Il silenzio fra i dieci splendidi oggetti morti, nel saggio di Massimo Mantellini pubblicato da Einaudi

L’idea di Massimo Mantellini è semplice e incisiva, interessante, non soltanto perché nel saggio “Dieci splendidi oggetti morti”, dato ora alle stampe per i tipi Einaudi nella collana Vele (euro dodici), ha individuato oggetti che collegano tempi differenti e di cui abbiamo goduto della presenza, ma che, egli fa giustamente notare, muoiono e nello stesso tempo continuano a parlare di noi.

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Vale la pena elencarli, non foss’altro perché l’indice ci riporta immediatamente nella memoria mondi che oggi paiono lontani, pur essendo stati animati da questi oggetti sino a pochi anni fa: le mappe (ci abbiamo organizzato le vacanze), il telefono (segnatamente quello con il disco da far ruotare coll’indice), la penna (si sta perdendo non soltanto il gusto, ama anche il senso della scrittura a mano), la lettera (sapeva darci più informazioni sull’umore, sull’intensità della comunicazione), la macchina fotografica (non del tutto soppiantata, ma soltanto per gli autentici fotografi), i giornali (dati per morti nella versione cartacea, oggi perché appare scomodo, ma che resistono offrendo soddisfazioni maggiori rispetto alle alternative elettroniche) e così anche il libro (protagonista nell’intermezzo, quindi a contar bene gli oggetti sarebbero undici), i dischi (il vivile è sempre vivo, ma per collezionisti e appassionati), i fili (questa è l’epoca del wireless), il cielo (stiamo troppo tempo a capo chino sullo schermo e non ci accorgiamo che il Mondo sta tutt’attorno).

Estrapolo quella che considera la voce più interessante e ne apprezzo la condizione di oggetto in cui la colloca l’autore, perché effettivamente si tratta di un bene, anzi di un bene comune che stiamo perdendo per strada e per questo dobbiamo attenderci gravi conseguenze, ovvero il silenzio.

Il terribile COVID-19 ci ha improvvisamente fatto scoprire non soltanto i benefici, ma per alcuni forse addirittura l’esistenza del silenzio, non già l’ipotetico silenzio assoluto riproducibile in condizioni da laboratorio e nient’affatto benefico, quanto piuttosto il “silenzio che fa rumore”, quello che ci fa riscoprire il senso di equilibrio che occorre all’esistenza.

Il rumore ha cominciato a domandare la nostra attenzione in modo sempre più pressante e invadente, nelle sue forme che vanno dal blando ascolto del respiro, quello proprio o dell’altro, a quella forma organizzata in modo ritmico che è la musica, in cui dovremmo considerare anche il nefasto influsso dell’imposizione a fini commerciali, mercantilistici.

Nel libro viene fatto un accenno al rumore “fuori posto”, fuori contesto come già fu al suo apparire la musica negli stabilimenti balneari, al punto che dagli anni Sessanta nei lungometraggi ambientati d’Estate le riprese delle spiagge affollate erano tutte quante corredate da musica intradiegetica, le canzonette che immediatamente datavano il film e producevano nostalgia negli spettatori che li avrebbero visti nel corso dell’inverno dello stesso anno.

La musica fuori contesto, oltre a distruggere il bene prezioso del silenzio quale condizione ottimale per sviluppare pensieri e ragionamenti, sta comunque svilendo la musica da soggetto di intrattenimento a prodotto di consumo distratto e assai contenuta nella riproduzione del piacere.

Insomma, avrei aggiunto qualche nota in merito al silenzio ucciso dalla musica negli ascensori, nei bagni dei centri commerciali, nei negozi di abbigliamento e sparpagliata per le strade da inopportuni impianti di radiodiffusione che invadono il diritto alla riservatezza, anche perché i brani musicali sono anche inframezzati da annunci pubblicitari (peraltro sistema senza la benché minima speranza di favorire l’incremento delle vendite; ma i pubblicitari lo sanno?).

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Un buon saggio che aiuta a riflettere e per concludere la presentazione non trovo migliori parole di quelle dello stesso autore, le prime righe dell’introduzione in cui traccia un profilo generale dei vari capitoli: “Gli oggetti collegano tempi differenti. Disegnano la traiettoria della bellezza. Ogni tanto muoiono. Ci rimangono accanto per anni: improvvisamente scompaiono dalla nostra vista. Noi non sappiamo se ci hanno abbandonato per sempre, se torneranno, se là dove sono ora mantengono qualcosa di noi. Forse quegli oggetti sono noi qualche decennio fa. Restano in disparte, nel fondo di un cassetto o nell’angolo più buio di una cantina. Da lì, silenziosamente, raccontano il mondo (…)”

 

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