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La meraviglia di una serata di musica e poesia nel nome di Cesare Pavese, con Neri Marcorè a Santo Stefano Belbo

Già, Santo Stefano Belbo. Sapete quanti abitanti ha? Meno di 4000. Pochi no? Però hanno un nome illustre da proporre, un grande scrittore morto nel 1950: Cesare Pavese. Dedicato a lui e alla sua opera letteraria, organizzano dal 2001 un Festival, con mostre,  incontri, discussioni, serate musicali. Con una professionalità straordinaria. E allora, se come me arrivi in piazza, quella principale, grande, narrata da Pavese tante volte, ci trovi un palco enorme, due maxi schermi, tantissime sedie e un mucchio di gente. E leggi un programma, di quest’anno, che propone svariati giorni pieni di incontri, mostre, musica…e Pavese.
E l’altro ieri, giovedì, una serata completamente gratuita con Neri Marcorè che non ha solo letto, declamato, letteralmente interpretato, lettere e poesie di Cesare Pavese, ma ci ha regalato un notevole numero di perle musicali, pescando dalla migliore canzone d’autore italiana. Tutto questo seguendo la traccia di un piccolo ma prezioso libro di Giovanna Romanelli, presente fra il pubblico: “Cesare Pavese e le donne“, dall’emblematico sottotitolo La “fragile illusione” dell’amore. Il libro, che ho letto e consiglio caldamente a tutti gli appassionati della poesia e della narrativa di Cesare Pavese,  ci guida, attraverso un sapiente connubio di lettere e versi di Pavese, nel labirinto complicato del rapporto di questo scrittore, così nevrotico e pieno di dubbi esistenziali,  con le donne che ha amato, e dalle quali è stato scarsamente ricambiato, con tanta difficoltà ed irresolutezza.
Il libro è sì breve, ma denso di informazioni, di analisi, di notizie, su un tema complesso e doloroso. Nelle sue ultime pagine potrete anche trovare le foto delle principali donne che Pavese ha amato o comunque desiderato, da Fernanda Pivano a Bianca Garufi (con la quale ha scritto il romanzo “Fuoco Grande“), fino all’ultima, la donna per cui scrisse quel testo bellissimo e terribile che è “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi“: Constance Dowling. Con questo testo si entra nel mondo interiore di Pavese, quello dell’amore sempre tormentato ed incompiuto. Cito il libro che ad un certo punto dice: “Si innamorava con enorme facilità, Pavese. E solo delle donne che sapeva gli avrebbero dato enormi dispiaceri” .
E non a caso Neri Marcorè conclude la sua serata poetica e musicale con quelle parole così amare, di Pavese, che ce la dicono lunga su che mentalità avesse nei confronti delle donne:
Le uniche donne che varrebbe la pena di sposare sono quelle che non ci possiamo fidare di sposare...”
Poi, una delle cose che mi ha favorevolmente colpito del libro di Giovanna Romanelli, è che all’inizio propone consigli musicali come una sorta  di  colonna sonora per la lettura del suo libro. Tra cui l’Habanera dalla Carmen di Bizet, la “Canzone dell’amore perduto” di De André, eccetera…beh, Neri Marcorè non ne ha cantata neppure una di queste (beh, con l’Habanera sarebbe stata dura, eh!)… Però ha alternato ai testi, letti peraltro davvero splendidamente,  un sacco di stupende canzoni, tutte perfettamente inserite nel tema della serata, ad iniziare da “Dietro la porta di casa mia“, brano davvero suggestivo di Cristiano De André, per finire quasi due ore dopo con “Cardiologia” di Francesco De Gregori, passando per “Notturno delle tre” di Ivano Fossati, ancora De Gregori con “Rimmel” , e “Il mare d’inverno” di Enrico Ruggeri. E poi il grande Giorgio Gaber, amatissimo da Marcorè de “L’impotenza“, che, consentitemi, vorrei citare nel suo struggente finale, a mio avviso davvero molto “pavesiano”:
E cresce la voglia di unirci in un gesto d’amore.
No, non dico l’amore che possiamo anche fare,
ma l’amore...
Aggiungo che, anche terminata la parte dedicata a Pavese, Neri Marcorè, che è incontenibile, ha continuato a proporre un incredibile numero di “bis”. Infatti,  dopo meritatissimi applausi, ma anche dopo che la Sindaca di S. Stefano gli ha conferito la Cittadinanza Onoraria, lui, commosso e sorridente, ha continuato a cantare svariate canzoni (compresa una buffa scenetta, che ci ha strappato tantissime risate, di un improbabile Branduardi che canta “Soldi“), fra cui “L’animale” di Battiato e “Il Bandito e il campione” di De Gregori (ma scritta da suo fratello), ma ha continuato anche a parlare con noi, con una straordinaria affabilità. Ha terminato con un “C’è Tempo” di Fossati dalla grande intensità. Applausi convintissimi e scroscianti, con una unanime  standing ovation, meritatissima, degno finale di una splendida serata.
Posso, in conclusione, proporre una considerazione un po’ amara? Se a S. Stefano Belbo, 4000 abitanti scarsi, riescono a fare tutti gli anni, dal 2001, un festival così (stasera ci sarà Cristina Donà, domani sera Fiorella Mannoia, e poi ci sono mostre, incontri, dibattiti eccetera), nel nome di un grande scrittore morto cinquant’anni or sono, perchè ad Alessandria, 90.000 abitanti, non c’è un grandioso festival dedicato ad uno dei più grandi intellettuali italiani del ‘900, alessandrino sino al midollo: Umberto Eco?
Ai posteri l’ardua sentenza.
Pier Carlo Guglielmero:
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