In tema di libertà, Caristo, la leggenda di una donna che ha difeso un solo amore

La poesia “Caristo, la città rubata” è pubblicata nel saggio “Scrivere cinema low-budget in Alessandria”, a cui è allegato il dvd del documentario “Caristo, la città rubata” (2009), in cui l’ultima scena rappresenta un provino d’attrici che in successione provano il monologo della protagonista, essendo Caristo l’incarnazione sulla scena della città distrutta dai Romani per fondarvi poi Acquae Statielle, ora Acqui Terme in provincia di Alessandria (gli abitanti dispersi diedero origine a molte località ed a quello che oggi è un quartiere di Alessandria, il “Cristo”).
Opera che ha avuto il suo esordio teatrale in occasione del progetto “Io sono il mio grido ¬ artisti contro la violenza alle donne” (dall’8 al 15 marzo 2014, Palazzo Sant’Elia in Palermo), giunto grazie alla collaborazione col Centro Nazionale di Drammaturgia Contemporanea (assieme ad altri testi recitati da attrici e attori dinanzi alle varie pregevoli opere pittoriche esposte per l’occasione).
Inoltre “Caristo, la città rubata” è poesia d’apertura della mia partecipazione all’antologia “Poesia in provincia di Alessandria” (trentasei poeti, 2014, a cura di Emanuele Spano e Davide Ferreri per puntoacapo editore).

https://youtu.be/rqMAKbaYIts

Ad Afrodite tutti quanti addossano
i propri desideri e pronunciano le sillabe
del suo nome, facendo suonare la follia.
La mia povera vita ho lasciato in Caristo;
la città dei Liguri ove l’argento
si credeva scorresse a fiumi.
Qui dove io caddi lasciate ch’io giaccia,
o fanciulle, che soffro invocando illusione
divenuta malasorte, come ebbi a cantare.
Regina fui, e figlia di re, e piansi
gli Stazielli tutti perché furon miei figli,
e cadere li vidi sotto le lance di Roma.
Così presa io fui da Marco Popilio Lenate
che come sposa mi volle avere;
ma dell’assassino nostro io fui solamente schiava.
Caristo è caduta, e sterminati i Liguri;
ma il terrore ancora temete perché invade i cuori
senza ragione, così come giace la compagine distrutta.
Meglio vale morire, che turpemente vivere
e nessun male sente e nessun dolore un morto;
ma beato è chi affronta la sventura.
Piango quei che caddero o furon portati in terra straniera,
e sulle tombe loro ci sarà altro sangue di vittime
di cui le armi dei Romani già fecero scempio.
O Dea, qual grido levasti alla fortuna?
e nulla alla virtú quando egli il corpo mio stringeva
badando solo alla brama d’esser mio sposo.
Dicono che una notte non basta a placare l’odio
che una donna nutre per il letto di un uomo
se questo come giogo le si offre.
E così ebbi come giaciglio la nuda terra,
a causa d’una infida lancia, a spirar l’alito estremo
di una donna sola che ha difeso un solo amore.

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