Valeria Straneo: tra curiosità e sport.

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Questa settimana, la redazione di alessandria24.com, ha scambiato quattro chiacchiere con Valeria Straneo, la forte maratoneta alessandrina che, con la simpatia che la contraddistingue, ha parlato di sport, curiosità e molto altro.

Buongiorno Valeria. Cominciamo subito con una domanda curiosa, almeno per me, che non credo di essere mai andato a correre in vita mia. Perché la maratona? Perché questa disciplina così dura e faticosa?

Innanzitutto perché mi piace e per passione. Mi è sempre piaciuto far fatica. Dopo e durante la prestazione, stai bene. Riesco veramente a concentrarmi quando sto correndo. Per me è proprio un benessere. Ovviamente a ritmo gara è un po’ diverso, è più difficile rilassarsi. Io, ad esempio, piuttosto che farmi 100 metri in vasca in piscina, preferirei farmi 40 km di corsa a piedi. Ho dovuto fare anche nuoto, perché quando sei infortunata, è un lavoro alternativo perfetto in quanto sei in assenza di gravità per cui scarichi, non vai ad impattare sui legamenti. Solo che per me, nuotare, è veramente una punizione.

Cosa pensi, cosa ti passa per la mente durante un tuo allenamento? Insomma, sei di corsa per più ore, hai il tempo per pensare?

Non faccio mai in allenamento 42 km. L’allenamento è inferiore al chilometraggio della gara, non puoi fare troppe volte 40km, rischi di farti male. Quando faccio le corse lente, ad esempio 20-25 km, mi godo anche il paesaggio e penso a qualunque cosa, da cosa far da mangiare, cosa andar a comprare (sorride), ripeto solo quando sono in fase di scarico. Sono una professionista, quando mi alleno che faccio un determinato sforzo, sono molto, molto concentrata su quello che sto facendo. Anche in gara penso effettivamente a quello che sto facendo, la concentrazione è veramente massima. E’ molto diversa, una situazione di corsetta tranquilla rigenerante e un allenamento specifico a ritmo gara. E’ diverso proprio anche l’approccio mentale.

Vista la tua passione per la corsa, se non fossi diventata un’atleta professionista, cosa avresti fatto o cosa ti sarebbe piaciuto fare?

Io prima di fare l’atleta, lavoravo in un asilo nido e mi piaceva molto. Mi piace aver a che fare con i bambini. Mi sono laureata in lingue però poi ho preso un diploma di educatrice ed ho cominciato a lavorare negli asili nido. Magari se non avessi fatto la professionista avrei continuato a fare l’educatrice. Da atleta ho avuto delle soddisfazioni enormi, ma anche dai bambini. Li adoravo, li adoro. E’ stata una bellissima esperienza lavorare al nido.

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Altra curiosità, tornando all’atletica. C’è una maratoneta che non sei mai riuscita a raggiungere e che per prenderla avresti dovuto spararle?

Ma certo (sorride nuovamente)! Le keniane, le etiopi, le africane in generale. Ce ne sono mille. Tutte le africane sono di un altro pianeta, soprattutto ultimamente. Hanno i record mondiali nelle distanze lunghe. Sono veramente fuori portata per me, sia quando ero ai miei massimi livelli che adesso che sono a fine carriera.

Che cos’hanno in più secondo te le maratonete africane?

E’ tutto un insieme. Io sono stata diversi periodi ad allenarmi in Kenya. Innanzitutto lì, lo sport nazionale non è il calcio. E’ la corsa. Tutti corrono. Ma corrono, non solo per gioia, ma quasi sempre per necessità. Incominciano prestissimo. Si devono spostare per andare a scuola o a prendere l’acqua da un villaggio all’altro. Sono per la maggior parte poverissimi, vivono in strutture malandate, quasi primitive, nei villaggi. Spesso i bambini fanno tantissimi chilometri per raggiungere la scuola, per cui tu ti trovi di fronte a ragazzini che si “allenano” già da piccoli a fare distanze molto lunghe già in tenerissima età. La corsa, è il loro mezzo di locomozione per spostarsi, quindi già per questo fatto, sono molto avanti rispetto a noi dei paesi occidentali che, ovviamente, abbiamo tutte le comodità. Da noi, un bambino di 7/8 anni non si sogna di fare 10km a piedi al giorno per andare a scuola. Questa è la realtà.

