Quando la cordialità sposa l’Arte: una passeggiata – estetica e sentimentale – fra le opere della mostra di Monastero Bormida, dedicata all’Arte del secondo ‘900 nel basso Piemonte.
Ho sentito parlare per la prima volta di questa mostra a Monastero Bormida direttamente da Rino Tacchella, uno dei curatori, con Mauro Galli e Cinzia Tesio. Si era a metà febbraio… lo stesso Rino Tacchella ci ha raccontato, in uno degli incontri organizzati a Marengo dal padrone di casa di tale struttura, Efrem Bovo, la vera e propria fatica di organizzare bene una mostra d’Arte, ad iniziare dalla scelta di un progetto, di un titolo intrigante, e poi la scelta degli autori e delle relative opere da esporre. Per non dire di tutte le difficoltà inerenti al recupero delle opere da esporre, rivelandoci che conviene, quando possibile, rivolgersi ai privati, ché gli enti chiedono spesso soldi e obbligano ad utilizzare le prestazioni di costosissimi traportatori professionali. E così via. Io ho approfittato dell’occasione per fargli i miei più sinceri complimenti per l’organizzazione della mostra su Mirò (che si estendeva ad altri artisti del suo tempo e non solo) che avevo visto da poco a Cherasco, e lui mi ha a sua volta informato che stava lavorando per un’importate Mostra, a Monastero, appunto, dedicata ad un notevole numero di artisti del Basso Piemonte dal 1950 al 2000, che era il naturale proseguimento di un’analoga Mostra dedicata alla stessa area geografica, dal 1900 al 1950, del 2021, che purtroppo mi era sfuggita. Tuttavia, l’idea di ripassare l’Arte del ‘900. spesso così complessa e controversa dal punto di vista di un piccolo specchio di mondo, ovvero il Basso Piemonte, mi era parsa decisamente originale ed altrettanto interessante…e poi, a Monastero, luogo che amo incondizionatamente.
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Aggiungo, vergognandomi un poco per l’immodestia, che a suo tempo Rino Tacchella aveva fatto i suoi complimenti al mio editore, Massimo taggiasco, proprio in merito al mio articolo dedicato alla bellissima e monografica mostra a Monastero, dal fascinoso titolo Un segno lungo una vita, dedicata ad Angelo Ruga, che mi aveva colpito profondamente per il luogo, stupendo, ma anche per il perfetto percorso espositivo e per la qualità dell’Artista e del relativo catalogo. L’avevo girata in solitudine e silenzio, quella mostra, scattando molte foto. L’avevo vissuta, quella mostra, con immenso piacere. E poi, grazie a quel mio articolo, sinceramente appassionato, sono entrato in contatto con la Presidente dell’Associazione Culturale Museo del Monastero, Ilaria Cagno, e con il suo braccio destro…che incidentalmente è sua mamma, Carla Panaro.
Così, questa volta, la complessa mostra, una collettiva che comprende ben 111 opere, di 111 autori diversi, ho avuto il piacere e l’onore di visitarla in compagnia di Ilaria e Carla (spero non si offendano se le citerò, da qui, solo per nome…) ed è stato un immenso valore aggiunto, in primo luogo per la cordialità e la simpatia delle mie due guide, ma certamente anche per la grande professionalità e competenza che hanno espresso. Grazie a loro non ho semplicemente visitato una Mostra importante e ricchissima, nella quale ci si può letteralmente perdere, in una sorta di labirinto fatto di idee ed espressioni artistiche, una mostra che non esito a definire vertiginosa, tanti sono i temi e le emozioni espresse dalle tantissime tele e sculture esposte: no, io quella mostra l’ho vissuta, con molta più comprensione che se l’avessi visitata da solo. E questo, spero non si offenda Carla, che è stata durante la visita una presenza straordinariamente simpatica e sorridente, soprattutto grazie alla guida sapiente e raffinata di Ilaria, che pazientemente ha ascoltato le mie tante domande, ha sorriso alle mie gaffe (mica possono mancare) e ha dimostrato nei miei confronti una pazienza indubitabilmente straordinaria.
Eh sì, perché guardate che non è poi così facile visitare una grande mostra collettiva come questa, senza perdersi in una sorta di vertigine che tutto amalgama in una confusa percezione. Per meglio spiegarmi, lasciate che citi il grande critico d’arte Philippe Daverio, che nel suo bellissimo libro Il Museo Immaginario (Rizzoli, 2011), scrive, che nei musei (ma certamente vale anche per una collettiva come questa) Il tempo dedicato ai quadri è talvolta di pochi secondi, e per giunta si può fingere di vederne 300 in un’ora. Ovviamente vedere ma non guardare. (…) C’è un modo per uscire dal consumismo dell’arte visiva. Ridare tempo al tempo: andare al museo e guardare un quadro solo. Una splendida provocazione no? Ma anche giusta, perché quel guardare ma non vedere, può proprio essere la iattura di una mostra collettiva, dove ci sono – necessariamente – tante poetiche e tanti pensieri artistici quanti sono gli autori in esposizione. Certamente è più facile vivere ed apprezzare le mostre personali, soprattutto quando si ha a disposizione l’Artista che ti spiega, ti guida, ti narra le sue opere…non certo in modo didascalico, ma facendoti entrare dalla porta principale dentro la sua poetica.
