Giustizia e politica: un lungo “filo rosso”

La recente pubblicazione del libro-intervista dell’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati ed ex componente del Consiglio Superiore della Magistratura Luca Palamara, ripropone il tema ancora irrisolto del rapporto politica-giustizia in Italia. Un rapporto che appare agli occhi di tutti irrimediabilmente viziato per una contrapposizione insanabile tra due poteri dello Stato, i cui rapporti invece la nostra Costituzione vuole nella loro  completa autonomia e indipendenza come necessariamente convergenti verso l’obiettivo del bene comune dei cittadini, in un armonico disegno fatto di pesi e contrappesi che realizza in pratica il principio cardine degli stati moderni della separazione dei poteri. Il “caso” Palamara (chiamiamolo cosi’ per comodita’ descrittiva) non puo’ essere risolto col ricorso  alla comoda, rassicurante categoria della “mela marcia”. Certo anche nella Magistratura, come in ogni altra  organizzazione umana, accanto alla massa che piu’ o meno fa il proprio dovere con maggiore o minore dedizione, accanto ai non pochi che da questa massa emergono per capacita’ intellettuali, dedizione ai doveri d’ufficio, senso del dovere, spirito di sacrificio spinto fino al sacrificio della propria vita, c’e’ anche il piccolo numero degli “sfaticati”, dei corrotti, dei trafficanti di sentenze, degli approfittatori: le c.d. “mele marce” appunto.

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Ma il caso Palamara, sin dall’inizio del suo venire alla luce rivela qualcosa di piu’ profondo e di piu’ strutturato che non il problema, pur grave di un singolo magistrato dedito non a servire la legge, ma a servirsene per propri fini personali di arricchimento o di carriera, tanto che si e’ da subito parlato di “sistema” Palamara, con una espressione tanto giornalisticamente efficace, quanto riduttiva e fuorviante ai fini di una seria analisi del fenomeno. Fin dalle prime indiscrezioni relativamente alle intercettazioni dei colloqui telefonici del dott. Palamara si poteva comprendere quanto il fenomeno fosse esteso e ramificato e non riconducibile all’attività illecita di una singola persona e neanche di un ristretto numero di persone.

Peraltro il libro-intervista uscito come si diceva in questi giorni (Alessandro Sallusti intervista Luca Palamara “Il Sistema” Potere, Politica, Affari: Storia Segreta della Magistratura Italiana) e i successivi interventi pubblici del  dott. Palamara hanno reso piu’ accessibile al grande pubblico il tema e consentono  a tutti di avere una visione piu’ ampia dello stato di degrado di alcuni settori della Magistratura, di alcune Procure, ma anche di alcuni organi giudicanti. ‘E lo stesso dottor Palamara, in sostanza a dire: “Il “sistema” non l’ho inventato io e non l’ho messo in pratica io da solo, io ne sono stato un protagonista, ma non ero solo e non solo porta alla ribalta nomi pesanti della Magistratura italiana, come il Vicepresidente del CSM Ermini (al quale dedica un pesante affondo durante una diretta Facebook sul sito de Il Fatto Quotidiano: “La versione per cui il “Sistema” si identificava in quella famosa notte all’Hotel Champagne, alla quale avevano partecipato Lotti, Palamara e Ferri, e che avrebbe rappresentato l’aspetto piu’ deteriore del correntismo oggi non l’accetta piu’ nessuno per un motivo molto semplice: il vicepresidente Ermini e’ ancora il vicepresidente del CSM e venne eletto con lo stesso meccanismo di quella sera”) e poi di seguito altri nomi importanti. Il P.M. romano Cascini tirato in ballo perche’ chiarisca le vicende legate a un procedimento disciplinare nei confronti del P.M. Woodcock, e del colloquio tra il dott. Legnini, all’epoca vice presidente del CSM e Cirino Pomicino, e poi delle cene a casa di un altro componente del CSM l’Avv. Balducci col Procuratore Capo Pignatone e l’on. Lotti. Nell’intervista a Libero del 2 Febbraio il dottor Palamara ribadisce il concetto : “Io mi sono comportato esattamente secondo i meccanismi –noti a tutti- che il sistema imponeva”; “Il sistema… e’ quello delle correnti, e i meccanismi di potere sono regolati da un’oligarchia di cui io facevo parte. Chi era fuori dalle correnti non contava. Ma non c’ero solo io, ripeto… Sono diventato il capro espiatorio. Ma non e’ che “se esce Luca risolviamo i problemi”, così non funziona”.  Lo stesso Palamara, intervenendo nella trasmissione “Non e’ L’Arena di Massimo Giletti su LaSette di domenica 30/1 ha ribadito che “Identificare con me i problemi della Magistratura italiana e’ sbagliato. I problemi di cui parliamo oggi sono problemi arroccati, e il sistema e’ diventato una casta…….. ‘E stato quel sistema a far fuori Di Matteo e Gratteri. Il sistema non poteva permettere che Gratteri diventasse Ministro”. Si tenga conto che sono circa un centinaio le pratiche disciplinari avviate dal CSM nei confronti dei Magistrati le cui conversazioni con Palamara furono intercettate ed ora agli atti del processo in corso a Perugia, per rendersi conto dell’estensione e ramificazione del “sistema”!

