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In qualche luogo in Russia esiste la mia anima: “La lacrima della giovane comunista” di Giorgio Bona presentato alla Gambarina.

Antonella Anedda è una straordinaria poetessa italiana, che ama infinitamente la Russia (quella Russia di bellezza, fascino e cultura che nulla ha a che fare con questa follemente guerrafondaia di Putin). Una sua bellissima poesia di alcuni anni or sono inizia con la frase che dà il titolo a questo articolo: In qualche luogo in Russia esiste la mia anima…ho ben compreso che lo stesso sentimento alberga intenso nel cuore e nella scrittura di Giorgio Bona, per come ha così appassionatamente presentato il suo libro La lacrima della giovane comunista, uscito nel 2022 per Arkadia Editore.

A dire il vero, sono andato l’altro giorno alla Gambarina, luogo che amo senza limiti perché custode di quella cultura contadina profondamente mia, senza sapere nulla di questo libro. Ci sono andato per il desiderio di sapere, ma soprattutto perché lo presentava il mio editore, Massimo Taggiasco, che i libri li legge davvero e li ama davvero. Mi ha detto che questo lo ha letto e che è realmente notevole, appassionato ed appassionante…quindi ha ovviamente scatenato la mia curiosità di lettore.

Anche per quel titolo tanto affascinante quanto effettivamente strano. Quando ho capito, dopo pochi minuti di presentazione, che il testo di Giorgio Bona è in realtà un romanzo che vuole anche essere un grande omaggio allo scrittore russo Venedikt Erofeev ed al suo capolavoro Mosca sulla vodka, del 1970, ho fatto un metaforico balzo sulla sedia! E sono piombato di colpo dentro il mio personale rapporto con Erofeev. Sarà stato il 1977, quando lessi su un qualche giornale che parlava di musica e letteratura, la recensione di un libro appena uscito per Feltrinelli, appunto Mosca sulla Vodka (che poi in realtà il titolo originale è Mosca-Petuškì, dove Mosca è la stazione di partenza e Petuškì la stazione di arrivo, che in realtà è una sorta di città che è la meta mitica dell’innocenza e del ritorno ad un tempo ormai lontano e perduto). Un romanzo folle e straordinario, fatto di un viaggio e una sbronza praticamente continua e possibilmente infinita, con metafisici dialoghi fra grandi anime e bevute di qualsiasi cosa possa portare alla follia etilica. Ricordo che nell’articolo si parlava della stupenda atmosfera di improvvisazione jazzistica che pervadeva tutto il libro. Eravamo avvezzi, all’epoca, a leggere racconti e poemi di viaggi tanto geografici quanto etilici e/o con alterazioni della coscienza dovute all’uso di stupefacenti, da Jack Kerouac ad Allen Ginzberg, ma erano tutti americani. Che una cosa simile arrivasse dalla palude sovietica sembrava incredibile!

Ricordo che andai in libreria e lessi l’introduzione del curatore – e traduttore – Pietro Zveteremich, dalla quale venni letteralmente folgorato. Sono andato a riprendere il libro dallo scaffale dove sta insieme a tanti suoi compatrioti, russi o sovietici che fossero, e vi propongo alcuni passaggi della sua nota introduttiva: Mosca è una città dove può accadere di tutto. Che vi compaia Mefistofele in persona, circondato da una buffa corte di gatti e strani figuri, come ne II Maestro e Margherita di Bulgàkov. Oppure che degli angeli spingano un ubriacone ad intraprendere una sorta di viaggio iniziatico verso un’improbabile cittadina della cintura industriale di nome Petuskì. Sul treno, assalito da una pantagruelica sete, si beve tutto il bevibile, compresi micidiali cocktail dove si mischiano alcol, vernici, lucido da scarpe, lacca per unghie… Alla fine si ritroverà sotto le mura del Cremlino, che non era mai riuscito a vedere prima d’allora, e verrà ucciso come un cane da quattro misteriosi individui. Questo straordinario monologo è un capolavoro della letteratura sovietica, ed è al tempo stesso una satira feroce dell’Urss, una parodia della letteratura russa ed un calco evidente della narrazione evangelica. L’ironia e la tragedia in Erofeev si mescolano perfettamente come il divino e il demoniaco. Mi ero innamorato di Mosca sulla Vodka, così, d’acchito…e avevo fatto bene ad innamorarmi, perché quel libro l’ho letto e poi riletto una seconda volta con vera, appassionata dedizione.

E adesso eccomi lì, ad ascoltare le parole di uno scrittore alessandrino, che vive a Frascaro, che con altrettanta appassionata dedizione – davvero viene fuori da ogni sua frase, da ogni suo atteggiamento – ci parla di Venedikt Erofeev e del suo capolavoro, e di come nel suo La lacrima della comunista,  lo sia andato a cercare, nelle vesti di un professore universitario evidentemente alessandrino,  nella Mosca del 1981, facendo vivere al suo protagonista avventure fra il picaresco ed il gotico, in un libro che un po’ è un viaggio, un po’ è un noir…e molto è l’amore per la Russia, per Mosca, e per uno dei suoi grandi scrittori  – che peraltro in patria è stato relegato in una sorta di limbo di non ricordo, non lo conosco…e così via…

C’è da dire che la presentazione, ottimamente condotta da Massimo Taggiasco (lui lo sa che non gli farei un complimento giusto per farlo: lo penso davvero), ci ha svelato alcuni dettagli molto intriganti del romanzo di Giorgio Bona. Ad iniziare dal significato del titolo. Infatti La lacrima della giovane comunista non è nient’altro che uno dei tanti incredibili beveroni che viene descritto dal protagonista di Mosca sulla Vodka, composto da – ovviamente – Vodka, e poi lacca per i piedi, unghiolina, deodorante e, chissà perché, verbena. Disgustoso solo in pensarlo, no? Immaginatevi il berlo!

Ma lasciatemi dire della musica dello splendido fisarmonicista Carlo Fortunato, che ci ha letteralmente deliziati con tra brani musicali, che hanno ottimamente intercalato la presentazione ed illuminato in termine della serata, interpretati con una davvero notevole intensità. Con introduzioni e variazioni evidentemente da lui inventate (non so se improvvisando o meno), di classici come “bella ciao” e “la rossa primavera”. Al termine dei suoi momenti musicali eravamo tutti colmi di una sottile malinconia, ma anche di una sorridente tenerezza. Davvero un notevole valore aggiunto alla presentazione di questo libro così affascinante.

Che poi, interrogato ancora da Massimo su quale fosse infine il genere di romanzo che Gianni Bona ha inteso proporci, l’autore lo ha definito come un noir, ma molto, molto sui generis, dove l’investigatore è tutt’altro che un professionista delle indagini, ma un professore slavista, spinto alla sua ricerca dall’aver ricevuto uno strano manoscritto. Che lo spinge ad intraprendere il viaggio in Russia, sballottato in una Mosca strana e un po’ folle, dove si sprigiona tutto intero l’ambiguo rapporto – forse insito proprio nella stessa narrativa – tra realtà e menzogna. Ho trovato davvero estremamente intrigante tutto questo: un libro che è anche un omaggio letterario all’amato Mosca sulla vodka, che è una ricerca, un po’ noir, ma anche picaresca e letteraria, in una Russia – o meglio, Unione Sovietica – ormai scomparsa nel tempo. Penso proprio che nulla mi potrà impedire di leggere La lacrima della giovane comunista, forse perché pure per me in qualche luogo in Russia esiste la mia anima.

 

 

Pier Carlo Guglielmero:
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