Dal Sudamerica agli Emirati Arabi: vecchia e nuova emigrazione nell’intervista a un italiano all’estero dal cognome “pesante”

Incontro Caio Mussolini a Torino, durante un suo breve soggiorno nel capoluogo sabaudo, per merito del comune amico Alberto Alpozzi, che ha reso possibile l’incontro, davanti a una tazzina di caffè;  dopo i consueti convenevoli, tra una chiacchierata e l’altra, pongo le mie domande:

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1) Attualmente per motivi di lavoro vivi  negli Emirati Arabi, di cosa ti occupi con esattezza?

Mi sono trasferito con la mia famiglia nel 2007, per aprire l’ufficio di Finmeccanica in quel paese. La mia esperienza lavorativa si è sviluppata nel settore della difesa e, dopo aver lavorato in Oto Melara per diversi anni, sono stato incaricato di aprire l’ufficio commerciale ad Abu Dhabi. Ora lavoro per una società di Livorno, la Drass, che produce sistemi subacquei, mezzi speciali e camere iperbariche.

2) La tua storia di emigrazione, però, non inizia con gli Emirati Arabi; mi risulta che hai frequentato le scuole superiori in Venezuela, è vero?

E’ così. Io sono nato in Argentina,  poi nel 1978 ci siamo trasferiti a Caracas per stare più  “tranquilli”. In Italia era un periodo molto difficile dal punto di vista politico e già allora i miei genitori erano preoccupati della nostra incolumità.

Erano anni dove “uccidere un fascista non era reato” e mio padre, con l’aiuto di mio nonno Vittorio, decise di emigrare in quello che era uno dei paesi più moderni, ricchi ed avanzati del Sud America. Lì  ho fatto una parte delle elementari e il liceo in una scuola venezuelana. Siamo stati molto bene in quegli anni, ed è stato un periodo molto felice della mia vita. Purtroppo, dopo 20 anni di chavismo, vedere com’è ridotta oggi quella nazione mi causa grande tristezza. Violenza, fame, miseria e corruzione: ecco i risultati del socialismo del siglo XXI. Il mio Venezuela non esiste più…

3)E come mai sei nato in Argentina?

Mio nonno Vittorio, dopo la fine della guerra, rischiava di essere ucciso dai partigiani ed era dovuto scappare in Argentina assieme alla famiglia. Peròn, che era stato in Italia, -aveva lavorato presso l’Ambasciata Argentina di Roma- era molto disponibile ad accogliere immigrati che per motivi politici abbandonavano l’Italia. Molti di loro (mi viene in mente Agostino Rocca) erano stati accolti dal governo peronista con entusiasmo. Verso la fine anni ’60 mio papà conobbe mia mamma a Buenos Aires, si sposarono, ed ecco il motivo per cui sono nato in Argentina.

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4) So che ti sei laureato con una tesi sulla storia dell’emigrazione italiana in Argentina, puoi dirmi qualcosa di questo tuo lavoro?

E’ corretto, mi sono laureato in scienze politiche con una tesi sulla “Presenza degli italiani in Argentina nei secoli XIX e XX nel settore economico, sociale e politico”. E’ incredibile come gli italiani, anche se agli inizi del 1800 l’Italia non esisteva, abbiano influenzato nel bene (e nel male) quel paese in quasi tuttti i settori. Ero riuscito ad avere anche una intervista con l’On. Mirko Tremaglia che allora era il Ministro per gli Italiani nel mondo e con l’Ambasciatore italiano, Roberto Nigido. Recentemente la tesi é stata tradotta in spagnolo e con il supporto di Franco Arena, già segretario coordinatore per l’America meridionale del Comitato Tricolore e fondatore di Passione Tricolore a Buenos Aires,  ne abbiamo fatto un libro che stiamo stampando. Le copie verranno distribuite gratuitamente nelle scuole, centri culturali e ai discendenti di italiani per far conoscere cosa sia stata la nostra immigrazione in quel paese. Purtroppo la pandemia ha rallentato il progetto, ma spero di poterlo riprendere presto e tornare a Buenos Aires per la presentazione del libro.

5) Poi dal Sudamerica sei rientrato in Italia. Quando e perché?

Sono rientrato in Italia nel 1985, una volta finito il liceo a Caracas per fare il concorso da Allievo Ufficiale all’Accademia Navale di Livorno. Dopo i quattro anni di Accademia ne sono uscito con il grado di Guardiamarina e sono stato destinato a Taranto. Qui ho fatto il mio primo imbarco sul sommergibile Marconi come ufficiale di rotta. Dopo quattro anni ho cambiato sommergibile e ruolo imbarcandomi sul Di Cossato. Nel ’95 sono stato trasferito alla base militare di La Spezia come ufficiale Armi Subacquee poi ho fatto il periodo di comando sulla Nave Gorgona. Finito il periodo di comando, nel 1999, mi sono congedato dalla Marina.