Sempre il dott. Palamara, sia nell’intervista a Libero che nella trasmissione di Giletti conferma come, oltre che di nomine e di carriera dei magistrati il “sistema” si interessasse anche di indirizzare certe indagini o certi processi, riferendosi in termini piu’ o meno espliciti ai processi contro Berlusconi (“Non sono mai entrato nel merito dei processi, ma certo l’azione politica della Magistratura c’era. Come nel caso di De Magistris e’ indubbio che si e’ voluto allontanare magistrati “non in linea”, così vale per Berlusconi. L’ANM, anche con me presidente, ha agito spesso a senso unico, diciamo svolgendo un ruolo di opposizione politica.”) e contro Salvini (Ricordate le intercettazioni, “Salvini ha ragione, ma proprio per questo bisogna dargli addosso”? – Secolo d’Italia 20/05/2020). D’altronde al di la’ dei colloqui e dei contatti con l’on. Lotti e con l’on. Ferri per gestire le nomine, sempre nel Libro-intervista con Sallusti Palamara aveva dichiarato di aver sempre condiviso la sua attività con il Capo dello Stato (all’epoca il Presidente Napolitano) e che “Non ci potevano essere deviazioni dalla linea. Sul Cavaliere non era ammessa discrezionalità: Nella Magistratura vige un clima di terrore interno che non lascia spazio a discrezionalita’”. Certamente quanto sostenuto dal Dott. Palamara va sottoposto al piu’ attento vaglio, anche perche’ se e’ comprensibile il suo desiderio di difendersi, tutte le sue affermazioni devono essere  sottoposte al piu’ attento esame probatorio, ma se il dott. Palamara afferma di avere le prove di quanto dichiara,  quanto da lui affermato pone interrogativi non di poco conto; tanto che ci sembra piu’ che fondato il giudizio della Senatrice Giulia Buongiorno espresso sul suo profilo facebook il 1 Febbraio scorso (“Il libro di Palamara e le sue ultime uscite pubbliche squarciano un velo sul potere giudiziario. Una ricerca diffusa di collateralismo alla politica ha inquinato singole inchieste, ma piu’ in generale il rapporto tra poteri dello Stato  e dunque le regole dell’agire democratico”), cosiì come piu’ che fondata appare la richiesta di sottoporre il tutto ad una Commissione Parlamentare d’inchiesta (Vedi Secolo d’Italia del 30 Gennaio scorso e dichiarazione dell’ex P.M. Carlo Nordio a Francesca Galici su Il Giornale del 3 Febbraio e recente presa di posizione del Partito Radicale.

