Trame e merletti

Lo stradone di Ozzano Monferrato su cui si affaccia la lunga infilata di case non attrae per alcuna ragione particolare.
Non parrebbe altro che un transito per recarsi in collina o una tappa obbligata per fare rifornimento di carburante prima di proseguire.
Eppure come ogni luogo del Monferrato anche qui c’è qualcosa di interessante da scoprire.
Tra queste case ordinate e dipinte di chiaro, sopra cui svettano i vecchi cementifici di marna ce n’è una che è una miniera di storie da raccontare.
La Signora Giorcelli abita una casetta che un tempo fu una merceria in cui si vendevano pizzi eleganti e ricercate passamanerie.
Ne parlano le sue stanze agghindate da tendaggi che farebbero impallidire un salone principesco come quello di Madame Pompadour.
Un nome non a caso citato perché ha a che fare con la storia che andrò a raccontarvi di cui la Signora Giorcelli ne è la depositaria della tecnica e il punto di riferimento in paese.
Dopo essermi accomodata nel salottino di casa, la padrona di casa mi parla di sé e dei merletti di sua creazione.
Sono qui per questo.
Un’arte che si perde nelle trame della storia e che nel 2013 è stata insignita del riconoscimento De.CO.
Una tecnica di ricamo molto laboriosa che affonda le sue radici ai primi anni del cristianesimo, ma è in epoca vittoriana che ebbe il suo massimo splendore. Persino Madame Pompadour possedeva diverse spolette con cui dilettarsi nei panni di merlettaia.
Alla fine dell’era vittoriana questo tipo di ricamo andò in declino per poi risorgere tra le due guerre mondiali, riesumata dalle suore di Moncalvo, le quali pensarono bene di istituire appositi corsi nel doposcuola per tramandare la tecnica a quelle ragazze che, dai paesi limitrofi, si recavano a Moncalvo a studiare.
Le ragazze di ieri sono le donne di oggi che si dedicano con entusiasmo e passione a quest’arte, difendendo a spada tratta ogni segreto, organizzando corsi e partecipando attivamente a fiere e mostre a tema.
La Signora Giorcelli mi mostra un album di fotografie. Alcune la ritraggono con targhe e riconoscimenti in mano. E’ orgogliosa dei traguardi raggiunti, i quali senza volontà e spirito d’abnegazione non si sarebbero mai concretizzati.
Sono opere d’arte dal valore inestimabile, come lo è un francobollo raro per i numismatici o come lo sono in genere le rarità per chi le colleziona.
Ogni singolo pezzo costa una fortuna. Le ore di lavoro sono tante che ci si perde gli occhi per confezionare ogni singola rosellina.
Il crocchio di donne di Ozzano lo sanno quanto sacrificio comporta, ma ritrovarsi nella sede della scuola di ricamo è un’occasione per stare insieme con il bello o con il cattivo tempo.
Le ore volano tra chiacchiere, risate e lavoro che non se ne accorgono quasi del tempo che passa e il lavoro sembra alfine più lieve.
Dopo tanto raccontare, giunge il momento di conoscere da vicino i preziosi manufatti.
La signora Giorcelli si alza e va in un’altra stanza lasciandomi sola tra le foto di famiglia incorniciate d’argento che ritte sui ripiani della mobilia sembrano sorridermi.
Solo un breve attimo e ritorna di gran passo tenendo tra le mani diversi modelli di chiacchierino.
Al suo passaggio le tende si muovono in un’onda vaporosa di sublime eleganza, come una cascata di rose bianche aggrappate al pendio di una collina.
La signora nuovamente si siede e aggiustandosi gli occhiali sul naso poggia i merletti sul tavolo, tutti realizzati dal suo gruppo di lavoro. E ora sono i ricami a parlare al posto suo. Centrini, orecchini, collane, roselline, frivolezze magnifiche in cui la manualità è l’ingrediente nobile.
Prende poi un filo finissimo e la navetta, lo strumento con cui lo si lavora, e in un gioco di dita: intreccia, tende, annoda e alla fine realizza un minuscolo capolavoro. Ora, decide di mettermi alla prova. Mi chiede quale, a mio giudizio, tra i vari esemplari sul tavolo, sia quello più raffinato.
Interdetta dalla domanda a sorpresa in un primo momento ammutolisco.
Io, che non so nemmeno attaccare un bottone, osservo una ad una le creazioni, indirizzando il mio dito verso quella che a mio modesto parere sembra contenere tutti gli elementi di raffinatezza e di gusto insieme. Un filo sottilissimo abilmente teso della consistenza di una tela di ragno si intreccia formando catenelle da cui sbocciano roselline e altri ghirigori strani.
La scelgo come la migliore. Risposta esatta.
“Il filo sottile è una rogna da lavorare, ma alla fine il merletto si apprezza maggiormente proprio per la qualità del materiale usato, ma c’è un altro elemento da considerare, per nulla secondario: la mano.” aggiunge lei.
“E’ la mano a fare la differenza. Nel gruppo di ricamatrici ce n’è una che si distingue per i suoi ricami impareggiabili.
I suoi lavori sono come un marchio di fabbrica: le catenelle, le roselline, i pipiollini  fatti dalla ricamatrice in questione, non hanno eguali. Desolina è senz’altro la migliore in questo mestiere ” afferma la signora.
Mi piacerebbe conoscere questa donna dalle doti eccezionali, ma mi accontento di vederla in foto, mentre è all’opera nella sede di via Trotti, in cerchio, insieme ad altre ricamatrici.
La Signora Giorcelli richiude l’album di fotografie e a me viene spontaneo porle una domanda compromettente:
“Come vede il futuro per questo tipo di ricamo?”.
Quando alza lo sguardo non ha più la stessa espressione d’orgoglio mantenuta durante la nostra conversazione. E’ come se avessi scagliato un sasso nello stagno.
Il suo viso si è improvvisamente rabbuiato in un’espressione di preoccupazione. Allora si lascia andare come in un dialogo tra amiche.
Senza freni inibitori espone i suoi dubbi: forse ripone in me la fiducia che possa aiutarla in qualche modo.
Dubbi su un domani incerto. Teme che il chiacchierino finisca per essere accantonato, dimenticato, non tanto dalle nuove generazioni che al momento sembrano avere l’interesse a proseguire, ma dalle istituzioni. Senza il loro supporto non potrebbe essere altrimenti. E da qualche tempo parrebbe essere proprio questa la direzione.
E’ un’arte che va alimentata e sostenuta con iniziative di promozione. Solo questo conta.
Perspicace e incisiva, mi prende alla sprovvista con le sue affermazioni, ma al tempo stesso sento in me il carico di responsabilità di non eludere le sue parole, ma di dar loro voce, attraverso poche righe scritte cercando di sensibilizzare coloro che le leggeranno.
“Non si vanifichi i sacrifici fatti e i traguardi raggiunti, ma si salvaguardi e valorizzi questa preziosa rarità artigianale, anch’essa espressione di cultura e tradizione come lo sono il vino, gli infernot e i bei paesaggi monferrini, a noi ben più noti.”

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