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Quei monferrini al di là del mare: l’inaugurazione di Golosaria 2023 “Alla scoperta delle origini”.

È accaduto fra le mura dell’antico Castello di Casale Monferrato, che si parlasse di emigrazione. Ma non nei termini contemporanei, spesso tragici, di migranti in arrivo nelle acque del Mediterraneo. No: a Casale, nell’occasione dell’inaugurazione di Golosaria 2023, in un convegno organizzato dal Circolo Culturale “I Marchesi del Monferrato”, di cui sono felice e onorato di essere socio, si è parlato di un passato più lontano, eppure così vicino a noi, per territorio, per coinvolgimento affettivo, per empatia: quello dell’emigrazione, monferrina e piemontese, tra ‘800 e ‘900. Io, lo ammetto, ci sono andato anche perché le vicende personali della mia famiglia paterna appartengono fortemente a quel mondo di Italiani d’Argentina di cui molto si è parlato, appunto, a Golosaria: mio padre, Giuseppe detto Pino, nato a Casal Cermelli nel 1927, emigrante nei primi anni ’50 del secolo scorso…e ho i suoi racconti avventurosi ben impressi in me, per le volte che me li ha narrati. Mio padre che ha guidato gli autobus sulle Avenidas di Buenos Aires. E poi i suoi nonni, che portavano con loro la mia nonna bambina, che per anni ed anni andarono a partecipare alla mietitura nell’estate argentina, il nostro inverno, per poi tornare in Italia nella nostra, di estate, per la nostra mietitura. A furia di viaggi e viaggi su e giù per l’Atlantico, finirono di riuscire a comperare una delle case più belle del paese…ora tristemente abbandonata. Ho, quindi, nel cuore e nelle orecchie, infinite narrazioni di emigrazione, di andata, di ritorno e…di andata e ritorno, in quella terza classe che, come cantava Francesco De Gregori in Titanic, la terza (classe) dolore e spavento / E puzza di sudore dal boccaporto / E odore di mare morto…già, non erano viaggi stile crociera sull’oceano…E ho ancora dei parenti, e parecchi, in Argentina, molti dei quali portano il mio stesso cognome…un giorno mia figlia, e con i social ci si mette anche in contatto. Un giorno mia figlia ad una sua coetanea ha chiesto di dove erano i suoi nonni…di Tucuman, ha risposto…e i bisnonni? Di Casal Cermelli, Italia, ma dov’è esattamente? Le ha risposto quella lontanissima parente di là del mare.

Ora capirete, quindi, quanto mi sentivo coinvolto da questo “Alla scoperta delle origini”, e dal suo sottotitolo: l’emigrazione dei monferrini nel mondo. Lo confesso, temevo un po’ i discorsi istituzionali, quelli dei politici, quelli di accademici poco propensi all’empatia…mi è già capitato di vivere situazioni di raggelante noia anche a convegni dal tema apparentemente molto stimolante. Ma ci sono andato volentieri anche perché sapevo per certo di poter contare anche su interventi molto interessanti, come quello della giornalista e scrittrice Cinzia Montagna, di cui ben conosco le grandi capacità affabulatorie, che sempre mi coinvolgono per capacità narrative ed intelligenza espositiva. Ma devo ammettere che mi è andata bene. I politici hanno fatto discorsi pertinenti ma brevi, per lasciare spazio ai tanti relatori. Molto breve, non banale, è stata anche l’introduzione di Paolo Massobrio, che è il Fondatore di Golosaria, che ci ha narrato, giustamente orgoglioso, di avere una mamma nata in Argentina, che in Italia ha portato, in un’emigrazione di ritorno, la sua cultura culinaria, tanto che i suoi aprirono una macelleria in quel di Masio.

Un discorso decisamente entusiasta l’ha fatto, come del resto solitamente accade, nella sua introduzione, proprio la Presidente de I Marchesi del Monferrato, Emiliana Conti. Che, con il suo eloquio appassionato e coinvolgente, ha introdotto il tema dei tanti e tanti luoghi del Monferrato che vedevano partire moltissimi loro concittadini della meglio gioventù, che cercavano in luoghi oltremare, oltre oceano, l’emancipazione da una realtà di fame e di miseria. Ha detto, Emiliana, una frase che mi ha molto colpito: Noi non riusciremo mai a comprendere il loro dolore! Eppure questi monferrini d’Argentina (o d’America in genere, o d’Australia o di tanti altri luoghi) hanno saputo costruire comunità, ma hanno anche saputo dare importanti contributi economici e sociali alle nazioni dove sono stati accolti. Ora, premesso che troverete sul sito de I Marchesi del Monferrato (http://www.marchesimonferrato.it/) tutti gli interventi e gli atti del convegno, io vorrei invece parlarvi, in questo articolo, degli interventi che più mi hanno coinvolto ed emozionato.

