmo. Quando poi ben due, persone appassionate e competenti, ne dimostrano parecchio, per una mostra e il suo autore, di entusiasmo, allora è proprio impossibile esimersi. Così prima la Vice-Sindaco di Rocchetta Palafea, Barbara Gandolfo, brevemente conosciuta al Vernissage della mostra Di bello in bello a Monastero Bormida, che mi dice di dover scappare all’inaugurazione, appunto di quella di Piero Racchi a Bubbio, dall’intrigante titolo Natura e Artificio, stesso pomeriggio, e mi consiglia caldamente di andarci, anche per farci un articolo, a vederla, quella mostra. E scappa. E poi Carla Panaro, ormai un’amica – ma anche curatrice delle mostre nel Monastero con sua figlia Ilaria – che mi dice che sì, merita eccome, quella mostra, che è un suo amico, che se non lo conosco faccio male, che se mi va ci andiamo insieme, ché da Monastero Bubbio è a due passi. Un entusiasmo travolgente: come si fa a dire vade retro?
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Così, in una domenica mattina di sole, il caldo e accogliente sole di settembre, eccomi sulla strada per Bubbio con Carla…beh da Monastero a Bubbio non è che ci vada tanto tempo, pochi minuti. Carla è stata – ora è in pensione – la portalettere di Bubbio, per parecchio tempo, conosce tutte e tutti e di più generazioni. Ci andiamo a prendere un caffè, e ad ogni passo saluta e sorride, la salutano e le sorridono, e ha per ciascuno una parola, un gesto di affetto, un sorriso. La guardo: Carla è speciale, sprigiona, letteralmente, empatia e tenerezza, e la sua compagnia in una breve passeggiata nel paese che è davvero molto suo, è di per se una cosa piacevolissima…io con la mia macchina fotografica in mano, che faccio qualche foto, che un po’ così osservo le cose, con le foto e con le parole, e tutti mi guardano con un bellissimo punto interrogativo sulla testa, che vedo bene anche quando lei mi presenta come un mio amico giornalista, e loro sorridono e salutano, che se è un amico di Carla, si possono fidare, no? E scatto foto, mi guardo intorno, mi sento bene, avvolto di cordialità. Amo i paesi di questo lembo di mondo – penso – amo i paesi che sembrano un nido sperduto nell’aria di queste colline. Quasi mi dimentico che siamo lì per l’intrigante mostra di un affascinante Pittoscultore, così si presenta lui stesso, Piero Racchi.
Ancora una volta il mio miglior viatico per questa nuova conoscenza artistica è Carla, amicissima di Piero Racchi, che ci presenta con il suo incredibile entusiasmo e, nella bellissima Chiesa (sconsacrata, ma non sembra) della Confraternita dell’Annunziata, entra con noi una vera ventata di buone vibrazioni, come avevamo il coraggio di chiamarle un tempo, che creano una sorta di campo positivo di comunicazione fra tutti noi, con totale attenta ricettività da parte mia e grandissima disponibilità da parte di Piero Racchi. Un’atmosfera bellissima, tra gli incredibili colori del contenuto, ovvero della mostra, e l’altrettanta colorata austerità del contenitore, ovvero la chiesetta. Penso al Monastero che ospita, con spazi ben superiori, mostre di ogni tipo, poi mi guardo intorno e penso che in questa zona di mondo di contenitori incredibilmente belli ce ne sono parecchi!
Mentre Piero conversa e si fa fotografare con un suo amico e poi anche con Carla, inizio a guardare con occhio molto curioso le sue opere. Non sono del tutto impreparato a quello che vedo, perché ho letto in internet – link fornitomi da Carla, ovviamente – un po’ di informazioni artistiche su Piero Racchi. Ma certamente, da vicino, le sue Opere hanno un impatto materico incredibilmente vivo e pregnante. Le sue sculture paiono essere prosecuzione del pavimento della chiesa, resti di civiltà antichissime, di una perduta Atlantide, di un’archeologia terrestre di tempi lontanissimi, forse provenienti da un passato immensamente remoto, forse da un futuro che ci attende. Quelli che appaiono, intorno a me, in forma di tele appese, a mio avviso non lo sono affatto…o meglio, lo sono tanto come i sacchi o le plastiche di Burri, oppure, a fare un esempio più vicino a me, come le delicate e poetiche opere materiche della mia amica Iris Devasini. Sono materia che si fa colore, che con la tela ha lo stesso rapporto di una composizione sinfonica – con 50 strumenti – rispetto alla sua trascrizione per solo pianoforte. Mi sento circondato da opere che mi parlano con un’evidenza importante, a tratti imperiosa. Ma temo di aver bisogno di qualche spiegazione in più, per meglio comprendere. E quale migliore occasione aver lì il creatore di tali opere così fantasmagoriche?
