Ma come è possibile? Siamo tornati agli anni Settanta con una gamba sola? In tutti questi anni non ci eravamo accorti di quello che succedeva?

Mi devo per forza agganciare ai fatti di cronaca e cercare di capire la natura delle polemiche che si allargano riguardo al caro energia, ai costi di distribuzione dei carburanti e via discorrendo.
Il governo Draghi aveva, come tutti sanno, congelato le accise sui carburanti fino ad una certa data, trascorsa la quale il nuovo governo non ha ritenuto di prorogare il decreto con il risultato che l’aumento dei prezzi è diventato inevitabile, quanto meno in parte poiché nel frattempo i prezzi d’origine del gas e del petrolio sono per buona fortuna calati.
Fin qui noi semplici figli del popolo siamo stati in grado di capire e di accettare il colpo, considerato che il danno maggiore sui prezzi al consumo lo sta provocando l’aumento dell’inflazione monetaria, solo in parte originato dal caro energia.
Nella storia degli ultimi decenni d’ Italia non è la prima volta che gli italiani devono affrontare un maggior costo della benzina e del gasolio ed anzi ci ricordiamo in molti che nel 1973 tali beni erano venuti a scarseggiare al punto che il governo di allora aveva dovuto decretare il divieto domenicale
dei trasporti privati. Eravamo stati costretti ad andare di nuovo in bicicletta, come al tempo di guerra.
Adesso il governo ha pensato di fare diversamente, ma per assecondare le voglie propagandistiche di una parte politica ben precisa, cioè quella che grida più forte contro la “speculazione” dei poteri forti, ha scaricato la responsabilità sugli ultimi della catena distributiva, cioè sui poveri benzinai, i quali si sono ribellati ed hanno minacciato scioperi e sfracelli. Per il momento lo stato delle cose è che al posto del congelamento delle accise resta congelata la minaccia dello sciopero. La novità è che lo sciopero non si revoca, né si rinvia, ma adesso si può congelare. Non è la prima modifica introdotta nel linguaggio moderno, che d’altra parte ci ha fatto conoscere parole come resilienza, che prima era desueto per molti e che, derivando dal latino, sembrava in origine che volesse significare rimbalzare piuttosto che resistere. Pazienza, ce ne faremo una ragione.
Per il momento, leggendo ciò a cui devono sottostare, mi sento di schierarmi dalla parte dei benzinai, che fanno un mestiere destinato a ridursi se non proprio scomparire, se per ipotesi la maggior parte dei mezzi di trasporto andrà verso l’elettrificazione. Mi pare che già adesso abbiano margini di guadagno molto esigui e non è un caso che molti dei nostri giovani non si adattino più a fare quel mestiere, ma lo lascino fare ad immigrati, romeni, albanesi e per ultimi agli indiani, come quelli che lavorano in quel grosso impianto davanti alla Pederbona.
Se vogliamo combattere la tanto vituperata “speculazione” che ci rosicchia salari e pensioni, forse sarebbe meglio rivolgerci da altra parte, ma non serve gridare al lupo al lupo! Bisogna tirar fuori argomenti sensati e dimostrabili, se è vero che anche le aziende produttrici e distributrici subiscono concorrenze scorrette.
Proprio venerdì 13 gennaio 2023 è uscita una notizia che mi ha personalmente scaricato indietro di circa mezzo secolo. Vi leggo il titolo della notizia apparsa sul giornale: “Traffico di autocisterne e distributori no logo per sfuggire al sistema di monitoraggio collegato con la Guardia di Finanza.
L’accusa: «Il 30% delle importazioni è illegale». Cosa vuole dire “no logo”? Sono le cosiddette “pompe bianche” cioè quelle che non sono controllate dalle compagnie petrolifere che conosciamo di più e che esibiscono insegne per molti versi sconosciute.
Il trucco è rodato: “Un’autocisterna parte con un carico di benzina di contrabbando dalla Slovenia, dalla Bulgaria o dalla Polonia, attraversa la frontiera italiana e poi approda in un deposito di carburanti di medie o piccole dimensioni. Perché sia tale, un deposito non deve superare le 3 mila tonnellate di stoccaggio; sembra un dettaglio ma, al di sotto di quel quantitativo, il gestore del deposito non ha l’obbligo di utilizzare il sistema informatizzato Infoil collegato con la Guardia di Finanza e l’Agenzia del Demanio. Quel carico di benzina, insomma, non è sottoposto ai controlli stringenti che riguardano i carburanti stivati nei grandi depositi, quelli tipicamente utilizzati dai trader e dalle compagnie petrolifere.”