 

Come quello narrato nell’ultimo, a fine mattinata, di Cinzia Montagna. Last but not least, ovvero ultimo, ma non per importanza, e mai tale epiteto fu più azzeccato. Cinzia ci ha narrato di due donne fra loro diversissime. La prima è stata Guigone de Salins (1403 – 1470), alla quale dobbiamo la fondazione dello straordinario ospedale Hotel-Dieu di Beaune. Ed era una Asinari d’Asti emigrata fra i potenti di Borgogna. Ma la vicenda che mi ha immensamente colpito e coinvolto è stata la seconda che Cinzia ci ha narrato. Lasciate che a mia volta ve la riassuma. In un’Argentina che si era rivelata tutt’altro che un eden per i braccianti della terra, sfruttati, mal pagati, costretti ad orari di lavoro terrificanti, una sera, durante l’ennesima riunione dove i tanti uomini presenti (le donne non erano nemmeno contemplate, in una riunione di tipo politico), fra cui suo marito, Francesco Bulzani, si lamentano, imprecano, brontolano assai, ma non si decidono a passare dalle parole ai fatti, ecco che una donna, che stava nella stanza accanto a lavare i piatti, ma che, pur essendo analfabeta, tutto sentiva e tutto comprendeva, si toglie il grembiule da cucina, dice a tutti i presenti qualcosa del tipo: è giunta l’ora di ribellarci, andiamo! E tutti la seguirono, iniziando così il primo grande sciopero agrario argentino del ‘900. Lei si chiamava Maria Rosa Robotti, nata nel 1887, veniva da Solero, figlia di Giacomo Robotti e Lucia Pasero…divenne l’anima del “Grido di Alcorta”, la grande protesta agraria del 1912 in Argentina. Una vicenda straordinaria, che mi vede molto coinvolto, dato che proprio a Solero ho la mia residenza.

E ora lasciatemi dire di un intervento non previsto nell’elenco di Golosaria, ma davvero emozionante e commovente, quello della scrittrice Maura Maffei. Che ci ha narrato una terribile vicenda di emigrazione italiana in Gran Bretagna, a me del tutto sconosciuta. Non solo io, ma tutto il pubblico che ascoltava era con il fiato sospeso nell’apprendere tale allucinante vicenda. Perché dovete sapere che, subito dopo la dichiarazione di guerra che Mussolini fece alla Gran Bretagna, il 10 giugno 1940, bel 10.000 italiani, tutti maschi, che vivevano e lavoravano laggiù, compresi molti ebrei italiani, fuggiti dall’Italia delle leggi razziali, vennero rastrellati ed imprigionati, lasciando donne e bambini, che non vennero presi, nella più totale indigenza. Ma non solo. Molti di questi vennero imbarcati e trasportati in campi di prigionia in Canada. Una di queste navi, la Arandora Star che, non segnalata correttamente dagli inglesi come nave-ospedale (come avrebbe dovuto essere una nave che trasportava prigionieri di guerra), il 2 luglio 1940, al largo della costa nord-ovest dell’Irlanda, venne colpita da un siluro tedesco e affondò in trentacinque minuti con il suo carico di prigionieri e dell’equipaggio. Quel 2 luglio 1940 morirono più di 800 persone. Tra loro 446 erano italiani. Colpevoli di nulla, a parte di essere italiani. Una vicenda angosciosa, alla quale Maura Maffei ha dedicato un libro, un romanzo che potremmo dire fedelmente storico, “Quel che abisso tace”, per i tipi della Parallelo45 edizioni. Che mi riprometto di leggere presto, nonché di recensirlo su questo giornale, perché è una vicenda tanto drammatica quanto decisamente misconosciuta. Aggiungo solo che Maura Maffei, quando ci ha narrato il tutto, lo ha fatto con un tono accorato e commosso, che mi ha davvero molto colpito.

