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Tutti i colori dell’Apocalisse su per le antiche scale…. La sorprendente mostra di Paolo Colombo nella suggestione del sottotetto del Duomo di Casale Monferrato

Quando ero molto, molto giovane, mi capitò di ascoltare, in un disco di Francesco De Gregori, una strana, singolare canzone, dal titolo altrettanto strano: Ultimo discorso registrato. Il disco si chiamava Bufalo Bill, e la canzone iniziava con una frase che mi colpì moltissimo: Che tipo d’uomo legge oggi il Vangelo? Già: che tipo d’uomo legge oggi il Vangelo? Io ero, benché giovane, quel tipo d’uomo. Sarà stata la suggestione di un film uscito qualche anno prima, da me allora e per sempre amatissimo, Jesus Christ Superstar, oppure la recente lettura di un libro che m’aveva intrigato davvero tanto: La Gloria, di Giuseppe Berto, che era una sorta di Vangelo secondo Giuda, il sofferto e meditato diario di una lunga amicizia e di un terribile tradimento, che viene però perpetuato per sconfinata ed arcana ubbidienza. C’è una frase in particolare, in quel libro, che ancora oggi ho bene impressa nella mente. Giuda, dopo aver conosciuto Gesù, dice a sé stesso: Lo seguii, forse per incantamento, non per fede… Fu forse anche per me che, per incantamento, dopo aver visto Jesus Christ Superstar e aver letto La Gloria andai in una libreria ben fornita e chiesi i Vangeli? Forse. Mi chiesero se desideravo solo quelli oppure tutto il Nuovo Testamento. Mi porsero un cofanetto, c’erano in tutto sei libricini, due con i Vangeli, poi le Lettere, gli Atti degli Apostoli; infine l’ultimo, dal titolo inquietante: Apocalisse.

L’ultimo dei libri dettati da Dio all’umanità. L’ultima rivelazione. Infatti il termine stesso, Apocalisse, che per noi ha assunto un senso così terrificante, in greco, lingua in cui venne scritta l’opera, da Giovanni di Patmos, significa appunto, semplicemente, Rivelazione. Quando lessi la prima volta quel testo, dopo aver letto i quattro Vangeli canonici, quello che più mi colpì fu proprio l’immensa differenza fra Apocalisse e i Vangeli, fra il Gesù che subisce il martirio e moltiplica i pani e i pesci, ed il Cristo terribile ed assolutamente inumano che troneggia fra lampi e tuoni, circondato da una corte immensa ed inneggiante, come un satrapo asiatico…dov’era finito il Gesù che lava i piedi agli Apostoli, che parla di amore e cena ad Emmaus con alcuni discepoli? Quello che leggevo in Apocalisse era la totale rivalsa del cristianesimo sul resto dell’umanità, era una titanica guerra fra forze immani, che mi ricordava la guerra fra gli Dei ed i Titani narrate nel mondo ellenico, più che la “buona novella” di Gesù, quello che nacque in una grotta. Tuttavia provavo – e provo – per quel testo tanto una profonda repulsione che una immensa fascinazione. Anche per tutti quei numeri, quei simboli, quelle scene quasi da Guerre Stellari! E tutto quel sangue, quella violenza, quella distruzione, mai neppure accennati nei Vangeli…perché? Solo una visionaria e irrefrenabile voglia di rivalsa verso Roma (la nuova babilonia dell’Apocalisse)  ed il suo dominio sulla Giudea e su tutto il mondo mediterraneo? Forse. Tutto così assurdo e terribile, ma anche così affascinante ed intrigante, proprio per la sua folle visionarietà.