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Può essere anche qualcosa di fisico, ad esempio la capacità polmonare?

Non sono così sicura. Anche l’alimentazione comunque incide tanto. Loro non hanno zuccheri nell’ alimentazione, non esistono dolci. Mangiano tantissimo “ugali”, una sorta di polenta di mais che consumano al posto del pane, poca carne, tantissimi legumi, quindi proteine vegetali. Insomma un’alimentazione molto più povera rispetto a tutto quello che abbiamo noi. Bevono tanto latte, il “chai” che è una sorta di tè aromatizzato unito al latte. Vivono sugli altipiani, quindi oltre i duemila metri di quota. Sono abituati ad allenarsi in altura, in carenza di ossigeno per cui, quando scendono hanno un vantaggio e sentono meno la fatica. Gli africani hanno fame. Ma fame in tutti i sensi. Fame di arrivare soprattutto. Quando vincono le gare, spesso riescono a mettere a posto tutto il villaggio con i soldi guadagnati, per cui hanno una forte spinta motivazionale.

Valeria hai un idolo sportivo oppure uno sportivo a cui ti sei ispirata?

Non ho mai avuto idoli nella mia adolescenza, né cantanti, né attori. Tra gli sportivi ho sempre ammirato molto Stefano Baldini, mio attuale allenatore, come persona e come atleta. Sempre parlando di maratona, mi piace molto anche Eliud Kipchoge, detentore del record mondiale. Ho avuto modo anche di conoscerlo. Lui e il suo allenatore sono due persone molto semplici, molto calme, poco divi. Mi piacciono molto le persone così, che fanno le cose con naturalezza.

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Tornando indietro di qualche tempo con le curiosità. Io ricordo a Mosca nel 2013 una scena bellissima. Tu in testa alla maratona mondiale che, incrociandola, batti il cinque ad Emma Quaglia con una naturalezza incredibile, quasi fossi alla gara parrocchiale ed eri ad un mondiale.

Eravamo su un percorso a circuito, vicinissime, ci sfioravamo, stava correndo la mia migliore amica, mi è venuto proprio d’istinto come fosse la cosa più naturale del mondo. Sono molto concentrata quando corro, però un sorriso, un cenno a chi ti vuole bene, a chi ti sostiene non manca mai. Anche a Zurigo quando vedevo i miei figli che correvano e diventavano matti al mio passaggio, ho alzato la mano e gli ho dato il cinque. Alle volte capita anche con gli sconosciuti. A New York ci sono molti bambini che corrono a fianco a te. E’ bello. E’ anche un gesto di ringraziamento verso chi ti segue, ti sostiene. Per me è abbastanza normale.

Valeria, i tuoi prossimi obiettivi?

Adesso voglio, o meglio, vorrei, fare il tempo minimo per qualificarmi per la mia terza olimpiade a Tokyo che è 2:29:30 e spero di poterlo fare già questa domenica a Berna dove c’è una gara ad invito, poche persone, senza pubblico. Ovviamente tutti gli atleti con tampone. Mercoledì un tampone prima della partenza per entrare in Svizzera. Venerdì in loco ne facciamo un altro, sabato ci daranno i risultati e se sei negativo puoi far la gara altrimenti niente. Quarantena e isolamento, ma non voglio nemmeno pensarci. 

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Valeria, grazie per la tua gentilezza, simpatia e disponibilità.

Noi, incrociamo le dita.

(foto dalla pagina Facebook di Valeria Straneo)

 

 

 

 

 

 

 

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