Ma un tono altrettanto accorato e commosso lo ha avuto, nel suo discorso a braccio, il Sindaco di Conzano, Emanuele De Maria, che ci ha narrato vicende di emigrazione conzanese, di un paese che ha visto metà della sua popolazione andarsene in lontane terre a cercare quella decenza di vivere che il Monferrato, allora, non poteva dare. Molto coinvolgente nel suo narrare di aver ritrovato laggiù, in quelle terre d’Australia, dall’altro capo del mondo, le voci il dialetto, le facce del suo Monferrato…ma ha anche concluso che là non ce ne sono, differenze regionali. Là quello che unisce è semplicemente il fatto di essere Italiani. Lo diceva con un sincero sorriso e, sinceramente, pure io sorridevo.

Un altro intervento che mi ha colpito molto, per la sua grande importanza sociale per i nostri emigranti, è stato quello dell’Avvocato Ugo Bertelli, che ricopre da oltre trent’anni la carica di vice presidente della Federazione Internazionale delle Associazioni Piemontesi nel Mondo, fondata e tuttora presieduta da Michele Colombino. Una Federazione alla quale aderiscono, tra l’altro, un centinaio di associazioni piemontesi esistenti in Argentina ed in Uruguay. Benché l’Avvocato Bertelli abbia un modus narrativo molto pacato ed assolutamente privo di enfasi, ci ha fatto ben comprendere come i Piemontesi d’Argentina si sentissero un po’ abbandonati dalle istituzioni piemontesi, sino a che, appunto, grazie alla forte volontà di Michele Colombino, venne costituita – con atto notarile del 30.09.1981 – la Federazione Internazionale  Piemontesi nel Mondo, che ora ha sede a Frossasco, da dove coordina circa 200 rappresentanze e filiali in tantissime nazioni diverse, e che è in qualche modo uno splendido collante fra noi e tutti loro.

Concludo lasciando per ultimo l’intervento di Carlo Cerrato, Giornalista e Presidente della Fondazione Gente & Paesi. Con il quale, tra l’altro, ed insieme a Maura Maffei, ho avuto il grande piacere di intavolare una splendida conversazione, nel dopo conferenza, davanti ad un aperitivo. Lo dico francamente, secondo me il suo intervento con il tema emigrazione c’entrava poco o nulla. Possiamo definire “emigrante” Emilia Cardona, detta Milli, giornalista degli Anni ’20 di Costigliole d’Asti, ultimo amore – e moglie – del grandissimo pittore Giovanni Boldini? Forse. Come sia, emigrante o meno, l’intervento di Carlo Cerato è stata una splendida parentesi tra gli altri interventi, più focalizzati, che non solo mi è piaciuta molto, ma che mi ha fatto venire il desiderio di leggere – e recensire – il suo libro, dal titolo MILLI – Una donna. Un libro che ci narra di una donna davvero eccezionale, scomparsa mezzo secolo fa. Nel suo intervento Carlo Cerrato ha evocato con maestria la figura di una ragazza di paese che aveva la pretesa, allora davvero assurda, di studiare, che è poi diventata giornalista e a 25 scriveva, come inviata da Parigi, per la «Gazzetta del Popolo». Ma anche che ha pubblicato il suo primo libro a vent’anni, seguito da altri quattro romanzi, due in francese e tre in italiano, oltre a numerosi libri d’arte. E che a 29 anni ha sposato il grande Boldini, il pittore protagonista della Belle époque, ma di una epoca ormai scomparsa da tempo, ché lui era immensamente più anziano di lei.

E poi ci ha narrato di quella che potremmo definire “la lotta per l’eredità”…delle opere di Boldini, appunto, che pareva lui avesse promesso alla Città Natale di Ferrara, ma poi, nel testamento, ha lasciato a lei. E allora vai con le trattative, dove viene fuori a mio avviso quel sospetto di inadeguatezza che le istituzioni italiane hanno dimostrato nei confronti di Milli. Che invece spiazza tutti cedendo infine le opere del marito a Ferrara. Carlo Cerrato ha concluso dicendo: Mi sono proposto di dimostrare che Milli non è stata solo “la moglie di Boldini”, ma una donna che merita di non essere dimenticata, per i suoi libri, per le mostre, ma anche per ciò che dice e scrive “dalla parte delle donne”, in anticipo sui tempi. Bellissimo.

In conclusione, però, lasciatemi dire di quanto io sia rimasto colpito, ed ammirato, per come l’intelligente volontà di Emiliana Conti abbia saputo, ancora una volta, costruire un evento culturale di altissimo livello, in questo splendido cuore pulsante del Monferrato che è la sua capitale, la bellissima Casale Monferrato.

 

Pier Carlo Guglielmero:
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