Coldiretti Alessandria: “Pomodoro: è allarme per il +50% di import da Cina, tra violazione diritti umani e speculazione”
Alessandria – Entra nel vivo la raccolta dell’oro rosso sul territorio della provincia alessandrina. Stiamo parlando di sua maestà il pomodoro, protagonista indiscusso di ricette, pummarola e insalate, ingrediente fondamentale della Dieta Mediterranea, messo a dura prova dagli effetti dei cambiamenti climatici e da un +50% di import di prodotto cinese che costa la metà di quello tricolore grazie allo sfruttamento dei prigionieri politici e della minoranza musulmana degli Uiguri nello Xinjiang. Uno scenario in cui la Cina con 7,3 miliardi di chili nel 2023 sorpassa l’Italia nella classifica mondiale dei produttori di pomodoro da industria.
In Italia sono circa 70mila gli ettari coltivati a pomodoro da salsa per una filiera che impegna complessivamente circa 7.000 imprese agricole, oltre 100 imprese di trasformazione e occupa 10.000 addetti, per un fatturato totale che lo scorso anno ha raggiunto i 4,4 miliardi di euro.
In provincia di Alessandria i numeri sono in crescita per un prodotto di grande eccellenza, richiesto a livello industriale dai più prestigiosi marchi di settore del Made in Italy: per quanto riguarda il pomodoro da trasformazione si è passati dai 2.371 ettari per 1.183.130 di quintali prodotti nel 2021 ai 2.516 ettari per 2.264.400 quintali prodotti nel 2022. Balzo registrato anche per il pomodoro da consumo dove si è passati dagli 89 ettari per 24.920 quintali prodotti nel 2021 ai 102 ettari per 36.720 quintali realizzati nel 2022 (*).
“Una situazione che deve però devono fare i conti con le conseguenze del clima pazzo, l’aumento dei prodotti energetici e delle materie prime che si riflette sui costi di produzione del pomodoro superiori del 30% rispetto alle medie storiche, anche per il caro carburanti e il gap delle infrastrutture logistiche di trasporto – ha affermato il Presidente Coldiretti Alessandria Mauro Bianco -. Il tutto mentre il pomodoro agli agricoltori viene pagato solo fra i 15 e i 17 centesimi al chilo. Il risultato è che, ad esempio, per una bottiglia di passata da 700 ml in vendita mediamente a 1,6 euro solo il 9,4% riguarda il valore riconosciuto al pomodoro in campo, mentre il 90,6% del prezzo è il margine della distribuzione commerciale, i costi di produzione industriali, il costo della bottiglia, dei trasporti, il tappo, l’etichetta e la pubblicità”.
In questo scenario l’Italia scivola al terzo posto come produttore mondiale scalzata dalla Cina che fa concorrenza sleale violando diritti umani e dei lavoratori tanto che Coldiretti ha scritto al ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida per denunciare che “l’aumento della produzione di pomodoro da industria cinese e la differenza di prezzo tra il concentrato di produzione orientale e italiana hanno determinato la ripresa di fenomeni fraudolenti di difficile individuazione data l’alta diluizione a cui il prodotto è sottoposto per l’ottenimento dei diversi derivati del pomodoro”.
Inoltre, il pomodoro cinese è coltivato per l’80% nella regione dello Xinjiang dove il governo cinese pratica da tempo politiche di repressione e genocidio della popolazione locale degli Uiguri con sterilizzazione di massa, campi di concentramento, schiavitù e lavori forzati nei campi agricoli. Una violazione dei diritti umani confermata nei mesi scorsi anche dall’ONU e dallo stesso Parlamento europeo.
“Tale situazione oltre a generare concorrenza sleale rispetto all’intera filiera del pomodoro da industria italiana ed europea, denota una questione etica, umanitaria e di giustizia sociale che necessita della dovuta attenzione – ha aggiunto il Direttore Coldiretti Alessandria Roberto Bianco -. Il concentrato di pomodoro cinese rappresenta un altro esempio delle produzioni importate e ottenute dalla violazione dei diritti umani. Per questo, seguendo l’esempio degli Stati Uniti, Coldiretti chiede che l’Italia si faccia portavoce presso la Commissione europea della richiesta di divieto assoluto di importazione di concentrato di pomodoro cinese, soprattutto se proveniente dalla regione dello Xinjiang. Bisogna poi considerare che il prezzo del prodotto di importazione, anche se sottoposto a dazio, è meno della metà di quello europeo. Anche chi fino ad oggi non aveva acquistato semilavorati del pomodoro dalla Cina viene tentato da prezzi bassissimi e dalla mancanza di un obbligo di etichettatura d’origine obbligatoria sui derivati del pomodoro utilizzato nell’UE, alimentando le distorsioni sul mercato”.
Intanto, l’Italia è all’avanguardia in Europa grazie al pressing della Coldiretti che ha fatto scattare anche l’obbligo di indicare in etichetta l’origine per pelati, polpe, concentrato e degli altri derivati del pomodoro grazie alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale 47 del 26 febbraio 2018, del decreto interministeriale per l’origine obbligatoria sui prodotti come conserve e salse, oltre al concentrato e ai sughi, che siano composti almeno per il 50% da derivati del pomodoro.
Nel carrello della spesa, secondo dati Ismea 2022 elaborati da Coldiretti, le tipologie di conserve di pomodoro più acquistate nella fase al dettaglio sono le passate e le polpe che concentrano circa i tre quarti dei quantitativi e il 54% della spesa complessiva.
A seguire, tra i prodotti più venduti si piazzano i sughi pronti (12% dei volumi e circa il 30% della spesa) e i pomodori pelati (10% degli acquisti e 8% della spesa). Completano il paniere le conserve di pomodorini, il concentrato di pomodoro e i sughi freschi. Il consumo si attesta su una media di 35 chili a famiglia all’anno.
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