I quattro Cavalieri dell’Apocalisse

E non ho mai davvero perso questa attrazione per quelle pagine allucinanti e fantastiche. Così, quando ho saputo dalla Bibliotecaria della Biblioteca del Seminario di Casale, Bruna Curato, che si stava allestendo nel sottotetto del Duomo di Casale una mostra di Paolo Colombo, titolata Luci e colori dell’Apocalisse di San Giovanni, la cosa mi ha interessato moltissimo. Ma poi Bruna mi ha anche spiegato che la mostra in sé avrebbe avuto due grandi valori aggiunti. Il primo: i volumi e gli oggetti della Biblioteca del Seminario, sorta di affascinante introduzione alla mostra stessa, e poi, il secondo, ovvero che la mostra si sarebbe dipanata nel sottotetto del Duomo, normalmente non visitabile. A questo punto mi era impossibile rinunciare ad un vero e proprio evento culturale ed estetico così stimolante, così unico. E sapete che c’è? Che è stato ancora più straordinario di quanto mi aspettassi!

Ho quindi iniziato la visita dalla sacrestia del Duomo, dove Bruna Curato, con Chiara Mainini e Manuela Meni, hanno sapientemente predisposto libri ed oggetti in qualche modo legati all’Apocalisse, opere preziose e bellissime che ho ammirato con trepidante attenzione. La Biblioteca del Seminario ospita libri antichi e stupendi: questi erano solo alcuni, magnifici esempi, di tale patrimonio. Rimango in incantata ammirazione già davanti al primo dei volumi sotto vetro, sapientemente illuminato, del quale potete farvi un’idea nella foto sotto: si tratta di un Graduale, un libro musicale, un Codice in Pergamena del 1515, aperto sulla pagina dell’Ascensione, che è il giorno della salita al Cielo di Gesù risorto. Nell’angolo del librone ecco l’Agnello, simbolo cristologico per eccellenza, e nell’Apocalisse colui che spezza i sette sigilli che iniziano il tutto, sino al settimo sigillo che è l’inizio della fine…

Non l’unico libro, anzi: l’attent0 impegno di chi ha allestito la mostra ha fatto in modo di mettere sotto la nostra vista di visitatori altri libri magnifici, dove lo sguardo di chi, come me, i libri molto li ama, si perde e si consola, in tanta bellezza. Ma ora, dai, da dove inizia la mostra? Da…una salita verso il tetto. Davvero è la prima volta che mi sia capitato di vedere una mostra – così singolare e particolare di suo – dipanarsi in salite e stanze e sottotetto su piani diversi e con diverse prospettive. Fantastico. Aggiungo che un altro bellissimo valore aggiunto al tutto è stata la presenza dell’Artista, con il quale ho intavolato una interessantissima conversazione in merito alle sue opere e ai suoi intendimenti. Abbiamo parlato delle sue grandi sfide pittoriche, di come si fosse confrontato con studiosi biblisti, per meglio comprendere l’arduo testo di san Giovanni. Ma che del fatto che, prima di affrontare il tema di questa mostra, ne avesse allestita una dove narrava nientepopodimeno che le vicende narrate nell’Ulisse di Joyce. Incredibile.

L’ho incontrato dopo aver visto – ed ammirato – le opere della prima zona dell’esposizione, che mi avevano colpito moltissimo. Intanto perché non erano quello che mi aspettavo. Premesso che non avevo cercato online notizie sulla mostra, proprio per il gusto della sorpresa, mi attendevo di vedere una pittura del tutto informale, dove il Maestro Paolo Colombo esprimesse le sue emozioni, le sue impressioni, di fronte a quel testo così complesso, con quelle incredibili descrizioni di esseri ed eventi, densi di arcana numerologia, esseri ed eventi impossibili da raffigurare…invece mi sbagliavo! Perché Paolo Colombo ha avuto il coraggio di affrontare Apocalisse guardandola negli occhi, senza lasciarsi spaventare più di tanto dalle inaudite difficoltà da superare, ma anche senza utilizzare modi e tecniche dell’informale, anzi: le sue tele sono certamente surreali, ma perché è assolutamente surreale tutto il testo che vogliono rappresentare! È l’Apocalisse stessa che descrive – o almeno, prova a descrivere – eventi ed oggetti lontanissimi da ogni senso comune delle cose. Così nel testo di Giovanni di Patmos si susseguono esseri impossibili e oggetti incredibili, volti ed esseri metafisici ma anche di cruda concretezza, e soprattutto simboli, simboli e ancora simboli. E tanti, tantissimi numeri che a quei simboli e a tanti altri rimandano.