Ma a questo punto non si puo’ ignorare un altro aspetto del problema. Se il “sistema” non era il “sistema Palamara”, ma preesisteva a Palamara e non funziona “che se esce Luca, risolviamo i problemi”, allora quando e come e’ nato questo sistema “arroccato”? come si e’ sviluppato nel corso degli anni?  e riguarda genericamente il rapporto dialettico  tra un potere dello Stato (la Magistratura) e la politica? o non piuttosto la contrapposizione di una fazione fortemente politicizzata ed ideologizzata quanto egemone della Magistratura e gli avversari politici interni ed esterni di essa? Certo forse solo una Commissione Parlamentare d’inchiesta, se volesse, potrebbe dare risposte a questi interrogativi, ma vogliamo provare a dare qui qualche traccia di “indizi” da approfondire.

Proprio nei giorni scorsi, in occasione dell’anniversario dell’omicidio del sindacalista comunista dell’Italsider di Genova Guido Rossa attuato dalle Brigate Rosse il 24 Gennaio 1979, il blog “Insorgenze”  richiama l’attenzione sul volume “Guido Rossa Mio padre” di  Giovanni Fasanella e Sabina Rossa, edito dalla BUR nel 2006, nel quale il Generale dei Carabinieri Nicolo’ Bozzo, stretto collaboratore del Generale Dalla Chiesa dichiara: ”Dalla Chiesa mi aveva incaricato di tenere i rapporti con il PCI. Dal PCI abbiamo avuto tutta la collaborazione possibile e immaginabile. Io avevo rapporti con Lovrano Bisso, allora segretario provinciale del PCI: ci aiuto’ in ogni modo”. E lo stesso Bisso “Posso dire questo, che il lavoro di Guido Rossa ci porto’ assai vicino all’individuazione di gran parte della catena di produzione della propaganda brigatista. Il contributo di tuo padre fu davvero eccellente. Mi aveva parlato di Berardi gia’ alcuni mesi prima di quel 25 ottobre 1978 (data in cui Guido Rossa presenta la denuncia contro il Berardi accusandolo di distribuire i volantini delle Brigate Rosse all’interno dell’Italsider, NdR). Lo aveva gia’ individuato e lo teneva d’occhio”. Dalla ricostruzione della certosina attività di Guido Rossa, svolta a stretto contatto con il segretario provinciale del PCI emerge il quadro di una intensa, capillare, metodica opera di schedatura di persone e di fatti di rilevanza sindacale e politica svolta all’interno della fabbrica e messa a disposizione delle Forze dell’ordine.

Altro indizio ci arriva da un post pubblicato il 29 Gennaio sul blog “L’AlterUgo” –Spazio web di Ugo Maria Tassinari, dal titolo “29 Gennaio 1979: Alessandrini, l’intelligence del PCI e Prima Linea”, in cui l’autore riferisce quanto scrive il terrorista “dissociato” (dissociato in cambio di una riduzione di pena a soli 13 anni di carcere per due omicidi) Enrico Galmozzi, uno dei capi dell’organizzazione terroristica “Prima Linea”. Costui, nel tentativo di giustificare l’omicidio del Giudice milanese Emilio Alessandrini, racconterebbe secondo l’autore del post che: “ Nel marzo del ’77 venni a sapere che il giudice Emilio Alessandrini intendeva sentirmi. Andai da un avvocato dicendogli di andare a verificare di cosa si trattava. L’avvocato fu ricevuto ed esauriti i convenevoli Alessandrini chiese di scusarlo dovendosi assentare per pochi minuti, dopodiche’ usci’ dalla stanza. Nel bel mezzo della scrivania di Alessandrini giaceva una cartellina…L’avvocato l’aprì e lesse un foglio su carta intestata della federazione milanese del PCI, firmato da Gianni Cervetti, contenente una lista di dodici  <<capi dell’autonomia operaia a Milano>>. Oltre a me c’erano Oreste Scalzone, Andrea Bellini,Gianfranco Pancini e non ricordo altri………..noi convenimmo sul fatto che Alessandrini fungesse da terminale e riferimento per l’opera di delazione e collaborazione poliziesca del PCI...” Aggiungiamo, per informazione di chi legge che Gianni Cervetti, allora Segretario della federazione milanese del PCI, non era l’ultimo arrivato. Milanese, iscritto al PCI dal 1950. Inviato dal Partito in URSS nel 1956 per studiare da quadro del partito, qui si laurea nel 1959 all’Università di Mosca in Economia e Commercio; rientrato a Milano nel 1961, viene chiamato subito nella Segreteria Regionale del PCI, avviandosi verso una carriera politica che lo portera’ all’elezione al Parlamento Europeo nel 1984 e successivamente alla Camera dei Deputati nel 1987 e nel 1989, nonche’ Ministro della Difesa nel “Governo Ombra” del PCI dal 1989 al 1992.