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Torno nel gruppetto che per pochissimi minuti ho lasciato, e inizia così da subito una bella conversazione fra tutti noi, molto intensa e molto entusiasta. Metto subito in chiaro con Piero Racchi che non sono un critico d’Arte, ma un semplice giornalista di provincia, che cerca di trovare e descrivere la bellezza che si fa, la bellezza che c’è. Che naturalmente approfitta, quando può, della presenza dell’Artista per intraprendere un dialogo fatto di curiosità, riflessioni comuni, emozioni condivise…e magari con le mie domande un po’ ingenue che farebbero sorridere gli esperti, i veri critici d’Arte. Piero ad un certo punto mi sorride e dice: sai, c’è stata una volta in cui una famosa esperta ha parlato di una mia opera, che partecipava ad una collettiva, e ha detto cose complicate e certamente molto intelligenti…tanto che alla fine del suo discorso mi son chiesto: ma cosa c’entra tutto ciò con la mia Opera?
Ridiamo, poi gli narro brevemente di come la mia conoscenza diretta di diversi artisti mi ha consentito, alle loro rispettive personali, di poter avere la fortuna e l’onore di interagire in modo molto dinamico con loro, che hanno perdonato le mie domande a volte ingenue e a volte mi hanno apprezzato proprio per il mio approccio del tutto scevro da preconcetti: voler capire, per poi meglio apprezzare, sic et simpliciter è l’unica bussola del mio rapporto con l’Arte, tanto quella del passato che quella contemporanea. E, naturalmente, gli faccio la domanda più ingenua e più banale che si possa fare: ma perché tutte le tue opere hanno lo stesso titolo, Natura e Artificio? La spiegazione è semplice e complessa nello stesso tempo, e bellissima: perché le opere di Piero Racchi sono una catena virtualmente infinita sul rapporto fra l’artificio umano – case, strade, cose e palazzi – e la natura che con queste cose – con questi artifici – ha un rapporto di attesa, per poi re-impossessarsene, per poi tornare ad occupare il posto di preminenza che le spetta. Sono una lunghissima, estesa, variazione sul tema… di un perenne conflitto fra umanità e natura.
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Mi guardo intorno, mentre lo ascolto. Sento verso questo approccio artistico moltissima empatia. Mi si affollano associazioni di idee potenti e tumultuose. Gli narro con spontanea emotività della casa dei miei avi paterni, dove proprio quello che lui descrive con la sua Arte ha un’evidenza totale: l’antica casa dove, al suo interno, è cresciuto un enorme glicine, che l’ha sventrata e se n’è come impadronito, potente metafora di come diverrebbe l’artifizio umano senza più l’umanità…sorride, e mi rendo conto che ci si capisce, eccome, con questo artista dalla complessa semplicità…e poi, naturalmente, parliamo dell’idea di variazione in musica. Che a mio avviso, è quella più vicina alla sua idea di composizione artistica, alla sua infinita variazione su un tema. Come una Chaconne, componimento strumentale assai frequentato dai grandi musicisti dell’epoca Barocca, da Hendel a Bach, originariamente una danza in ritmo ternario e movimento moderato, composto di variazioni su di un basso ostinato di 8 o 4 misure, che ad un certo punto finiscono con il terminare del brano, ma virtualmente potrebbero andare avanti indefinitamente. Come esempio supremo, cito le immense Variazioni Goldberg di Bach. In questo modo di pensare la musica l’armonia della composizione non cambia…in resto si, eccome. Provate ad ascoltare l’inizio delle Variazioni Goldberg : tra il tema e la prima variazione pare ci sia una differenza immensa…ma se ascolterete con attenzione, vi renderete conto che l’armonia sottostante, quello che meno appare ma tutto sostiene, è sempre la stessa. In tutta l’opera cambiano ritmo, tempo, melodia, intervalli…tutto, ma l’armonia no…Ecco: l’armonia che Piero Racchi compone, quella della Natura & Artificio, è sempre la stessa, ed infinite e stupende sono le variazioni che la sua creatività – che davvero trovo vasta e affascinante – propone nelle singole opere, nelle singole variazioni.
Che a volte sono composte dagli oggetti che lo ispirano e basta, a volte magari da una foto sulla tela che poi lui letteralmente popola di materiali che evocano la costruzione umana e altri che, non al contrario, ma in una sorta di complementarietà necessaria, di quel dopo l’umanità, che è così importante nella sua opera, evocano la natura, con la sua insinuante, ma inarrestabile, riconquista del mondo. Credo di aver compreso che nella sua visione artistica, e naturalmente anche umana, questo suo modo di pensare il mondo, l’arte, il tutto che ci circonda, sia, semplicemente, una sua necessità esistenziale.
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Potevo non terminare questo incontro con Piero Racchi senza una delle mie domande ingenue e forse un po’ sciocche? Certo che no. E allora gli chiedo da quanto tempo va avanti questa sua inesausta variazione su un tema. Lui mi guarda e sorride: beh, da almeno quarant’anni… Sorrido anch’io… e allora, gli rispondo, intitolerò il mio pezzo su di te Quarant’anni di variazioni artistiche su un unico tema. Gli piace. Sorridiamo ancora, ci salutiamo. Posso permettermi di dire che ora non è soltanto un artista conosciuto grazie ad una comune amica, ma anche un amico?