E Paolo Colombo cosa fa, dunque? Dipinge (in cinque lunghi anni, mi ha poi confidato nella nostra conversazione) ben 33 quadri, ad olio su tela di lino, dalle ragguardevoli dimensioni di 116X89 cm, prendendo dalla cinquantina di pagine del testo dell’Apocalisse, 33 versetti, più e meno lunghi, e dipingendo esattamente quello che il testo dice!  Già, 33. Paolo Colombo segue il senso numerologico del testo sacro. E 33 è un numero sacro per eccellenza, trattandosi dell’età in cui venne crocefisso Gesù. Ma nel mondo esoterico il numero 33 è un segno di buon auspicio delle forze dell’universo che si manifestano in allineamento con la fonte creativa personale e ti dicono che tu sei in grado di lottare e raggiungere qualsiasi cosa desideri. Nella mostra, poi, sopra o sotto ad ogni quadro c’è il versetto apocalittico a cui si riconduce, quindi l’attento visitatore può immediatamente verificare la capacità, di ogni singolo dipinto, di esprimere con reale efficacia ciò che il testo racconta.

E allora è una mostra che va vissuta con calma e senza fretta, verificando per ciascun quadro l’efficacia che dicevo, mediante paragone con i versi che vuole descrivere. Ma non è l’unico modo. Perché volendo si può anche attraversare la mostra semplicemente godendosi luci e colori di un’apocalisse trasformata in Arte, lasciandosi affascinare dalle straordinarie qualità puramente coloristiche delle opere esposte, inebriandosi da una sorta di vertigine di figure allucinanti e di colori dalla vitalità letteralmente fantasmagorica. Ma lascio a ciascun visitatore il piacere di interpretare a proprio modo una mostra davvero unica…e davvero straordinaria.

Ma ora lasciatemi dire di quanto la mostra apocalittica di Paolo Colombo abbia trovato una collocazione incredibile nel sottotetto del Duomo di Casale, dove le opere esposte assumono una suggestione arcaica e misteriosa, del tutto degna della tematica di cui sono portatrici. Notevole davvero l’emozione di vivere una specie di cammino esoterico, fra le luci e le ombre che si susseguono per quelle antiche scale, con la costante presenza delle tele di Paolo Colombo, che si armonizzavano alla perfezione con l’ambiente in cui sono esposte.

Credetemi: si è trattato di un percorso artistico ed architettonico inaspettato e sorprendente…anche perché poi, dopo camminamenti vari, si scende una strettissima scaletta e dopo pochi passi si arriva nella meraviglia del corridoio in forma di matroneo sopra il grande nartece che fa da atrio al Duomo. Si arriva in un luogo luminosissimo, dopo l’oscurità del sottotetto – e pure qui stiamo seguendo il cammino simbolico dell’Apocalisse – di grande, immensa bellezza, con il nartece sotto di noi, con lo sguardo che quasi non sa da che parte avventurarsi per godere fino in fondo di ciò che lo circonda.

E ancora la mostra continua, in questo spazio romanico, dal sapore antico, sino a giungere all’ultima delle opere esposte, sola, su un cavalletto, avvolta in una coltre di luce, che esplode dopo un breve corridoio buio. Simbolico e suggestivo.

Poi si torna indietro, si scende una rampa di scale, siamo nel Duomo. La visita è finita. Esco nel luminoso pomeriggio di primavera ben conscio di aver vissuto un’esperienza unica e profonda, non solo artistica ma anche mistica e trascendentale. Un’esperienza che non dimenticherò mai.

 

 

Pier Carlo Guglielmero:
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