Genova ’79, Milano ’77, spostiamoci adesso a Torino, primi anni ’70 alla ricerca del terzo indizio. Lo troviamo nel ripercorrere le strane vicende legate al “famoso” processo contro Salvatore Francia e il gruppo torinese d Ordine Nuovo per il presunto campo paramilitare di Pramand. Le indagini iniziano nel 1972 a seguito del rinvenimento di alcune scritte inneggianti a Ordine Nuovo apparse in Val Susa; si risale ad un campeggio durato una quindicina di giorni effettuato da una decina di giovani, tra i quali Salvatore Francia (il piu’ anziano) responsabile torinese di Ordine Nuovo; Salvatore Francia viene arrestato, in contemporanea vengono effettuate una serie di persecuzioni a tappeto in tutta Italia alla ricerca delle prove di una banda armata che non esisteva, in cambio si trovano e si sequestrano volantini, giornali, riviste, libri. La Corte di Cassazione annulla l’ordine di arresto di Salvatore Francia e ne ordina la rimessione in liberta’. Le indagini pero’ proseguono e fanno un salto di qualita’ con la scoperta di un libello anonimo consegnato al giudice istruttore dal sindaco di Torino. Sara’ quel documento, anni piu’ tardi, l’unico elemento sul quale si basera’ la sentenza di condanna contro Salvatore Francia, Adriana Pontecorvo ed altri per il reato di “cospirazione politica mediante associazione”, un documento anonimo, in fotocopia, giunto in forma anonima: secondo il suo racconto, il Sindaco di Torino (Diego Novelli del PCI) lo avrebbe ricevuto per posta, anche se non seppe indicare neanche da quale località fosse stato spedito il plico, perche’ la busta che lo conteneva sarebbe stata “smarrita”. Chi era il Giudice Istruttore del processo a Francia? Il dott. Luciano Violante, non molto noto fino ad allora alle cronache torinesi, ma destinato, forse anche sull’onda di quel processo ad una successiva brillante carriera politica iniziata con l’elezione a deputato del PCI nel 1979 e culminata con l’elezione alla Presidenza della Camera dei Deputati nel 2001. La strana storia del documento anonimo fatto pervenire in forma anonima al Sindaco di Torino Novelli e da questi girata al Giudice Istruttore dott. Violante, potra’ sembrare meno strana, alla luce del fatto, un fatto, non una voce, della Collaborazione del dott. Violante, quale componente del Comitato di Direzione (non una collaborazione saltuaria) della Rivista “Nuova Societa’”, quindicinale fondato e diretto  proprio dal dott. Diego Novelli e sulle cui pagine scriveva il fior fiore dell’ intellighentzia” comunista torinese. (Sulla carriera politica del dott. Violante una interessante analisi si puo’ leggere sul blog “Antimafia 2000”, in un post del 22 Settembre 2014 che riproduce un articolo di Marco Palombi e Marco Travaglio pubblicato su Micromega n.7/2013, intitolato “Biografia non autorizzata di Luciano Violante”, di cui vi riportiamo l’incipit, che e’ tutto un programma: “Dalla prima condanna, inflitta a un ragazzo che aveva detto “piciu” (fesso) a un vigile, alle sfortunate indagini sul “golpe bianco” di Edgardo Sogno, il discepolato al seguito di Ugo Pecchioli, la guerra a Giovanni Falcone, la Bicamerale e il caso Previti”; mentre in “L’Eskimo in redazione. Quando le Brigate Rosse erano sedicenti”, Edizioni Ares, Milano, 2018, (prima edizione Ares 1990) di Michele Brambilla ritroviamo, tra i tanti, anche il dott. Violante a polemizzare dopo l’omicidio brigatista nella sede missina di Padova, contro chi riteneva che i responsabili fossero da ricercare tra estremisti di sinistra, affermando dall’alto della sua esperienza come indagatore delle “trame nere” torinesi” che le brigate rosse erano in realta’ “fasciste”,  in ossequio alle tesi sbandierate all’epoca dal PCI e dalla gran parte dell’informazione italiana. D’altronde sulla forte “influenza” del PCI torinese sulla Magistratura torinese, basterebbe verificare quanti sono stati i vincitori di concorsi in  magistratura che erano transitati come praticanti o come giovani collaboratori nello studio dell’Avv. Ugo Spagnoli,  consigliere comunale dal 1956 al 1964 e parlamentare del PCI dal 1963 al 1986).