Non credevo ai miei occhi leggendo la notizia e mi sono sentito di colpo tornare agli anni fra i
Sessanta ed i Settanta del secolo scorso, quando proprio qui vicino a noi, in particolare nel tortonese, era scoppiato lo scandalo delle autocisterne che andavano di notte a prelevare in modo truffaldino e con la complicità di qualcuno che aveva il compito di vigilare, il gasolio presso le raffinerie delle valli del Polcevera e dello Scrivia senza pagare né accise né tasse e poi lo stoccavano in serbatoi clandestini nelle adiacenze di qualche cascina per poi rivenderlo ai privati con forti sconti per i consumatori e forti guadagni per i loro trafficanti disonesti. Lo scandalo ebbe
allora una vastissima portata e coinvolse nomi altisonanti noti a tutti. Qualcuno dovette riparare in fretta all’estero per non finire in galera. Anche oggi la storia si ripete. Infatti proseguendo nella lettura dell’articolo: “Sfuggire al monitoraggio delle verifiche di carico e scarico nei depositi si traduce il più delle volte nell’occasione di dileguarsi agli occhi del Fisco, non versando cioè le accise e l’Iva. Il destinatario finale di quella benzina tax free è quasi sempre una stazione di servizio senza nome famoso, una cosiddetta pompa bianca, dove i prezzi per un pieno sono più bassi rispetto alla rete rifornita dalle compagnie tradizionali.” Avete quindi ben chiara la situazione? Siamo tornati agli anni Settanta:
“Naturalmente, vale chiarirlo, frodi e illeciti riguardano una minima parte delle seimila pompe bianche disseminate sulla rete stradale italiana. Però dati e cifre confermano che le principali opacità del settore della distribuzione si concentrano nell’ambito delle stazioni di servizio “no logo”.
A denunciarlo è stato in un’audizione in commissione parlamentare di inchiesta sulle mafie il direttore uscente dell’Agenzia delle Dogane, Marcello Minenna. «Sul tema delle accise sono stati fatti controlli sulle frodi carburanti, fondamentalmente collegabili al fenomeno delle pompe bianche», ha spiegato Minenna. Un registro analogo a quello del comandante generale della Guardia di Finanza, Giuseppe Zafarana, che nella medesima audizione ha confermato: «Si tratta principalmente di settori della logistica petrolifera e di distributori senza logo, cioè pompe bianche, attraverso cui le organizzazioni criminali realizzano le condotte evasive che consentono di immettere sul mercato carburante a prezzi fortemente concorrenziali». Leggiamo ancora:
“Un universo che si muove sottotraccia, sottraendosi al Fisco e alimentando enormi flussi di denaro a beneficio della criminalità organizzata. Che, tra l’altro, utilizza parte dei proventi illeciti proprio per comprare depositi di stoccaggio e distributori di benzina. Nel triennio 2019-2021 la guardia di Finanza ha sequestrato 19 milioni di chili di carburanti, rilevando il consumo di 404 mila tonnellate di prodotti energetici non dichiarati.”
Ecco allora che capisco la fuga dal settore della distribuzione di imprenditori che vendono i loro impianti a gente poco pulita o addirittura malavitosa.
“Bruno Bearzi presidente della Figisc, la Federazione italiana gestori impianti stradali carburanti di Confcommercio, al Corriere ha detto: «Si indaghi sui carburanti importati illegalmente che rappresentano il 30% del totale. Qui lo Stato perde 13 miliardi di euro». Perbacco!
Io che sono un povero ex ragazzo di campagna, ma grazie all’età che mi ha fornito di esperienza vissuta, non dimentico la storia, le cause e le origini di certi fenomeni sociali che gridano vendetta davanti ai poveri lavoratori e soprattutto davanti ai poveri contribuenti italiani che con le loro tasse, le loro imposte e le loro accise mantengono in piedi questo povero baraccone traballante che si chiama “Stato Italia”, non posso digerire certe sparate fatte da un ministro che quasi tutti i giorni si mette a “cacarare” (mi scappa di nuovo di bocca il dialetto) di lotta alla speculazione, di lotta ai poteri forti, di necessità di fughe in avanti tipo flat tax , rottamazioni varie di cartelle e di bollette e chi ne ha più ne metta, solo per fare incetta di voti di gente dal cervello avvolto nella nebbia, o come si usa adesso dire “congelato” in un frigorifero dove c’è sempre meno roba da rosicchiare.
Piantiamola lì per favore! Altrimenti facciamo ridere i nostri partner europei, perfino quelli che, come la Spagna, ritenevamo meno importanti di noi. Loro hanno il problema serio del separatismo catalano, ma noi stiamo per avviarci a mettere i piedi su una grossa fetida “buassa” (pardon ancora mi scappa il dialetto) una “autonomia differenziata” dai contorni molto incerti e pericolosi.
Speriamo che la grinta di Giorgia metta in fuga il drago dalle fauci infuocate e dalla coda riccia.

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