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A semplice dimostrazione di quanto dico, vi faccio un esempio legato proprio a Monastero. Perché sono andato il 18 Luglio a Monastero spinto anche dall’aver letto che era l’ultimo giorno di una mostra a latere di quella 1950-2000, in una delle sale del sotterraneo, forse l’antico refettorio. C’era lì la personale (una dozzina di quadri in tutto), di Federico Palerma, dal fascinoso titolo Velate Presenze (alla quale dedicherò un articolo a parte), che ho potuto godere con la presenza dell’Artista, impagabile valore aggiunto. Ma se avete letto il mio commento, sopra, dedicato alla personale di Angelo Ruga, sempre nel Monastero, è evidente che, in una personale, l’attento osservatore può entrare, in punta di piedi e con rispetto, nella poetica, nello stile e nelle idee che vengono espresse nelle opere esposte. In questo modo si arriva a vivere una straordinaria sintonia con le opere e con l’artista, qualcosa di difficile da spiegare e da capire per chi non ne ha mai fatto esperienza, ma che è fondamentale per chi vuole fruire con attenzione e coscienza di qualsiasi forma d’Arte.
E quindi? Quindi, questa parentesi per narrare la difficoltà di fruire appieno di una mostra con così tanti Artisti e tante Opere, si chiude per dirvi com’è invece estremamente appagante poter visitare una mostra così con accanto la presenza di una persona come Ilaria, che sappia guidarti in una sorta di passeggiata estetica e sentimentale dentro la Mostra, toccando con sapiente conoscenza anche l’argomento della pratica concretezza dell’organizzarla, la Mostra, tra quel pittore che se per caso non lo tratti come vuole lui si offende, quell’altro che ha una suscettibilità da prendere con le molle, quello che non risponde al telefono e il fratello si ma non si riesce lo stesso a comunicare, fra la difficoltà di organizzare un valido percorso per così tante opere. Poi, a te che nel frattempo ascolti e ti sembra di diventare lentamente pure tu un addetto ai lavori, ecco, ti indica un’opera, oppure magari si accorge che lo stai guardando con attenzione tu, un particolare quadro, e con poche ma azzeccatissime parole, ti fa entrare immediatamente in sintonia con quel quadro, magari con in aggiunta un aneddoto sull’autore, se da lei personalmente conosciuto, che te lo rende vivo e presente.
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Abbiamo percorso insieme la Mostra, con un primo passaggio nella sala delle opere più vicine all’inizio del periodo trattato, per poi soggiornare a lungo nella sala di quelle più vicine al 2000, per commentarne meglio e di più la non sempre facile decifrazione, per poi compire il percorso inverso e terminare nel 1951. Carla, con la sua straordinaria empatia, ha fatto un piccolo passo indietro, lasciando campo libero ad Ilaria, che possiede un eloquio intenso, fatto di una sapiente semplicità, perché ti narra tantissimo senza mai farti sentire inadeguato di fronte a quello che vedi. Ho pensato più volte, e alla fine del percorso l’ho detto, che, mentre mi parlava, c’era nella sua voce una vibrante quanto trattenuta (perché priva di retorica) passione per tutto quello che mi spiegava e narrava. Una passione straordinaria.
Ecco, visitare la collettiva di Monastero così mi ha fatto interagire con attenzione con svariate opere, ma soprattutto mi ha fatto entrare in una sorta di sintonia sentimentale con la mostra stessa…e poi, ecco il notevole valore aggiunto: lo splendido catalogo, dove si possono leggere le notevoli introduzioni dei curatori, ma soprattutto sfogliare lentamente le ottime foto di tutte le opere esposte, ripercorrendo con rinnovata attenzione tutto il tragitto della Mostra. Catalogo e progetto editoriale, manco a dirlo, proprio di Ilaria.
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Come avrete notato, non ho citato nessuna delle opere esposte, e ho inserito nell’articolo solo foto di insieme. Trovo che in una collettiva sia giusto così. Tuttavia, restano nel ricordo e nella memoria quelle opere che abbiamo visto meglio, con Ilaria e Carla, e resta nell’anima il ricordo di una giornata indimenticabile. Ma ve ne citerò soltanto una, quella della foto sottostante: di Gian Luigi Delpin, detto MAC, si intitola Albero dei nomi perduti, e la cito perché di fronte a questa Opera Ilaria, solo un paio di settimane fa, si è sposata (non rivelo nulla di troppo personale, badate: ha parlato su Facebook di questo originale sposalizio) …me lo ha ricordato osservando insieme l’Opera, ma io pure lo ricordavo benissimo, dato che seguo la sua pagina fb. Però, ecco il valore aggiunto di una spiegazione: Guarda – mi ha detto – sono tutti nomi ritagliati da pagine di libri antichi… Caspita…e sorride: Chissà da dove arrivano… E sorridiamo insieme, io, Ilaria e Carla. E penso in quel momento, ma non lo dico, e lo scrivo qui, che Monastero Bormida, oltre ad avere la fortuna della disponibilità di questo bellissimo Castello che era un Monastero, ha la fortuna di avere delle persone straordinarie come Carla e Ilaria (spero non si offendano coloro che di certo ci saranno, ad aiutarle, ma che io non ho il piacere di conoscere) alle quali non posso che rivolgere un semplice ma immenso grazie…