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Parlare di ingressi in Magistratura, ci porta a fare un altro salto indietro nel tempo fino  al 1946. La guerra e’ finita (anche quella civile), occorre ricostruire il Paese, non solo fisicamente ma anche nelle strutture burocratiche, amministrative e giudiziarie poiche’, tra l’altro,  “mancavano nell’organico oltre 1000 magistrati sui 4987 previsti”,  e allora, cosa si fa? Semplice: “Tra il 31 Dicembre del 1946 e il 7 dicembre del 1947 furono immessi senza concorso dapprima 200 tra vice pretori onorari e laureati in giurisprudenza (scelti tra quelli con alte votazioni) e poi altri 262, i cosiddetti “togliattini”, dal nome del guardasigilli che firmo’ il decreto”(l’immissione in ruolo di questo personale avvenne poi con la Legge n. 210 del 29 Aprile 1950 sulla base di un esame teorico-pratico, legge pe che peraltro era stata rinviata alle Camere dal Presidente della Repubblica per incostituzionalita’ in quanto violatrice del principio costituzionale dell’obbligo del concorso per l’accesso alla Magistratura), come si puo’ leggere nel saggio di  Antonella Meniconi “La Magistratura italiana nella storia costituzionale repubblicana” pubblicato sulla Rivista giuridica “Nomos”, n. 1/2017. Da Luca Palamara, siamo arrivati, passando da Guido Rossa, vittima delle Brigare Rosse e al segretario del PCI di Genova, al potente segretario del PCI milanese Gianni Cervetti, a Luciano Violante e alla Federazione torinese del PCI, al Ministro Guardasigilli e Segretario del piu’ forte partito Comunista dell’Europa Libera, Palmiro Togliatti, seguendo un lungo filo rosso che segna l’evoluzione della Magistratura italiana nella storia repubblicana.
Chissa’ se seguendo questo filo rosso si potra’ dipanare la trama della situazione odierna della giustizia italiana? Una Commissione Parlamentare d’inchiesta sara’ sufficiente ? o sara’ necessaria l’esplosione dell’ira popolare?

Aldo Rovito

Fonti:

Libero, 2Febbraio 2021

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La Sette, Trasmissione “Non e’ l’Arena” di Massimo Giletti del 30 Gennaio 2021

Secolo d’Italia 20 Maggio 2020; 30 gennaio 2021

Il Giornale 3 Febbraio 2021

“Guido Rossa. Mio padre” di Giovanni Fasanella e Sabina Rossa, Ed. Bur, Milano, 2006 (pagg. Da 145 a 149)

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“L’AlterUgo” Sito web di Ugo Maria Tassinari del 29 Gennaio 2021  articolo intitolato “29 Gennaio 1979: Alessandrini, l’intelligence del PCI e Prima Linea”

Marco Palombi e Marco Travaglio “Biografia non autorizzata di Luciano Violante. Micromega, n.7/2013

Michele Brambilla “L’eskimo in redazione. Quando le Brigate Rosse erano sedicenti”, Edizioni Ares Milano 2018 (Prima edizione Ares, Milano, 1990)

Antonella Meniconi “La Magistratura Italiana nella storia costituzionale italiana” in “Nomos”, n. 1/2017

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