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6) Sempre con riferimento al punto di vista dell’emigrante italiano é possibile fare dei paragoni, trovare dei punti di contatto tra i due mondi, il Venezuela e gli Emirati Arabi  nei quali si è dipanata la tua esperienza  di italiano all’estero?

 E’ difficile poichè sono periodi e paesi molto diversi. In Venezuela mi mancavano tantissime cose dell’Italia e le poche cose disponibili – tipo la Nutella – avevano prezzi molto alti. Inoltre era molto difficile essere informati su cosa succedesse o vedere film in italiano. Un Topolino o Panorama costavano una fortuna… Poi ogni telefonata con Italcable era un evento da ricordare. Si era più nostalgici della Patria. In Emirati invece, oltre a essere a poche ore di volo dall’Italia, si trova di tutto e Internet facilita non poco le cose. 

7) L’emigrazione italiana di oggi è molto diversa da quella che storicamente si è svolta fino agli anni ’40-’50 del ‘900, quando i nostri emigranti si imbarcavano a Genova o a Napoli con la valigia di cartone o partivano per uno dei tanti viaggi della speranza verso il Nord Europa, mentre oggi, a quanto ci racconta l’ultimo Rapporto sugli Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes, chi va all’estero è un emigrante giovane, laureato o, almeno, diplomato, con una percentuale femminile che si avvicina sempre più a quella maschile. Questo nuovo tipo di emigrazione pone problemi nuovi che, forse, il sistema Italia non è ancora in grado di affrontare. Cosa ne pensi?

L’emigrazione di questi ultimi 10/15 anni pone problemi molto gravi. Ci sono due emigrazioni: quella dei ragazzi del sud Italia verso il nord, e quella generale dei giovani verso l’estero. E’ un paradosso, poiché li prepariamo, li facciamo studiare quasi gratis, li facciamo laureare e poi per le condizioni indecenti del mercato del lavoro in Italia, li facciamo espatriare. Così altri paesi li ricevono a braccia aperte e valorizzano le loro competenze. Facendo crescere il loro PIL. Ovviamente ad emigrare sono i ragazzi più preparati, che parlano le lingue, che non hanno paura di mettersi in gioco e accettano la sfida; mentre rimangono quelli che non hanno la stessa capacità o preparazione. Nel frattempo facciamo entrare migliaia di illegali non scolarizzati… Siamo un paese al rovescio! L’immigrazione va gestita, non subita.

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8) La rete diplomatica italiana nel mondo è molto consistente, quanto a numero di Ambasciate e di Consolati ( si dice che sia seconda solo a quella degli Stati Uniti), ma secondo la tua esperienza, i servizi resi agli italiani all’estero sono all’altezza di un paese industrializzato e moderno?

Purtroppo molte ambasciate sono sottodimensionate come personale e soffrono dei continui tagli che si susseguono da diversi anni. Poi, come spesso accade in Italia, il funzionamento è spesso  legato ai funzionari che vi lavorano in un determinato periodo, oppure a seconda del Console o Ambasciatore di turno. Non c’è uno standard unico, purtroppo.

9) Ancora una domanda per finire:   la storia della tua famiglia quanto ha  condizionato la tua esperienza di emigrante italiano?

Ricordo benissimo di essere stato molto contento di emigrare a Caracas nel 1978. In Venezuela nessuno mi infastidiva per il mio cognome. Anzi, c’erano molte persone – come il direttore della scuola che ho frequentato, Prof. Giacomo Di Campo – che spesso elogiavano i successi del Fascismo nel campo sociale e culturale, e la cosa mi faceva piacere. Per il resto ho trascorso una adolescenza tranquilla, frequentando i miei amici di scuola (di molte nazionalita’), degli scout o del quartiere dove abitavo. Con tanti di loro sono ancora in contatto, anche se molti hanno lasciato il paese per i problemi che ci sono. La narcodittatura di Maduro ha reso un paradiso un inferno.

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Paradossalmente c’erano meno problemi col mio cognome in quel periodo che oggi. E dire che sono passati quasi 80 anni dalla fine del fascismo. Ma l’antifascismo in assenza di fascismo è l’unico collante che  il variegato mondo della sinistra usa per stare unita e agitare lo spauracchio dell’”onda nera” ogni volta che si avvicinano le elezioni. Bisognerebbe pensare invece al futuro del nostro martoriato paese.

Aldo Rovito      (aldo.rovito@libero.it)

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